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ROMA – Un protocollo ‘romano’ di linee guida per le ctu (i consulenti del giudici) su famiglia e minori sottoscritto dal Tribunale di Roma, dall’Ordine degli Avvocati di Roma, dall’Ordine degli Psicologi del Lazio e dall’Ordine dei medici e degli odontoiatri della Provincia di Roma, sta facendo molto discutere.
A partire dalla presenza di associazioni e CAV che hanno preso parte al tavolo e figurano nella prima pagina del documento senza esserne firmatarie.
Ecco chi se ne è dissociato e i commenti che arrivano dagli esperti che da sempre combattono l’utilizzo esplicito o implicito dell’alienazione parentale nei procedimenti civili, laddove ci siano allegazioni di violenza domestica. Dalla convenzione di Istanbul alle carte sui diritti dell’infanzia ecco le voci di dissenso e l’appello: si escludano dagli elenchi coloro che hanno diffuso e praticato l’alienazione parentale, anche sotto mentite spoglie.
“Il protocollo di Roma si mostra ‘fuori tempo’, non registra alcun cambiamento, non si riscontrano diversità rispetto al protocollo di Milano del 2012, e, per di più, è anche sottoscritto da alcuni esperti di alienazione parentale. Con una differenza: il protocollo romano, in un impianto complessivo che possiamo definire ‘generalista’, ha inserito alcuni paragrafi sulla violenza, in modo da poter essere preso in considerazione come una guideline che garantisca, ai consulenti che vi aderiscono, il mantenimento di posizioni consolidate nella loro attività presso i tribunali, malgrado si siano espressi a favore dei costrutti PAS (e dei relativi trattamenti da essa derivati) facendone anche oggetto di formazione”.
‘Partiamo dall’elemento specifico introdotto in caso di violenza, cioè il quesito, che viene considerato come parte integrante delle buone prassi. Si constata, purtroppo, che il quesito così come è presentato- sottolineano le esperte- non rispetta l’articolo 31 della Convenzione, quando rimette alla decisione del consulente, nel caso di allegazioni di violenza, se esaminare il rapporto padre-figlio per valutare il tipo di affidamento; oppure quando vorrebbe mettere a confronto le competenze genitoriali degli ex partner, considerando come vulnus della competenza dell’uomo la violenza agita ma, come contraltare per la donna, anche la violenza subita; oppure quando presume di poter trovare, nel caso del bambino esposto a maltrattamento assistito, varchi per stabilire un buon rapporto con il maltrattante. E così il consulente dovrebbe precisare: ‘se eventuali incontri con il genitore A (maltrattante, ndr) siano compatibili con il suo interesse e, in caso di risposta affermativa, suggerisca elementi per consentire al Giudice di determinarne le modalità più idonee, anche al fine di evitare contatti diretti tra i genitori e ogni forma di vittimizzazione secondaria’. Quest’ultima precisazione è da considerarsi irricevibile perché si rivela per quello che è, cioè come una scarsa conoscenza da parte di chi ha steso il protocollo di cosa sia e che caratteristiche abbia il fenomeno – oggetto di numerosi studi scientifici – del maltrattamento assistito, nonché di quali accertati effetti negativi esso produca sul minore, limitandosi a suggerire che il problema possa considerarsi risolto qualora il bambino possa essere accompagnato presso il padre da persona terza, con ciò non esponendo la donna al contatto diretto con il violento. Un tale suggerimento dimostra che gli estensori non hanno dimestichezza con le numerose sfaccettature psicologiche del rapporto che si instaura tra figli e genitori che esercitano violenza. Si tralascia così tutta la gamma di comportamenti messi in essere, attraverso racconti, atteggiamenti, giudizi etc. nei confronti dell’altro genitore, che costituiscono delle vere e proprie aggressioni nei confronti del minore, indirette ma non meno dolorose e nocive. Infine, sempre in un quesito che dovrebbe essere tarato sull’ipotesi della violenza, troviamo che il consulente [punto d.] ‘Proponga i tempi di permanenza presso ciascuno dei genitori, solo qualora ciò sia conforme all’interesse del figlio, in assenza di condotte pregiudizievoli dei genitori’. Sembra qui di capire che la violenza assistita non sia valutata di per sé pregiudizievole, ma occorra altro (cosa?) per evitare la permanenza di bambini e adolescenti presso un genitore a cui carico vi siano allegazioni di violenza. Se non fosse già sufficientemente chiaro, il contenuto di questo sottoparagrafo fa comprendere che gli estensori del protocollo Roma pur parlando di violenza familiare, girano intorno al tema ma non ritengono di doverlo tenere in considerazione, quando ipotizzano che la violenza sul genitore (padre o madre che sia, ma sappiamo che nella stragrande maggioranza dei casi si tratta della madre) possa non costituire una condotta pregiudizievole per il minore’.
