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Bologna, il chirurgo salva-volti vede e cura in 3D

S.Orsola ad un passo dalle sale operatorie con la realtà aumentata

Pubblicato:26-11-2016 11:15
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 09:21

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claudio_marchetti1BOLOGNA – Lo scanner endorale è poco più grande di una penna. In pochi istanti è in grado di restituire un’immagine tridimensionale delle arcate dentali con precisione millimetrica. Uno strumento fondamentale per medici che ogni giorno lavorano per ridare un volto a pazienti, adulti, ma anche tanti bambini, colpiti da malformazioni, malattie congenite e tumori delle ossa della faccia. Lo scanner endorale costa circa 40.000 euro e i chirurghi dell‘unità operativa di Chirurgia orale e maxillo-faccia del Policlinico Sant’Orsola diretta da Claudio Marchetti ne hanno bisogno per aggiungere un altro, fondamentale, tassello alla dotazione tecnologica di cui già dispongono e che li ha aiutati a compiere passi da giganti nella cura di alcune gravi patologie e nella ricostruzione del volto a seguito di traumi.

Per raccogliere i fondi necessari all’acquisto dello scanner endorale, la Fondazione Face3D, nata per supportare l’attività di ricerca del team di Marchetti, ha organizzato un concerto, arruolando un’altra eccellenza emilia-romagnola (“anche questa semisconosciuta”, allarga le braccia il presidente Alberto Lenzi), l’Accademia bizantina diretta da Ottavio Dantone, che lunedì si esibirà al Teatro Manzoni in una serata di musica e solidarietà alla quale parteciperanno alcuni dei piccoli pazienti curati dai medici del Maxillo-facciale (i biglietti per gli 800 posti in platea sono praticamente già esauriti). Non è un caso che l’iniziativa serva a finanziare l’acquisto di un’apparecchio ad alto contenuto tecnologico: la strumentazione 3D sta diventando un supporto fondamentale al lavoro dei medici, perchè consente di aumentare la precisione degli interventi, accorciandone la durata, e di rendere ripetibili tecniche chirurgiche complesse, per cui tutto non è più affidato soltanto al talento o alla ‘mano’ del luminare.

I ‘ragazzi’ in camice bianco del Sant’Orsola sono tra i più bravi al mondo nel maneggiare queste nuove tecnologie. E non si limitano solo ad utilizzare le macchine che il mercato già offre. I loro lavoro di ricerca si concentra proprio nello sviluppare nuovi sistemi, strumenti che agli occhi di un profano sembrano fantascienza, che con talento e, naturalmente, risorse adeguate possono aprire nuove prospettive in questo complesso campo della medicina. Oramai, anche nelle sale operatorie della chirurgia maxillo-facciale si contano i giorni che porteranno all’arrivo della realtà aumentata: il medico opererà indossando un caschetto come quelli per la realtàmedici_s_orsola virtuale, che gli restituirà un’immagine del volto del paziente corredato delle immagine elaborate dalla Tac (e da altre strumentazioni) e dei dati clinici (battito, pressione). Ma non solo: anche l’ora, elemento non secondario in interventi in cui anche il fattore tempo è importante (anche solo per controllare l’orologio il medico adesso deve voltarsi).


Il progetto per la realtà aumentata ha da poco vinto un bando nell’ambito del piano europeo Horizon 2020, oltre quattro milioni complessivi, con alcune centinaia di migliaia di euro destinate a Bologna: i ricercatori dell’Alma Mater lavoreranno gomito a gomito con altri partner comunitari e con il lavoratorio Endocas del corso di Ingegneria biomedica applicata dell’Univeristà di Pisa per mettere a punto il caschetto. “Pensiamo di avere un prodotto da mettere sul mercato nel giro di tre anni”, spiega Giovanni Badiali, ricercatore, classe 1981, uno dei giovani ‘assi’ della chirurgia maxillo-facciale formati da Marchetti e dal suo braccio destro, il dottor Alberto Bianchi. “Servono teste sveglie e fondi. Il futuro sarà avere degli ingegneri in sala operatoria con noi”, scandisce Bianchi.

Con tecnologia 3D, nel 2015 al Sant’Orsola sono stati trattati circa 1.300 pazienti e 1.700 sono stati gli interventi eseguiti, con una percentuale di accuratezza al 92% entro i due millimetri e al 70% entro un millimetro. I fondi raccolti dalla Fondazione Face3D servono anche a finanziarie borse di studio e dottorati che consentano di trattenere in Italia queste nuove leve della chirurgia, addestrati ed aperti all’uso delle nuove tecnologie. Del resto, la strumentazione adottata in questo campo della medicina è sempre più complessa. Ci sono scanner 3D in grado di catturare immagini tridimensionali dei volti, delle ossa e delle malformazioni o patologie che li hanno colpiti. Sui modelli così ottenuti si studiano i casi da trattare e, spiega Badiali, “si possono simulare i trattamenti dall’inizio alla fine, fino alla simulazione chirurgica”.

3d_s_orsolaDall’immagine virtuale si 3Dpassa al concreto, realizzando in 3D dime personalizzate per la ricostruzione, per esempio, della mandibola con segmenti ossei prelevati dal perone e rimodellati per essere utilizzati sul volto. “Alla fine la discrepanza tra quello che si è pianificato e quanto realizzato può essere minima”, assicura il ricercatore, che in sala operatoria si avvale anche di un ‘navigatore’, che, basandosi sulle immagini raccolte con la tac, guida il chirurgo nel corso delle fasi dell’interventom, anche questo acquistato con il supporto della Fondazione. “La ricerca può essere affidata solo ai fondi pubblici? No- è la risposta di Marchetti– è la commistione tra pubblicie privati che consente di andare avanti. Il finanziamento pubblico, se anche raddoppiasse, sarebbe insufficiente. Le aziende devono stringere accordi di npartnership con l’Università: il futuro è quello, pubblico e privato assieme per moltiplicare le opportunità, come accade negli Usa”.

di Vania Vorcelli, giornalista professionista

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