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BOLOGNA – Era il 26 novembre 2010 quando la tredicenne sparì a Brembate di Sopra: la ragazzina, 13 anni e un futuro (forse) da ginnasta, venne vista l’ultima volta mentre usciva dalla palestra del suo paese, a poche centinaia di metri da casa. Alle 18.47 il suo telefonino è agganciato dalla cella di Mapello, distante circa tre chilometri da Brembate, poi la traccia si perde. La sua scomparsa è rimasta un vero mistero per almeno tre mesi. Il suo corpo senza vita verrà ritrovato il 26 febbraio 2011, in un campo a Chignolo d’Isola, a una decina di chilometri da Brembate di Sopra. La ragazzina, dice l’autopsia, è stata uccisa lì, in quel campo, a coltellate. Ma probabilmente è morta anche a causa del freddo. Prima che venisse trovato il corpo, tutti ricorderanno l’appello straziante dei genitori della ragazzina, una coppia molto riservata e pacata, lanciato durante una conferenza stampa in mondovisione il 28 dicembre 2010: “Chi sa parli“, chiesero, quando ancora speravano di poter ritrovare la loro ragazzina viva.
Le indagini sono state lunghe, lunghissime, complicate e piene di polemiche. Per l’omicidio della ragazzina l’unico sospettato, poi diventato imputato e condannato all’ergastolo, è sempre stato Massimo Bossetti, che all’epoca dei fatti era un muratore di 43 anni con tre figlie. Per risalire a lui, la Procura fece fare esami del Dna a tappeto a migliaia di persone, più di 25.000 gli esami fatti, una scelta investigativa che venne criticata da più parti. La pista del Dna (a giugno 2011 una traccia mista, in parte della ragazzina in parte di ‘Ignoto 1’, venne individuata sugli slip della ragazzina che erano stati tagliati) portò a lui dopo una lunga sequela di accertamenti durati quattro anni: venne prima individuato il padre, Giuseppe Guerinoni, poi per via traverse si arrivò a Bossetti, che di Guerinoni era un figlio nato fuori dal matrimonio. Oltre alla prova ‘regina’ del Dna, c’erano altri indizi contro Bossetti: le celle telefoniche, un furgone Iveco bianco identico al suo ripreso dalle telecamere nei pressi della palestra di Yara, ma anche le fibre tessili (compatibili con i sedili del furgone) e le sfere metalliche (indice di qualcuno che fa il muratore) trovate sulla vittima. La difesa ha sempre rigettato la validità di questi indizi e ribadito l’innocenza di Bossetti.
Bossetti venne arrestato il 16 giugno 2014. La prima sentenza di condanna arriva due anni dopo: l’1 luglio 2016 la Corte d’Assise di Bergamo lo condanna all’ergastolo, riconoscendo anche l’aggravante della crudeltà e dispone un risarcimento di 1,3 milioni alla famiglia Gambirasio. A Bossetti viene inoltre revocata la patria podestà sui tre figli venne condannato all’ergastolo sia in primo che in secondo grado e poi confermato in Cassazione. Il 18 luglio 2017 arriva la sentenza d’appello che conferma l’ergastolo. la Cassazione, nell’ottobre 2018, mette la parola fine su questa vicenda. Bossetti, che in Cassazione aveva presentato una memoria di 600 pagine, si è sempre detto innocente.
La difesa ha continuato anche successivamente a chiedere accesso alle prove per poterle analizzare ancora e per riaprire il caso. le richieste sono state sempre tutte rigettate. Eppure ancora oggi, a distanza di tanti anni, c’è chi ritiene che la vicenda abbia dei punti non del tutto chiariti. Alcune suggestioni (a partire dallo scarso quantitativo di Dna trovato, da una presunta ‘contaminazione’ e dalla non corrispondenza del Dna mitocondriale) sono state evidenziate ad esempio dalla serie realizzata di recente da Netflix sulla vicenda della 13enne.
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