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Sette sataniche e allarme sociale che non c’è, Di Marzio le racconta “tra panico morale e leggi liberticide”

Mentre abbondano apparizioni televisive e interviste, di fatto la Polizia antisette italiana, in oltre 10 anni, non ha concretizzato nulla. Il pericolo esiste davvero? Qui un lungo articolo di Raffaella Di Marzio, direttrice del Centro studi sulla libertà di religione credo e coscienza

Pubblicato:27-02-2019 18:23
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 14:10
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ROMA – ‘Essere o non essere setta: questo è il problema’ e’ l’incipit dell’articolo di Raffaella Di Marzio, membro del Comitato DireDonne e direttrice del Centro Studi sulla Libertà di Religione Credo e Coscienza (LIREC) sul mondo delle minoranze religiose e sul significato di alcuni termini spesso utilizzati nel dibattito comune. ‘Ogni mattina quattro milioni d’italiani si alzano e hanno un segreto: sono membri di un’organizzazione settaria’. Sono le parole pronunciate dalla deputata Stefania Ascari (M5S) in Parlamento pochi giorni fa, sulla base di una recente pubblicazione che vorrebbe sensibilizzare l’opinione pubblica e le istituzioni al problema delle ‘sette’, con l’obiettivo dichiarato di reintrodurre nel nostro codice penale il reato di plagio. Il problema delle ‘sette’- ricorda Di Marzio- ritorna periodicamente a riempire le pagine dei giornali imperversando sui social con una sorta di effetto domino, tipico dell’informazione virtuale. L’allarme viene lanciato da testimoni che riferiscono di aver subito abusi all’interno di qualche organizzazione e confermato da alcuni esponenti di associazioni antisette nelle quali militano ex-membri, parenti di persone affiliate a gruppi minoritari e psicologi, tutti impegnati a identificare questa tipologia di gruppi e riparare ai danni che sarebbero causati a persone deboli e indifese.

I racconti delle vittime, spesso col viso coperto e la voce alterata, e i commenti degli esperti antisette, confermano l’allarme e l’imminente pericolo per ciascuno di noi, di essere irretito da qualche ‘guru’ in grado di manipolarci e renderci ‘schiavi’. Il numero di italiani coinvolto in questo mondo ‘oscuro’– scrive ancora Di Marzio- sarebbe elevato, qualcuno parla addirittura di cifre a sei zeri, tanto che gli autoproclamati custodi del benessere dei cittadini e della legalità reclamano a gran voce perfino leggi speciali, mentre, da oltre dieci anni, esiste in Italia una unità di polizia dedicata (Squadra Antisette). Non esiste neanche un rapporto ufficiale sugli esiti investigativi di questa unità di polizia antisette, come è stato richiesto in alcune interrogazioni parlamentari, mentre abbondano le apparizioni televisive e le interviste ai media di diversi funzionari e dirigenti.

Non c’è alcun allarme sociale

La bella notizia è che, in realtà, non c’è alcun allarme sociale e che il fenomeno delle ‘sette’ è una realtà talmente complessa nella sua definizione e ancor di più nella sua comprensione, che non è possibile neanche quantificarlo, perchè non esiste una definizione univoca di ‘setta’– spiega la direttrice del Centro Lirec- che distingua queste realtà dalle religioni. Se non sappiamo cos’è una setta non possiamo neanche dire quante persone vi aderiscono e sono, eventualmente, in ‘pericolo’. L’uso del termine ‘setta’ non è evitato solo dagli studiosi accademici, ma anche da istituzioni autorevoli come il Consiglio d’Europa, che invita gli Stati membri a non usarlo e a sostituirlo con la definizione di ‘gruppi di natura religiosa, spirituale o esoterica‘. In questo modo, secondo il Consiglio d’Europa, si eviterebbero tre insidie: discriminare gruppi con dottrine strane ma del tutto innocui; includere, tra i gruppi pericolosi, organizzazioni perfettamente inserite nelle religioni maggioritarie; distinguere, in maniera discutibile e arbitraria, le sette dalle religioni.(Raccomandazione 1412/1999).


Un mondo variegato di 866 minoranze e gruppi spirituali

Convertire o manipolare? E’ la domanda che Raffaella Di Marzio affronta nella seconda parte del suo articolo per DireDonne. La manipolazione, cioè la persuasione, è una strategia che viene utilizzata in tutte le organizzazioni, religiose e non religiose, che intendono fare proseliti o acquisire nuovi clienti. Anche in questo caso non ci sono criteri validi per verificare se la scelta che una persona fa di aderire a un determinato gruppo sia totalmente libera o solo in parte oppure se sia indotta, a meno che non vi siano minacce e ricatti evidenti. Aderiscono a questa tipologia di gruppi, secondo il CESNUR, meno dell’1% di italiani, inclusi nel 3,7% della popolazione che si affilia a una minoranza religiosa o spirituale. Considerando che il numero complessivo di minoranze religiose e spirituali censite è di 866, è facile immaginare quanto ciascuno di esse si configuri in modo totalmente diverso dall’altra, per dottrine, prassi e funzionamento. All’interno di questo mondo possono esserci, come in qualsiasi altro contesto sociale, persone che commettono reati e gruppi che si organizzano al fine di commetterne (associazioni a delinquere), ma non c’è un’incidenza maggiore di reati tra le minoranze religiose e spirituali rispetto ad altri contesti sociali.

