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Vaccino, Pani: “Contro le varianti l’Italia sta facendo troppo poco”

"Strategia non chiara, no allo stoccaggio delle seconde dosi se vuoi proteggere"

Pubblicato:27-04-2021 12:30
Ultimo aggiornamento:27-04-2021 13:57

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ROMA – “Il sistema di sequenziamento massivo americano è stato potenziato per far fronte alle varianti, così come l’agenzia regolatoria del farmaco, Food and Drug Administration, effettua controlli sui prodotti terapeutici anti Covid, compresi i monoclonali e i vaccini, per valutare le mutazioni dovute alle nuove varianti. Tutto questo non mi risulta ci sia in Italia”. A spiegare cosa manca in Italia per far fronte alla variante indiana è Luca Pani, professore di psichiatria clinica all’Università di Miami, Usa, e profondo conoscitore delle procedure e delle azioni delle agenzie del farmaco, avendo fatto parte del CHMP dell’Ema ed essendo stato direttore generale dell’Aifa. Interpellato dalla Dire, Pani spiega come gli Stati Uniti siano arrivati al sequenziamento massivo ma anche il ruolo dei vaccini per proteggersi contro le nuove varianti.

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Covid, in Veneto due pazienti con la variante indiana

“Da novembre 2020, qui negli Stati Uniti il Center for Diseas Control and Prevention, l’agenzia pubblica americana, riceve regolarmente campioni di SARS-CoV-2 dai dipartimenti sanitari statali e da altre agenzie di salute pubblica per il sequenziamento, caratterizzazione e valutazione dell’infettività di queste varianti. Da gennaio 2021, il sistema di sequenziamento massivo è stato potenziato per processare circa 750 campioni a settimana. Per avere una ragionevole capacità di identificazione tempestiva delle varianti bisogna sequenziare regolarmente il 10-15% dei campioni. La FDA controlla regolarmente la compatibilità dei prodotti terapeutici (ovvero degli anticorpi monoclonali) con i siti di mutazione della proteina spike introdotti dalle varianti. Simili test possono attuarsi anche con i vaccini. La forza notevole di questo sistema è la raccolta regolare di numerosi campioni rappresentativi da tutto il Paese e la caratterizzazione dei virus al di là di ciò che la sequenza del RNA virale da sola rappresenta. Tutto ciò è utilissimo ma non mi risulta che una cosa anche minimamente simile venga fatta in Italia”.

Un’efficace campagna vaccinale si lega anche al contrasto della variante indiana, così come la sua efficacia è determinata anche dal perseguimento di una strategia che, come segnala Pani, non sembra molto chiara, tanto da affermare: “Se non hai materialmente i vaccini non c’è campagna vaccinale che tenga ma non mi pare che mai in questi ultimi 4 mesi in Italia, come in molti Paesi va detto, si sia arrivati al 100% di dosi somministrate rispetto a quelle distribuite. Quindi, per il momento, si tratta di un problema logistico o forse anche tecnico-scientifico. Mi spiego. Se la strategia è quella di vaccinare il più possibile con una sola dose allora non ti tieni dosi in frigorifero ma vaccini tutti quelli che puoi con le debite priorità, mentre se vuoi avere una piena copertura cerchi di fare in modo di rispettare la tempistica della seconda dose che solitamente è somministrata circa un mese dopo la prima. In questo caso c’è una differenza del 20-25% tra le dosi distribuite e quelle effettivamente somministrate”.

PANI: “NON SIAMO PRONTI PER LE RIAPERTURE

Non siamo pronti per le riaperture disposte da ieri, 26 aprile“. Ne è convinto Luca Pani, medico, esperto in farmacologia e biologia molecolare, già direttore generale di Aifa e nella commissione per l’approvazione dei medicinali per uso umano dell’Ema, ovvero la CHMP. Proprio per mettere in sicurezza queste prime riaperture decise dal governo con l’ultimo decreto, Pani spiega che “non appena sarà stata garantita la vaccinazione alle fasce più deboli della popolazione per età e rischio, è assolutamente necessario rendere la vaccinazione più aperta e fruibile possibile. Il problema in Italia- sottolinea- è stato che gli anziani o i malati immunodepressi o gli individui a rischio non sono stati vaccinati tempestivamente, permettendo di salvare molte vite. Invece sono state messe assurde limitazioni d’età e vaccinate categorie come docenti universitari o altre dove non era necessario. Non mi pare quindi che siamo ancora pronti, perché i richiami francamente stucchevoli a una maggiore responsabilità e ottemperanza alle regole da parte dei cittadini, dimostrano una pericolosissima ignoranza dei comportamenti umani che, come è noto, sono quelli più difficili da prevedere in una epidemia”.

