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VIDEO | In Italia sette medici su dieci sono obiettori di coscienza, gli aborti ogni anno sono 80mila

Un terzo delle donne che ricorrono all'interruzione volontaria di gravidanza sono straniere. A 42 anni dalla 194, intervista ad Angela Spinelli dell'Istituto Superiore di Sanità

Pubblicato:27-01-2020 14:08
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 16:54

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ROMA – Quarantadue anni fa veniva regolamentata dalla legge, la numero 194, l’Interruzione volontaria di gravidanza (Ivg). Grazie a questa norma una donna per motivi di salute, economici, sociali o familiari può richiedere di abortire entro i primi 90 giorni di gestazione (cioè 12 settimane e 6 giorni). Oltre questo termine, l’aborto volontario è ammesso solo quando la gravidanza o il parto comportano un grave pericolo per la vita della donna, o sono accertate gravi malformazioni del nascituro che possano determinare un grave pericolo per la salute fisica o psichica della madre. Ma quali sono i numeri dell’aborto in Italia? Ed esiste un identikit preciso delle donne che ricorrono a questa procedura? E quanto ne sappiamo in fatto di contraccezione nel nostro Paese? A rispondere all’agenzia di stampa Dire è Angela Spinelli, direttore del Centro Nazionale per la Prevenzione delle Malattie e la Promozione della Salute dell’Istituto Superiore di Sanità.

 – Quali sono i numeri dell’Interruzione volontaria di gravidanza in Italia? Le donne che accedono alla procedure hanno delle caratteristiche precise?


“Attualmente si contano circa 80mila interventi di Ivg all’anno in una fascia d’età compresa tra i 15 e i 49 anni. L’età media si aggira tra i 20 e i 35 anni d’età e questo evidenzia che non si registrano alti tassi di abortività tra le giovanissime. La fascia dove l’incidenza è maggiore, nel segmento intermedio, è quella con una crescente attività sessuale”.

– Che percentuali di Ivg si registrano tra le straniere?

“Le straniere, presenti nel nostro Paese dagli anni Novanta in poi, rappresentano un terzo del totale degli aborti praticati annualmente in Italia. Nelle regioni dove la presenza di straniere è maggiore si registra il loro maggior numero di interruzioni volontarie di gravidanza. L’altro dato che emerge è che l’età media, all’epoca delle procedure, è più bassa rispetto alle donne italiane che si sottopongono a Ivg”.

– L’Iss ha istituito un sistema di sorveglianza sull’Ivg. Quali sono le finalità e su quali criteri si basa?

“Dal 1978 la legge italiana garantisce l’interruzione volontaria di gravidanza e per questo l’Iss dal 1980, in collaborazione con il ministero della Salute e successivamente anche con l’Istat, ha istituito un sistema di sorveglianza che si basa sui dati che vengono raccolti attraverso le strutture dove l’interruzione avviene, le regioni poi raccolgono il dato a livello locale per inviarlo a livello centrale all’Iss. L’Istituto Superiore di Sanità, a questo punto, controlla la qualità del dato per avere una fotografia reale della situazione. In più il sistema di sorveglianza dell’Ivg negli anni ha esaminato tutta una serie di tematiche: dall’aborto clandestino all’aborto ripetuto, dalle caratteristiche delle donne che interrompono la gravidanza all’età di chi si sottopone a Ivg, nonché il profilo sociale di riferimento. Contrariamente a quanto comunemente si pensa, le donne che abortiscono non sono tanto le lavoratrici quanto piuttosto le casalinghe, o comunque donne con un titolo di studio basso. Il sistema di sorveglianza è riuscito a stimolare il dibattito, a destare le coscienze ed è stato utile per attivare processi atti ad evitare queste interruzioni di gravidanza”.

– Si registrano più richieste tramite i consultori o gli ospedali?

“Attualmente il consultorio è la struttura di riferimento per le donne anche perché è il luogo dove viene rilasciato alla paziente il documento da esibire in ospedale per poter fare l’intervento soprattutto se urgente. Inoltre fare del consultorio un punto di riferimento per le pazienti è quello che la legge auspicava. Anche il ministero della Salute e l’Iss ribadiscono l’importanza del consultorio familiare che può essere il luogo dove la coppia torna per discutere la contraccezione ed evitare interruzioni eventuali future”.

– Esiste ancora oggi un problema rispetto al numero di obiettori di coscienza oppure le coperture per l’accesso all’Ivg sono sufficienti sul territorio nazionale?

“Circa un 70% dei ginecologi, dunque 7 su 10, attualmente sono obiettori di coscienza, una percentuale sicuramente elevata, ma che non è uniforme in tutto il Paese. Ci sono delle regioni, come quelle del Sud, dove gli obiettori sono più elevati. Il Molise, la Sicilia e la Campania sono solo degli esempi. L’Ivg può essere anche di tipo farmacologico e probabilmente questo tipo di protocollo diminuisce l’impatto dell’obiezione di coscienza. Nel resto del Paese, soprattutto al Nord, c’è una percentuale di obiettori molto più bassa. Il ministero della Salute negli ultimi anni ha mostrato interesse verso il tema degli obiettori di coscienza ma grosse difficoltà all’orizzonte non se ne vedono”.

– Esiste in Italia una buona cultura sulla contraccezione? E cosa, a livello comunicativo, si potrebbe fare ancora per rendere più consapevoli le donne?

“La situazione negli anni sicuramente è migliorata. Dagli Anni 70 è stato possibile parlare con le persone e diffondere la cultura della contraccezione. Nel passato era vietato, mentre ultimamente emerge un largo uso del preservativo che è sicuramente il primo metodo contraccettivo per evitare la trasmissione di malattie sessualmente trasmesse, ma rimane comunque un 15% di coppie che durante i rapporti sessuali non utilizzano alcun metodo di protezione. Questo target può andare incontro a gravidanze indesiderate e successive eventuali interruzioni volontarie di gravidanza. L’Iss, insieme al ministero della Salute, lavora a una serie di indicazioni su cosa si potrebbe fare. In particolare i professionisti della salute potrebbero, quando entrano in contatto con la popolazione fertile in occasione di screening promossi dalle Asl, fare informazione alle pazienti sulle possibilità contraccettive. Lo stesso si potrebbe fare all’interno delle scuole. Non bisogna dimenticare che un altro momento utile per fare counseling sulla contraccezione è durante i 9 mesi di gravidanza, quando la donna si reca ai servizi materno-infantile, in modo da poter ponderare insieme agli esperti i metodi contraccettivi da adottare post nascita. Si può fare ancora molto per aiutare le donne e le coppie ad avere una procreazione più responsabile sempre nel rispetto delle scelte altrui”.

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