Ci sono gruppi religiosi che, nel tempo, subiscono dei cambiamenti e diventano sempre più ‘chiusi’ e autoritari ma ciò avviene in tutti i contesti religiosi, sia minoritari che maggioritari, tanto che anche nella Chiesa cattolica ci sono gruppi e movimenti pienamente riconosciuti che sono stati accusati di essere ‘sette’, di fare proselitismo ingannevole e ‘manipolare’ i propri membri.

I segnali di pericolo da cogliere

Un altro tema importante è quello relativo ai segnali di pericolo da cogliere. Molto spesso- scrive ancora Di Marzio- ci si chiede quali sono i segni di un’affiliazione pericolosa e come si possono distinguere gruppi settari da altri che non presentano caratteristiche di questo genere. Poichè tali caratteristiche si possono riscontrare in molti movimenti, di diversa matrice, dottrina e prassi, possiamo rispondere in parte a questa domanda partendo da un caso specifico e recente verificatosi in una sezione romana di Forza Nuova. Il caso è stato oggetto di un articolo pubblicato da Repubblica, di Federica Angeli e Giuseppe Scarpa: La scuola di razzismo nella sede di Forza Nuova a Roma: ‘Picchiate i bengalesi’, del 2 novembre 2017. Nell’articolo vengono riportate le preoccupazioni dei genitori di ragazzi che hanno aderito al movimento e si sono rivolti ai carabinieri che hanno svolto indagini al termine delle quali la procura di Roma ha chiesto il rinvio a giudizio per ‘incitamento all’odio razziale’ di diversi esponenti del movimento neofascista. In questo caso specifico il primo elemento di pericolosità è proprio la ‘dottrina’ o ‘ideologia’ del gruppo: l’istigazione all’odio, il distacco emotivo di figli minori dai genitori, il cambiamento di umore dei ragazzi che diventa instabile, irascibile e aggressivo, la fede cieca nell’indottrinamento alla violenza messo in atto dai leader del movimento i quali incitavano, secondo gli inquirenti, a colpire i più deboli e a compiere reati. Inizialmente si trattava di affissioni e volantinaggio abusivi poi di pestaggi, denominati nel movimento ‘Bangla tour’ (cioè il pestaggio di cittadini bengalesi). Questi fatti, riscontrati dalle forze dell’ordine, hanno portato a formulare l’accusa contro alcuni dirigenti del movimento, di ‘incitamento alla discriminazione e alla violenza per motivi razziali e religiosi, nonché il ricorso alla violenza come mezzo di risoluzione delle controversie’. In questo caso- scrive Di Marzio- ci sono alcuni segnali chiari di pericolosità, specialmente perchè i dirigenti intenzionalmente sceglievano di influenzare i ragazzi più giovani, in età adolescenziale, in modo da indirizzarne gli orientamenti e alimentare l’aggressività e si erano mostrati del tutto indifferenti di fronte ai tentativi dei genitori di proteggere i propri figli attraverso il dialogo con loro. E’ evidente che in questo caso come in tutti gli altri, i soggetti influenzati presentano caratteristiche di personalità preesistenti e situazioni conflittuali con i genitori, che rendono più agevole il compito del leader nell’indottrinamento. Questo è vero per tutti i casi di indottrinamento che, con ogni evidenza, funzionano e hanno successo solo con un numero limitato di persone, mentre molte altre si sottraggono e si allontanano quando le pressioni diventano insostenibili e le idee non sono più condivisibili.

La responsabilità è individuale, non si può additare la comunità

Questo caso emblematico non ha nulla a che fare con altri casi di organizzazioni religiose e non religiose che i media e gli esperti antisette hanno ripetutamente etichettato come sette pericolose o ‘distruttive’. Se pensiamo alla Comunità di Damanhur, all’Istituto Buddhista Italiano Soka Gakkai, alla Congregazione Cristiana dei Testimoni di Geova, all’azienda Genio in 21 Giorni, all’Associazione Ananda Assisi, ci troviamo di fronte a organizzazioni che non presentano alcun elemento di pericolosità sociale ma che vengono stigmatizzate per il solo fatto di essere minoranze ‘diverse’ e ‘alternative’ al contesto culturale e religioso maggioritario. E’ vero che alcuni genitori non condividono la scelta libera dei loro figli di aderire a queste comunità o di partecipare alle attività di formazione di una determinata azienda e accade spesso che enti e corporazioni di vario genere vedano in queste organizzazioni dei ‘rivali’ o ‘concorrenti’ che potrebbero ledere i loro interessi corporativi. Tuttavia, queste motivazioni- continua ancora Raffaella Di Marzio- non sono sufficienti per determinare la pericolosità sociale di un gruppo che va studiato e osservato senza pregiudizi di sorta. Ovviamente, nessuna di queste organizzazioni è al di sopra della legge e certamente è possibile che al loro interno ci siano persone che compiono dei reati o che esercitano pressioni indebite sui membri, come avviene in tutti i contesti sociali, ma la responsabilità è sempre individuale e la colpa dell’individuo non rende l’intera comunità colpevole di per sè.