Così in un comunicato stampa il comitato scientifico del Protocollo Napoli (Caterina Arcidiacono, Antonella Bozzaotra, Gabriella Ferrari Bravo, Elvira Reale, Ester Ricciardelli).
ASSOCIAZIONE DIFFERENZA DONNA: MAI CONDIVISO, NE SOTTOSCRITTO
“In relazione alle Linee guida sulle Ctu in materia di famiglia e minori sottoscritte dal Tribunale di Roma, dall’Ordine degli Avvocati di Roma, dall’Ordine degli Psicologi del Lazio e dall’Ordine dei medici e degli odontoiatri della Provincia di Roma, si chiarisce che Differenza Donna ha partecipato al tavolo di lavoro al fine di ribadire che il ricorso alla Consulenza tecnica d’ufficio per la valutazione delle competenze genitoriali delle donne che sono vittime di violenza di genere non è coerente con la tutela dei loro diritti fondamentali. Per questo motivo, Differenza Donna non ha condiviso né sottoscritto le Linee Guida, illustrando al tavolo di lavoro il documento depositato nel gennaio 2023 che di seguito si pubblica”. Così in una nota ufficiale l’associazione Differenza Donna prende posizione in merito al ‘Protocollo romano’ delle Ctu che, tra i diversi aspetti contemplati nelle linee guida, avrebbe ‘relegato’ la violenza domestica alla parte finale del documento, oltre a non aver escluso i Ctu legati alla scuola dell’alienazione parentale; a prevedere una valutazione della capacità genitoriale anche della vittima di violenza e a rafforzare il ruolo già preponderante, secondo molti esperti della materia, delle Ctu nei procedimenti d’affido dei minori.
Nella prima pagina del documento, tra i soggetti che avrebbero preso parte al tavolo, figurano anche associazioni e cav, alcune delle quali però con delle note ufficiali prendono ora formalmente le distanze dal protocollo.
“Si tratta di un Protocollo che non tiene conto del lavoro svolto dalla Commissione parlamentare di inchiesta sul Femminicidio e dei report pubblicati nel 2022, né delle condanne della Cedaw, del Grevio, della Cedu, della Commissione sullo Status delle donne Csw dell’Onu del marzo 2022, né delle indicazioni della Relatrice Speciale Reem Alsalem del 2023, approvate dal Consiglio per i Diritti Umani nel luglio 2023, che chiedono la esclusione dagli elenchi CTU dei tribunali di tutti quegli psicologi e psichiatri che per anni si sono dimostrati incompetenti insegnando, diffondendo e diagnosticando la Pas”.
E’ il commento dell’avvocata Michela Nacca, presidente dell’associazione Maison Antigone impegnata al contrasto della Pas e corollari.
“Mentre in molti Stati americani democratici grazie alla Legge Kayden stiamo assistendo alla chiusura dei centri per il trattamento dei minori che rifiutano un genitore e la migrazione degli psicologi favorevoli al costrutto Parental Alienation verso Stati conservatori, così come sta accadendo anche in Australia, viceversa in Italia non constatiamo un coraggio analogo, venendo ancora inseriti quesiti che chiedono di verificare le capacità genitoriali in base alla collaborativita’: il vulnus attraverso il quale avviene il rischio rivittimizzazione”.
“Il nuovo Protocollo romano (linee guida) per le Ctu, adottato recentemente dal Tribunale di Roma per regolamentare le consulenze tecniche nei procedimenti di famiglia, introduce alcune buone prassi, ma presenta lacune molto preoccupanti. Tra queste, una delle più gravi è la scarsa considerazione della volontà del minore nei casi di presunta violenza domestica. La Convenzione Onu sui Diritti dell’Infanzia e la Convenzione di Istanbul stabiliscono chiaramente che il minore ha diritto a esprimere la propria volontà nei procedimenti che lo riguardano. Questo principio, tuttavia, viene trattato in modo ambiguo nel protocollo. Sebbene sia previsto l’ascolto del minore, la sua volontà non sembra avere un peso decisivo nelle valutazioni finali, specialmente nei casi in cui un genitore viene accusato di violenza. Il Ctu è chiamato a valutare la qualità della relazione del minore con ciascun genitore, ma senza un chiaro indirizzo metodologico su come distinguere un rifiuto legittimo da una possibile manipolazione”.
Sono le parole di Jakub Stanislaw Golebiewski, presidente dell’associazione Padri in Movimento, impegnata contro l’uso dell’alienazione parentale nei tribunali e il mancato ascolto e tutela dei minori dal genitore violento.
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