FOTO | Le scuole di Roma al Ghetto di Cracovia: da qui inizia l’orrore

Il racconto della prima giornata del Viaggio della Memoria per 142 studenti di 10 scuole capitoline. Domani sarà la volta della visita al campo di Auschwitz-Birkenau

Pubblicato:27-01-2025 16:11
Ultimo aggiornamento:27-01-2025 16:11

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CRACOVIA – Tante lapidi, una attaccata all’altra, a formare un muro invalicabile. E a significare una pietra tombale. È così che Hans Frank, governatore della Polonia occupata, fece costruire il confine del ghetto nazista di Cracovia. Ed è questo che oggi hanno visto i ragazzi e le ragazze delle scuole di Roma, in visita nei luoghi di azione della crudeltà nazista durante il Viaggio della Memoria organizzato dal Campidoglio e dalla Città metropolitana, insieme alla Fondazione Museo della Shoah. Domani vedranno l’apice dell’orrore di Auschwitz-Birkenau, oggi hanno conosciuto la storia del ghetto nazista di Cracovia. “Diverso da quelli che ci sono in Italia”, ha raccontato loro Marcello Pezzetti, storico della Shoah che ogni anno accompagna le classi a conoscere questi luoghi per non perdere la memoria di quello che è stato.

DA KAZIEMERZ AL GHETTO “TOMBALE” OLTRE IL FIUME

La visita è partita da Kaziemerz, il quartiere ebraico della città polacca. “Fino all’arrivo del nazismo gli ebrei abitavano quasi tutti qui, per via delle leggi volute dal mondo ecclesiastico per cui gli ebrei non potevano abitare nel centro della città”, ha detto l’esperto a una attentissima platea. A quel tempo, intorno al 1939, a Cracovia c’erano circa 70mila ebrei. “Erano l’intellighenzia. Quasi mai lavoravano nel pubblico, ma soprattutto nel commercio, erano la classe media che mancava alla Polonia, un Paese fatto di nobiltà e contadini”, ha spiegato Pezzetti.

“Cambia tutto quando arrivano i nazisti e si spartiscono la Polonia con i sovietici, che prendono la parte est del Paese”. L’idea è di liberare Cracovia dalla presenza ebraica. E iniziano le emigrazioni forzate, ma presto il Reich capisce che è una soluzione non praticabile. E allora prima della soluzione finale, c’è quella temporanea: raggrupparli in una zona ermeticamente chiusa. “Questo è il ghetto nazista, diverso da tutti gli altri, perché chi provava a uscire veniva fucilato”, ha ricordato lo storico. E tuttavia il ghetto non era per tutti gli ebrei di Cracovia.
“Essendo la capitale del governatorato, Hans Frank fa un ghetto in cui inserire un quarto della popolazione ebraica della città”. Il resto della popolazione ebraica viene espulso tra il 1939 e il 1941. I più fortunati, gli abili al lavoro, devono lasciare tutto, abbandonare le loro case e le loro cose e spostarsi oltre il Vistola, il fiume che attraversa la città e segna un primo confine fisico. “E poi lì c’è la ferrovia, condizione necessaria per costruire il ghetto”.
Meno di un mese per lasciare Kaziemerz, percorrere la città e arrivare nel ghetto. Un percorso che oggi le studentesse e gli studenti hanno attraversato, accompagnati dalle fotografie che testimoniano quei momenti. Sotto un sole ancora non in grado di mitigare il freddo invernale, le classi hanno superato il ponte sotto cui scorre il fiume e sono arrivate all’ingresso principale del ghetto. “Manca soltanto la porta, il resto è rimasto identico”, ha fatto notare Pezzetti. Le rotaie, gli edifici. Compreso quello – elegante – dove risiedeva la Gestapo. Niente, però, indica quei giorni. Nessuna targa, nessuna segnaletica, ricorda il passato di queste strade. Che erano presidiatissime dalle guardie tedesche, polacche e anche ebraiche. “C’era un controllo totale, nessuno poteva uscire. Chi ci provava, veniva fucilato”.
Dall’ingresso, le ragazze e i ragazzi hanno percorso tutta la lunghezza del ghetto che racchiudeva la vita di 20mila persone. Piccole case a ridosso di una foresta, cortili nascosti. Poi, una scuola costeggiata da un parco giochi per bambini. Altalene e scivoli accanto a quel muro così particolare, con le estremità stondate. “La forma è quella delle tombe, perchè questo doveva essere il ghetto per gli ebrei di Cracovia. La loro tomba”. E così è stato. “Qui all’epoca c’era un asilo per i bambini nati all’interno”.


POI LO STERMINIO

Una sera i genitori tornano a casa e non li trovano più. Sono stati tutti fucilati in un bosco qui vicino”. Le alunne e gli alunni guardano Pezzetti. Poi si girano e guardano il muro, l’asilo che oggi è una scuola, i giochi per i bimbi. Restano in silenzio. Sanno che il peggio deve ancora venire.
“Il ghetto viene ridotto dopo la prima deportazione dell’estate 1942. Viene smantellata la parte degli inabili al lavoro e vengono deportati vecchi, bambini e malati”. Saranno condotti forzatamente nei tre campi del territorio del governatorato: Belzec, Sobibor e Treblinka. In quest’ultimo, le camere a gas erano camuffate in una Sinagoga, in tutti il treno arrivava direttamente dentro il campo. Il gas usato era ancora quello dello scarico dei carri armati, solo ad Auschwitz “ci sarà l’evoluzione” con l’uso del Zyklon B. “Essere qui oggi è importante”, ha detto Pezzetti indicando anche il punto in cui il protagonista di Shindler’s list vede la deportazione degli ebrei, proprio sopra la scuola.
“Credo che la giornata di oggi sia importante per inquadrare il contesto dentro cui cresce l’orrore massimo della storia, quindi Auschwitz. Ma domani è il giorno in cui coglieremo più a fondo l’impatto che questa esperienza ha sulle ragazze e sui ragazzi perché stare ad Auschwitz, ascoltare il racconto di quello che è accaduto, ha una potenza rievocativa gigantesca, in grado di trasformarli”, ha detto l’assessora alla Scuola di Roma Capitale, Claudia Pratelli, che ha accompagnato le classi a visitate il ghetto.

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