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Siria, la blogger Leila Al Shami: “Non sparate sui caschi bianchi”

Intervista alla fondatrice di 'Tahrir-Icn', rete di lotta contro le dittature estesa dal Medio Oriente al Nord Africa

Pubblicato:27-04-2018 15:16
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 12:49

Siria
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ROMA – Propaganda russa, estrema destra e sinistra “anti-imperialista a metà”: secondo Leila Al Shami, attivista e blogger siriano-britannica, sono anche questi i nemici dei “citizen journalist” che documentano il conflitto e di chi – come gli White Helmets – “è in prima fila per salvare vite”. Fondatrice di ‘Tahrir-Icn‘, rete di lotta contro le dittature estesa dal Medio Oriente al Nord Africa, Al Shami ha pubblicato nel 2016 ‘Burning Country: Syrians in Revolution and War’. Con l’agenzia DIRE parla al telefono, dall’Inghilterra, di ritorno da una conferenza all’estero.

Cominciamo dagli White Helmets, i volontari siriani conosciuti in Italia come “caschi bianchi”. Sul suo sito, ‘Leila’s Blog’, lei ha denunciato una campagna di disinformazione che li rappresenta come affiliati di Al Qaeda…

“Gli White Helmets lavorano con le donne e gli uomini delle comunità siriane assistendo le vittime dei bombardamenti aerei. Vanno nei luoghi colpiti rischiando la vita. Oggi sono vittime di una campagna di disinformazione e di teorie del complotto che mirano a screditarli. Ad alimentare queste teorie sono quasi sempre fonti russe o di estrema destra, amplificate poi da bot sui social o dalla cosiddetta sinistra anti-imperialista: tutta gente che non si trova sul campo, non ha modo di verificare e finisce solo per legittimare il governo di Bashar Assad”.

Gli White Helmets però sono stati accusati di diffondere immagini contraffatte. Il Cremlino li ha perfino associati a “servizi stranieri” responsabili di “una messinscena” a Douma, con le denunce di raid con armi chimiche…

“Con i loro filmati gli White Helmets documentano il lavoro di soccorso e le conseguenze dei raid. Non sono giornalisti ma sono rispettati dalle comunità. E per le vittime dei bombardamenti rappresentano spesso l’unica salvezza”.


Ricevono però finanziamenti europei e americani, in particolare dalla Gran Bretagna e dagli Stati Uniti. Come possono essere considerati fonti di informazioni affidabili?

“Che accettino gli aiuti occidentali è ovvio. Non hanno scelta. Come potrebbero altrimenti far fronte ai bisogni umanitari, che sono enormi? Per salvare vite servono milioni di dollari e a oggi non esistono altre fonti di finanziamento. Accettare aiuti e il rischio di un condizionamento, però, non vuol dire trasformarsi in marionette dell’Occidente imperialista. Anche le ong che operano nella Striscia di Gaza sono finanziate dall’Unione Europea. E non c’è nessuno scandalo”.

E la sinistra? Perché l’ha definita “anti-imperialista a metà”?

“Vuole vedere tutto attraverso il prisma dell’imperialismo Usa. Pensa che gli Stati Uniti lavorino per rovesciare il regime di Damasco e si dimentica di Russia e Iran, che in Siria sono intervenuti in modo massiccio. È un approccio sbilanciato, spesso cieco rispetto alle testimonianze quotidiane dei ‘citizen journalist’: che sono sul campo e verificano le informazioni, ma sono trattati come complottisti”.

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