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Dopo lockdown 410mila ricoveri per interventi chirurgici da riprogrammare

Ogni anno sono circa 750.000 i cittadini che affidano le proprie cure ospedaliere a strutture di regioni diverse da quella di residenza. L'analisi di Nomisma sui 'migranti sanitari'

Pubblicato:27-05-2020 08:43
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 18:23
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ROMA – Ogni anno sono circa 750.000 i cittadini che affidano le proprie cure ospedaliere a strutture di regioni diverse da quella di residenza. Di questi, oltre il 90% si sposta per ricoveri acuti in regime ordinario (69%) e in regime diurno (23%). I saldi di mobilità e i dati sulla compensazione economica fra Regioni identificano la Lombardia e l’Emilia Romagna come le due regioni maggiormente attrattive; al lato opposto della classifica, invece, Campania e Calabria, a conferma dello storico fenomeno delle “fughe” da Sud verso Nord. Al netto dei flussi “fisiologici”, migliaia di persone risalgono l’Italia, sobbarcandosi spese spesso elevate, per sé stessi e per i propri accompagnatori, affrontando disagi di spostamento e ricoveri in solitudine, alla ricerca di cure di alta specializzazione o migliori o presunte tali. Tutto questo ha avuto un blocco a febbraio 2020 con lo scoppio dell’emergenza Covid. 

Nomisma ha stimato come, nel periodo di sospensione dei ricoveri differibili e non urgenti, siano stati rimandati il 75% dei ricoveri per interventi chirurgici in regime ordinario (tralasciando i day hospital), con quote più o meno elevate a seconda delle categorie diagnostiche. Da questo conteggio sono esclusi i ricoveri con diagnosi di tipo oncologico. Questo il principale risultato dell’analisi “Riprogrammazione degli interventi chirurgici, liste d’attesa e mobilità sanitaria: il Covid spingerà gli italiani a curarsi vicino a casa?”. In termini assoluti, considerando un blocco totale della attività programmate pari a due mesi e ad un periodo di ugual durata per la piena ripresa degli interventi, questo si tradurrà in circa 410mila ricoveri per interventi chirurgici da riprogrammare. Le quote di interventi rimandati variano sensibilmente a seconda della categoria diagnostica: le stime passano dal 56% dei ricoveri per interventi legati a malattie e disturbi dell’apparato cardiocircolatorio alla quasi totalità dei ricoveri per patologie afferenti all’otorinolaringoiatria e al sistema endocrino, nutrizionale e metabolico. Un terzo degli interventi da riprogrammare riguarda l’area ortopedica, dove si valuta saranno 135mila i ricoveri per interventi chirurgici rimandati per l’interruzione e, alla ripresa, il rallentamento del servizio. Così in un comunicato Nomisma. 

“Il blocco degli interventi chirurgici non urgenti avrà naturalmente un significativo impatto sulle liste di attesa: per un intervento programmato di bypass coronarico o di angioplastica coronarica, dove l’attesa media nazionale si aggira intorno ai 20/25 giorni, le attese potranno raggiungere i quattro mesi, mentre per un impianto di protesi d’anca i tempi di attesa potranno raddoppiare superando i sei mesi”, dichiarano Maria Cristina Perrelli Branca e Paola Piccioni analiste di Nomisma. 


Le Strutture ospedaliere stanno ripianificando le agende, organizzando il recupero degli interventi rimandati e la programmazione di quelli futuri. Tuttavia, si tratterà di una ripresa graduale, contingentata e prudente, su cui anche i Servizi Sanitari più efficienti e attrattivi, travolti più degli altri dalla pandemia, non riescono ancora ad offrire certezze sui tempi di riconquista del pieno regime. Tutto questo rallenterà la mobilità sanitaria di breve/medio periodo? “È presumibile che ciò accada, anche in considerazione di altri fattori, quali il persistente timore del contagio, accentuato nel caso di condizioni di salute precarie, e le attuali criticità legate agli spostamenti (prime fra tutti la disponibilità e i costi dei biglietti aerei)”, evidenziano Perrelli Branca e Piccioni. 

E’ “auspicabile che tutti coloro che necessitano di prestazioni non disponibili all’interno dei propri confini regionali, continuino a rivolgersi altrove senza apprensione. Per tutti gli altri potenziali “migranti sanitari”, si possono ipotizzare due scenari: il primo, basato (compatibilmente con l’urgenza e la gravità dei propri bisogni) sulla scelta di ‘rimandare’ la partenza, a quando la Fase 2 dell’emergenza avrà fatto il suo corso, la gestione di tutto ciò che è Covid sarà consolidata e la riorganizzazione di ciò che non lo è portata a compimento. Il secondo, basato sulla scelta di ‘restare’, perché questa volta gli ostacoli legati al “fuori” superano la sfiducia che si nutre verso il “dentro”. Perché quest’ultimo caso si verifichi, l’approccio e l’atteggiamento dei Servizi sanitari delle regioni storicamente di fuga saranno determinanti. Riusciranno a sfruttare il vantaggio di aver vissuto un’emergenza più controllata, per riprendere rapidamente e a pieno regime le attività fino ad ora sospese? Il territorio valorizzerà la contingenza per potenziare l’informazione e la comunicazione sui punti di forza delle strutture ospedaliere di prossimità? Le strutture saranno in grado di gestire con efficienza ed efficacia l’eventuale aumento di domanda?“, conclude Nomisma.

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