Alcuni parlamentari- scrive Di Marzio- negli ultimi 25 anni, hanno ritenuto di dover intervenire presentando progetti di legge per la reintroduzione del reato di plagio, abolito dalla Corte Costituzionale nel 1981, nel nostro codice penale, con il nome di ‘manipolazione mentale’. Una norma di questo genere, del tutto anticostituzionale, potrebbe colpire indiscriminatamente chiunque poiché si fonda su una nozione, quella di ‘manipolazione mentale’, difficile da accertare e, per questo, da decenni rifiutata dalla maggior parte degli studiosi accademici e da istituzioni scientifiche autorevoli. Ritengo, in base all’esperienza che ho accumulato in oltre 20 anni di esperienza, che il problema da affrontare sia complesso e le soluzioni semplicistiche rischiano di peggiorare la situazione e acuire le sofferenze delle persone coinvolte (famiglie o adepti). Anche il Consiglio d’Europa, intervenendo qualche anno dopo gravi episodi di suicidi e omicidi avvenuti in Europa all’interno di gruppi spirituali, si è pronunciato contro leggi speciali in materia di ‘sette’, come risulta dall’importante Raccomandazione 1412 (1999) in cui, rivolgendosi agli Stati membri, proponeva ‘l’uso delle normali procedure della legge penale e civile contro le pratiche illegali svolte in nome di gruppi di natura religiosa, esoterica o spirituale’. Infine, l’elemento decisivo che spinge la società civile a intervenire contro l’approvazione di qualsiasi legge ‘speciale’ è che manca il fondamento scientifico per la nozione di ‘manipolazione mentale’ applicata a gruppi religiosi.

Le tecniche di influenza sono normali nei gruppi religiosi

Solo per fare un esempio l’APA (American Psychological Association), la più grande e importante associazione professionale degli psicologi nel mondo, nel 1987 ha respinto un rapporto elaborato da studiosi antisette nel quale si voleva dimostrare l’esistenza della manipolazione nelle sette religiose, e, nel 1991, ha approvato una risoluzione nella quale dichiarava che in ambito psicologico non si può equiparare la persuasione indebita non fisica (o manipolazione mentale) con le tecniche di influenza che sono normalmente praticate da uno o più gruppi religiosi e che non ci sono tecniche di persuasione utilizzate nei gruppi minoritari qualitativamente diverse da quelle utilizzate nelle religioni maggioritarie.

Sulla base della mia esperienza e formazione professionale- conclude Di Marzio- ritengo che per affrontare adeguatamente i problemi legati al fenomeno dell’affiliazione a gruppi minoritari con dottrine e prassi atipiche rispetto alla nostra tradizione culturale, siano necessari un approccio indipendente e scientifico e, in caso di conflitti o problemi, un’azione ad ampio raggio, centrato sulla persona, che coinvolga esperti in diversi settori: medico, educativo, religioso e culturale.

Affiliarsi ad un gruppo spirituale non è patologico di per sè

L’affiliazione alle nuove religioni e forme spirituali non è un fenomeno da considerare in se stesso come ‘patologico’ poiché l’adesione a una religione, maggioritaria o minoritaria, non costituisce, di per sé, un problema per la salute mentale dell’individuo. Anzi, spesso la dimensione religiosa diventa una componente della personalità arricchente ed unificante, tanto da poterne spesso verificare gli effetti positivi sul benessere psicofisico dell’individuo. Il fenomeno, quando si manifesta con caratteristiche discutibili, si affronta adeguatamente non istituendo nuovi reati ma promuovendo la prevenzione attraverso una corretta informazione. Nei casi, molto rari, in cui l’affiliazione religiosa assume un carattere deformato fino a causare danni di vario genere alle persone, è necessario che vengano intraprese alcune iniziative concrete per fornire l’assistenza e l’aiuto psicologico e pedagogico necessario nei casi di conflitti individuali e/o familiari. Il problema, dunque, quando esiste, rientra nella normale conflittualità presente nella società e nelle famiglie e come tale va affrontato nel rispetto di tutti i soggetti coinvolti e senza alcun tipo di strumentalizzazione.

(Articolo di Raffaella Di Marzio, Comitato DireDonne)

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