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J’accuse dell’oste bolognese: “Solo sacrifici, ma lo Stato ci umilia”

Dura lettera aperta di Fabio Rodda, che descrive l'odissea della pandemia: "Sono un ristoratore, un cittadino umiliato dallo Stato. Non dal virus, da voi"

Pubblicato:27-02-2021 15:12
Ultimo aggiornamento:27-02-2021 15:23

Osteria dell'Orsa Bologna
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Osteria dell'Orsa Bologna

BOLOGNA – Poco più di anno fa l’Osteria dell’Orsa, storico locale bolognese nel cuore della zona universitaria, brulicava di avventori e tra un piatto di tagliatelle e l’altro (prodotte nel laboratorio di pasta fresca nella porta accanto), capitava di iniziare una conversazione con i turisti seduti al tavolo vicino (molto vicino). L’Orsa a Bologna è un’istituzione, tra gli studenti, ma non solo. L’Orsa, come gli altri ristoranti di Bologna, soffre. Non lo nasconde Fabio Rodda, che con altri soci, gestisce l’osteria da 20 anni. “Sono un ristoratore, un cittadino umiliato dallo Stato. Non dal virus, da voi. È passato un anno dall’inizio della pandemia, da quando io ho smesso di guadagnare. Sono passati dodici mesi e ancora si gioca ad ‘apri e chiudi’ con i locali”, sono le prime parole di una lettera indirizzata ai “rappresentanti del popolo italiano”, le istituzioni, il Governo, quelli dai quali Rodda e i suoi colleghi si sentono abbandonati.

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“Un anno fa ero socio di un gruppo che gestiva tre locali e un negozio di pasta fresca a Bologna, con sette soci e oltre sessanta dipendenti. Oggi, sono ancora socio di quel gruppo che ha tre locali e un negozio di pasta fresca chiusi, che ha perso oltre venti dipendenti, il 70-80% del fatturato e che ha avuto per ristori, in tutto il 2020, nemmeno la cifra sufficiente a pagare le tredicesime e gli adeguamenti degli stipendi di gennaio ai dipendenti“, racconta.

“In 20 giorni, tra la fine di dicembre 2020 e l’inizio di gennaio 2021, abbiamo speso più di tutto quello che lo Stato ci ha dato in un anno. Personalmente, io ho ricevuto anche l’insulto dall’Inps di vedermi accreditare 1.200 euro in 12 mesi, arco di tempo in cui io allo stesso istituto ho versato un po’ più di 5.000 euro. Io, personalmente io, non la mia società che paga cifre ben più importanti”, squaderna i libri contabili.

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“Scrivo queste righe rabbiose di un’umiliazione sorda che fa girar la testa, dopo aver pagato l’ennesimo F24 dell’anticipo Irpef ancora calcolato sul reddito 2019, circa il 90% più alto di quello 2020″, ammette il ristoratore, uno che rivendica di aver rispettato tutte le regole, tra quelli che hanno deciso per senso di responsabilità di non aderire alle proteste delle aperture abusive. “Ci negate il diritto al lavoro in nome di un interesse nazionale: la salute. Benissimo, concordo. Io avrei tenuto chiuso anche tutto il 2020, se voi, lo Stato, mi aveste garantito un congelamento della situazione. Nessun guadagno, nessuna crescita, ci mancherebbe: c’è una pandemia, questioni nazionali ben più importanti del mio reddito personale; ma nemmeno la rovina. E, invece, continuate a rimpallare misure giorno per giorno”, osserva sconfortato. “Ci chiudete ma a singhiozzo così potete non occuparvi di noi, potete non investire su di noi. Ci permettete di respirare quel tanto che serve a non morire, ma niente di più. E continuate a parlare di soldi che non vediamo. Perché? Non ci sono? E dove sono i vent’anni di tasse che io ho pagato? Da uomo che crede nello Stato e nel benessere di tutti al di sopra di quello dei singoli, io sono umiliato da voi”, punta il dito l’oste.

“Mi trovo ad ammettere, con disgusto, che se mi fossi tenuto in tasca quello che ho versato negli ultimi venti anni di tasse (che reputo giuste e doverose, si badi), non solo avrei passato l’anno di pandemia serenamente ad aspettar che finisse il disastro, ma avrei tenuto le serrande abbassate delle mie attività pagando tutte le spese e mantenendo tutti i miei dipendenti a stipendio pieno”, è la provocazione di Rodda. “E, invece, ho passato ore al telefono con persone care in lacrime per una cassa integrazione vergognosa che non copre nemmeno un affitto. E, invece, ho messo firme in banca per indebitarmi, finché potevo, per salvare l’azienda”, scrive, evidenziando un nuovo problema: “Finché potevamo, perché adesso le banche cominciano a scuotere la testa di fronte al ristoratore, nuova categoria esplosivamente a rischio. Da asset sacrificabile (se il mio ristorante fallisce, arriverà qualcuno coi soldi magari della mafia, della ‘ndrangheta come succedeva dopo la crisi del 2008, a rilevarlo e si continueranno a fare le tagliatelle al ragù), siamo diventati paria dell’economia. E questo non è colpa del virus, ma di un governo che ci sta umiliando giorno dopo giorno”, accusa Rodda. “Sogno di venire smentito. Di non trovarmi fra tre mesi, quando finirà la seconda moratoria sul mio mutuo, a dire alla mia compagna che io, 43 anni, da più di 20 a lavorare per la mia azienda e pagar tasse, dopo un anno a inventarmi fattorino, lavapiatti, ambulante pur di tenere in piedi la mia attività, non ho più di che pagare l’appartamento in cui viviamo”, si sfoga. “Ho dimezzato i posti a sedere, comprato divisori di plexiglas, chiuso quando mi avete detto di chiudere, pagato le tasse anche senza guadagnare. Seguito tutte le regole, credendo fosse giusto farlo. Ho finito i miei risparmi personali per sopravvivere. Voi, cos’avete fatto per me?“, chiede. “Nell’unico anno in cui io ho avuto bisogno di voi e non solo voi di me, dei miei F24. Nessun sostegno economico; nemmeno un tampone gratis, se voglio farne uno per sicurezza personale devo pagarlo. Cosa mi darete in cambio del sacrificio, enorme, chiesto e imposto? Purtroppo, io credo nella collettività molto più di quanto avete dimostrato di crederci voi“, conclude.


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