Secondo il professor Pani “la popolazione ha già ampiamente dimostrato di non avere nessuna intenzione di seguire queste regole non scritte. Nel momento in cui passiamo dalla fascia rossa a quella arancione e ora a quella gialla, il Governo sta ‘certificando’ la libertà di movimento e se, nel frattempo, non riesce a fare una campagna vaccinale degna di questo nome e non fa usare gli anticorpi monoclonali in modo capillare e massivo per evitare la progressione di malattia nei pazienti a rischio, quello che succederà è un aumento dei contagi, dei letti occupati nelle terapie intensive e, purtroppo, dei morti entro le prossime 2-3 settimane. Spero tanto di sbagliarmi”, conclude lo studioso.

PANI: “UN DANNO LE RESTRIZIONI DI AIFA ALL’USO DI J&J

“Temo che la frittata sia già stata fatta, soprattutto in Italia, un Paese noto per la sua esitazione vaccinale, dove le decisioni tecniche si sono ‘adagiate’ su considerazioni politiche e dove mi risulta che molti pazienti ora rifiutino il vaccino AstraZeneca e probabilmente anche quello della J&J”, prosegue Luca Pani. Interpellato dall’agenzia Dire, Pani spiega cosa non funziona con la raccomandazione del vaccino Johnson & Johnson solo agli over 60 da parte di Aifa, com’è stato già fatto anche per il vaccino di Oxford, e come questo possa impattare sulla campagna vaccinale.

“Non funziona il fatto che bisogna tenere la barra dritta e andare avanti in modo molto deciso. L’indicazione sulla scheda tecnica aggiornata da EMA è per individui dai 18 anni di età. Non ci sono controindicazioni per la somministrazione e la campagna vaccinale dovrebbe continuare con tutti e due i vaccini a vettore virale J&J e AstraZeneca (rinominato Vaxzevria) implementando un piano di mitigazione del rischio con monitoraggio dei segni precoci di embolia nella popolazione identificata a rischio. Punto e basta – sottolinea Pani. Sappiamo peraltro che questi vaccini sono stati approvati non secondo le procedure classiche ma con autorizzazioni in condizioni emergenziali. Temo che tecnicamente e politicamente ci si sia dimenticati che cosa significa emergenza nelle procedure regolatorie. Si prendono dei rischi lievemente superiori a quelli di una approvazione classica in cambio di benefici molto chiari e tangibili che, soprattutto nel caso dei vaccini, si riflettono sulla salute della popolazione generale compresa la capacità di produrre reddito e non affondare in una pandemia anche economica e sociale. Con oltre 35 milioni di dosi somministrate al mondo di AstraZeneca e circa 7 milioni di quello J&J mi pare che non sia assolutamente giustificato limitarne l’uso secondo le fasce d’età per un rischio remotissimo” afferma l’ex dg di Aifa.

Quindi, come comportarsi con i vaccini raccomandati solo per gli over 60: “Non c’è nessuna indicazione regolatoria per limitare l’uso in base all’età né da parte di EMA che da parte di Food and Drug Administration, dopo un attenta revisione separata da parte di entrambe queste Agenzie”, spiega Pani, che però precisa che la restrizione sull’età decisa da Aifa inciderà invece sulla campagna: “Il danno è fatto, spero si possa riparare con un adeguato numero di altri vaccini perché altrimenti le famose 500.000 somministrazioni al giorno, che sono comunque poche per raggiungere un’immunità di gregge minima del 65%, in grado oltretutto di ridurre il rischio delle famose varianti di cui parlavamo da principio, non verranno raggiunte in tempi ragionevoli, ovvero almeno per fine anno”.


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