
ROMA – “Domani alle urne in Turchia il candidato d’opposizione Kilicdaroglu non sfiderà Erdogan, ma il potere autoritario che si è costituito in questi ultimi vent’anni e che ha preso il controllo non solo del governo ma anche della magistratura, dei media e di molti settori economici”. Eleonora Mogelli è la vicepresidente della Federazione italiana diritti umani (Fidu) e con l’agenzia Dire commenta il ballottaggio che si tiene domani in Turchia. Al primo turno delle presidenziali del 15 maggio, il presidente uscente Recep Tayyip Erdogan non è riuscito a sfondare la soglia del 50% dei voti, fermandosi al 49,24%, e quindi domani dovrà vedersela col socialdemocratico Kemal Kilicdaroglu, che corre per un’inedita coalizione composta da sei partiti, e che si è piazzato secondo col 44,09%. Una battaglia che si prevede intensa, se si confermerà l’affluenza record del primo turno, che ha sfiorato il 90%.

D’altronde la posta in gioco è alta: c’è la possibilità di porre fine all’era Erdogan, da due decenni al potere, dal 2003 al 2014 da primo ministro e poi dal 2014 come Capo dello Stato. E per farlo, non si fanno sconti: “Nella campagna sul secondo turno- continua Mongelli- ha vinto la retorica anti-profughi, un elemento che almeno per quanto riguarda Kilicdaroglu, non è in linea con le sue forti prese di posizione sullo Stato di diritto e la difesa dei più deboli”.
Con lo scoppio della guerra in Siria, la Turchia è diventato il principale Paese ad accogliere i profughi siriani, anche per via di un Memorandum d’intesa siglato con l’Unione europea nel 2016, con cui Bruxelles ha convinto Erdogan a bloccare l’afflusso verso l’Europa. Al momento, secondo l’Agenzia Onu per i rifugiati (Unhcr), ne ospita 3,6 milioni. Colpita da una profonda crisi economica, parte della società turca quindi vede nei profughi un problema e sostiene l’accordo sui rimpatri siglato da Ankara col governo di Damasco, su cui pesano accuse di deportazioni forzate.
Nei giorni scorsi, Kilicdaroglu è entrato “a gamba tesa” sul tema, affermando che se verrà votato, il futuro governo “chiuderà le porte dell’inferno”. La retorica-antimigranti si è fatta più accesa anche dopo l’annuncio di Sinan Ogan, il leader di un partito della destra nazionalista arrivato terzo col 5,2% dei voti, di sostenere Erdogan. Poco dopo, Ümit Özdag del Partito della Vittoria – altra anima della destra estrema – ha sugellato un’alleanza con Kilicdaroglu, affermando che entrambi sostengono il piano dei rimpatri. Ma le violazioni dei diritti non riguardano solo i profughi: a partire dal fallito golpe del 2016 la Fidu, come varie associazioni locali e internazionali, ha registrato una stretta nelle libertà democratiche in Turchia, segnata da oltre 100mila arresti, come ha riferito di recente il Ministero dell’Interno. Gli arresti hanno riguardato avvocati, giudici, giornalisti, accademici, attivisti e naturalmente, oppositori politici. Ne è un esempio la storia di Nojda Nazlier, ex sindaca del partito filo-curdo Hdp, arrestata nel 2019 durante “l’ondata di arresti tra i sindaci dei partiti di opposizione” ricorda Mongelli, che l’ha incontrata nel villaggio di Kocaköy, nella regione sud-orientale di Diyarbakir, cuore della minoranza curda contro cui Erdogan è accusato di usare il pugno di ferro. Un viaggio in qualità di osservatrice elettorale indipendente che la vicepresidente della Fidu ha compiuto il 15 maggio per iniziativa dalla deputata Pd Laura Boldrini, e composta da Valentina Pattavina, Luca Scarcella e dall’avvocata di Arci Francesca Pesce. “Nazlier ha trascorso 11 mesi in detenzione cautelare con l’accusa di terrorismo- riferisce Mongelli- il processo è ancora in corso e rischia 9 anni”.
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La riforma della legge sull’anti-terrorismo ha permesso di incarcerare più agevolmente i dissidenti, che dietro le sbarre “vivono condizioni disumane- avverte l’esperta- ma Nazlier ci ha assicurato di aver ricevuto un trattamento migliore in quanto sindaca e consapevole dei suoi diritti”. Rispetto al voto nella roccaforte curda, ricca di montagne e zone remote e colpito anche dal devastante terremoto di febbraio, Mongelli modera l’ottimismo: “Abbiamo visitato una dozzina di seggi e decine di sezioni. Si respirava aria di cambiamento, dai giovani agli anziani tutti erano in coda per votare. Non abbiamo rilevato neanche pressioni da parte delle forze di sicurezza per scoraggiare i votanti. Tuttavia, in campagna elettorale i media hanno dato una copertura minima dei partiti di opposizione rispetto a quella assicurata ad Erdogan e sappiamo che la libertà di espressione è stata limitata, quindi è giusto chiedersi quanto i cittadini abbiano espresso una scelta realmente informata. Se manca la possibilità di informarsi- conclude Mongelli- decano le fondamenta stesse della democrazia”.
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