NEWS:

VIDEO | Salute, ecco Onco Hair: protesi di capelli per donne in chemio

L'iniziativa per aiutare le donne con maggiore fragilità economica che hanno un tumore al seno è sostenuta dall'Associazione per il Policlinico Onlus, la Fondazione Cariplo e CRLAB

Pubblicato:27-04-2021 16:46
Ultimo aggiornamento:27-04-2021 16:50

parrucca
FacebookLinkedInXEmailWhatsApp

ROMA – Protesi tricologiche CNC donate a donne che stanno affrontando la chemioterapia per sconfiggere il cancro al seno. Si tratta del progetto ‘Onco Hair‘, un’iniziativa nata per supportare le donne con maggiore fragilità economica nella battaglia contro il carcinoma alla mammella e sostenuta dall’Associazione per il Policlinico Onlus, la Fondazione Cariplo e CRLAB. A fare il quadro sulla patologia, sui numeri del problema in Italia e a spiegare da vicino il progetto ‘Onco hair’ è Donatella Gambini, dell’Unità di Oncologia Medica Fondazione IRCCS Ca’ Granda, Ospedale Maggiore Policlinico di Milano.

Sta per partire ‘Onco hair’, un progetto corale che supporta le donne in chemioterapia e con fragilità economica donando loro protesi permanenti di capelli. In che modo sono state selezionate le prime donne che le riceveranno, alcune sono risultate ‘inadatte’ a ricevere la protesi e può darci un’idea di costo? Può dirci anche come la percezione dell’immagine migliorata incide sul benessere psicofisico?

“È un bellissimo progetto reso possibile grazie alla generosità della Fondazione Cariplo e di Cesare Ragazzi Laboratories che hanno deciso di fornire in modo gratuito, a chi non avrebbe potuto permettersi una spesa del genere, questa protesi di capelli. Non si tratta di una parrucca, ma di un ‘manufatto’ fatta su misura. Sono protesi realizzate su misura della testa del paziente, i capelli sono naturali e viene studiato il colore più adatto per quella paziente. La protesi è detta permanente nel senso che si adatta perfettamente alla circonferenza del cranio della donna e può essere adesa maggiormente tramite un collante, questo evita che la protesi possa muoversi in palestra, in piscina o sotto la doccia creando disagio e apprensione nella donna. Anche uno studio dei colleghi dell’Istituto nazionale Tumori di Milano ha misurato il vantaggio psicofisico nelle pazienti dopo aver indossato le protesi. È emerso e anche noi lo stiamo iniziando a constatare che la percezione e visione del corpo dopo aver impiantato la protesi è stata altamente positiva. Senza dubbio è un progetto bello per il quale siamo grati. Il costo per protesi di questo manufatto con delle piccole variazioni in base alle esigenze specifiche di quella donna si aggira attorno ai 5mila euro“.



Il carcinoma alla mammella è stato il tumore maggiormente diagnosticato nel 2020. Di che cosa si tratta e quali sono i numeri del problema in Italia?

“È il primo tumore diagnosticato in Italia. Si tratta di 500mila casi, numeri tratti dai dati del Registro nazionale tumori ed è una patologia leggermente in crescita rispetto all’anno precedente tanto che si calcola che nell’arco della vita una donna su otto o 10 svilupperà un tumore della mammella. Fortunatamente la maggior parte dei casi guarisce se opportunamente trattati e le sopravvivenze sono significative. Si tratta di un 87% delle donne che sono vive a 5 anni, percentuale che può anche migliorare passato il primo anno. Il tumore origina dalle ghiandole mammarie e fortunatamente è uno di quei tumori su cui è efficace uno dei tre screening oncologici oggi riconosciuti in Italia grazie al quale è possibile ridurre il rischio di incidenza di tumori andando a cogliere il momento in cui sono meno pericolosi con un impatto positivo dunque sulla sopravvivenza”.


Ci sono dei fattori di rischio predisponenti e a quali sintomi una donna deve star attenta?

“Ci sono sicuramente dei fattori di rischio. Un tumore non origina mai da una sola causa, devono concorrere diversi fattori affinché la cellula tumorale si formi e cresca formando quello che è il vero e proprio tumore. Questi fattori possono essere modificabili e non modificabili. Questi ultimi sono: appartenere al sesso femminile, l’età, possibile predisposizione genetica con modificazione del Dna che può essere ereditata dai genitori o che si può formare ‘de novo’. E poi ci sono i fattori modificabili come: gli stili di vita, l’assetto ormonale denominato anche ‘finestra estrogenica’ quando una donna è stata esposta ai fattori ormonali. Oppure aver ricevuto trattamenti di radioterapia che hanno coinvolto il torace e quindi anche il tessuto mammario e l’alimentazione. Ci sono situazioni sia da un punto di vista di metabolismo, conosciute anche come sindrome metabolica o assunzioni di alimenti che potrebbero favorire e aumentare il rischio di sviluppare un tumore alla mammella. Bisogna effettuare autopalpazione una volta al mese e per eseguire questa operazione in modo corretto consiglio di chiedere al proprio ginecologo. Qualora si colga la presenza di un nodulo o se si modifica uno preesistente è il momento di rivolgersi al medico. Allo stesso modo attenzione in caso di secrezione del capezzolo e all’osservazione allo specchio. Se la pelle del seno sembra tirarsi in dentro quello è un sintomo molto importante che deve spingere la paziente dal proprio medico curante”.


Con la pandemia molte diagnosi sono andate perse o sono state tardive. Questo ritardo quanto incide sul decorso della malattia?

“Quanto inciderà realmente lo sapremo con i dati che avremo in futuro. La diagnosi precoce, ossia ‘prendere’ il tumore nelle sue prime fasi, è ottimale perché riduce il rischio di dover affrontare cure più importanti e migliora la sopravvivenza. Gli screening sono stati molto penalizzati durante la pandemia. C’è stato un dimezzamento dell’offerta di screening ma accanto alla riduzione dell’offerta si è registrata allo stesso tempo una disaffezione delle donne a partecipare per la paura di accedere in ospedale. Negli ultimi 9 o 10 mesi del 2020 sono state registrate circa 600mila mammografie in meno e per questo ci si attende un ritardo nella diagnosi o una mancata diagnosi pari a 2.700 tumori mammari in meno. A maggior ragione in questa fase bisogna recuperare gli screening da una parte e dall’altra le donne dovrebbero chiedere al proprio medico una visita per recuperare un eventuale ritardo e fare diagnosi precoci”.


Ci sono nuove frontiere di trattamento e quanto è importante la prevenzione, ma anche la qualità dei cibi che portiamo a tavola? Può fare la differenza?

“Sicuramente sì. Per quanto riguarda i cibi noi diciamo ai nostri pazienti che la dieta deve essere equilibrata e regolare. Senza scendere nei dettagli, perché abbiamo visto che ci sono studi che incentivano l’assunzione o meno di certi cibi piuttosto che altri, la dieta mediterranea è il modello da seguire. Va evitato invece l’alcool che è considerato anche dall’Oms un elemento cancerogeno. Non esiste un solo tumore della mammella. Ve ne sono di differenti e necessitano di cure diverse. In ogni caso sono in arrivo trattamenti nuovi sia per i tumori definiti ‘ormoni sensibili’ e sia per i tumori che necessitano di chemioterapie o anticorpi monoclonali. Sono tutt’oggi in corso studi di nuovi farmaci che dovrebbero portare ad un miglioramento della prognosi”.

Le notizie del sito Dire sono utilizzabili e riproducibili, a condizione di citare espressamente la fonte Agenzia DIRE e l’indirizzo www.dire.it