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Candidato alla Camera arrestato in operazione anti-‘ndrangheta della Gdf di Bologna

Custodia in carcere per l'esponente del partito di Maurizio Lupi

Pubblicato:26-10-2022 15:01
Ultimo aggiornamento:26-10-2022 15:01
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conferenza stampa operazione 'Radici'
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BOLOGNA – C’è anche Francesco Patamia, presidente e fondatore del partito Europei Liberali e candidato alla Camera nelle ultime elezioni con la lista Noi moderati di Maurizio Lupi nel collegio di Piacenza, tra le persone coinvolte nell’inchiesta della Dda di Bologna che questa mattina ha portato all’esecuzione, da parte della Guardia di finanza bolognese, di 23 misure cautelari personali tra Emilia-Romagna e Calabria e al sequestro di un patrimonio di 27 milioni di euro nei confronti di soggetti affiliati alle ‘ndrine di ‘ndrangheta dei Piromalli di Gioia Tauro e dei Mancuso di Limbadi. I reati contestati agli indagati- che sono in tutto 34- sono associazione per delinquere, trasferimento fraudolento di valori, autoriciclaggio, bancarotta fraudolenta, usura, lesioni personali, minacce ed estorsione. Nei confronti di Patamia e di suo padre Rocco, ritenuti amministratore di fatto di alcune delle società coinvolte nell’inchiesta, il gip di Bologna Domenico Truppa ha disposto la custodia cautelare in carcere.

“SCOPERTO GIRO VORTICOSO DI APERTURE E CHIUSURE DI AZIENDE”

L’operazione ‘Radici’, spiegano in conferenza stampa il comandante regionale delle Fiamme gialle dell’Emilia-Romagna Ivano Maccani, il comandante provinciale di Bologna Carlo Levanti e il comandante del Nucleo di Polizia economico-finanziaria bolognese Fabio Ranieri, ha preso le mosse dal monitoraggio di “cospicui investimenti immobiliari e societari riconducibili a soggetti di origine calabrese” e avvenuti anche nel periodo di maggiore emergenza legata alla pandemia da Covid. Dagli accertamenti- svolti anche attraverso il controllo di oltre 100 conti correnti, intercettazioni su 64 utenze, a cui si aggiungono altre tre utenze intercettate tramite trojan e una casella e-mail, e l’audizione di sette collaboratori di giustizia- è emersa “la presenza, in Emilia-Romagna, di piccoli gruppi di matrice ‘ndranghetista, ognuno dei quali guidato da un ‘boss-manager'” e tutti legati, pur gestendo con una certa autonomia i loro affari, a “diverse famiglie e mandamenti della ‘casa madre’ in Calabria, spesso menzionati nelle conversazioni intercettate”. In particolare, le indagini hanno portato alla luce “un vorticoso giro di aperture e chiusure di società intestate a prestanome, che venivano usate per riciclare denaro mediante sistematiche evasioni fiscali, perpetrate per lo più attraverso l’emissione e l’utilizzo di fatture false”. In pratica, queste società venivano ‘spolpate’, anche grazie all’aiuto di un commercialista e di un avvocato, entrambi interdetti per 12 mesi dall’esercizio della professione.

DOCUMENTATE ANCHE INTIMIDAZIONI, MINACCE E VIOLENZE

Oltre ai reati di natura economica e finanziaria, sono stati documentati “ripetuti episodi di intimidazione, minacce e, in alcuni casi, vere e proprie violenze ai danni di imprenditori che si sono rifiutati di sottostare alle richieste” del sodalizio criminale e anche di pubblici ufficiali, ad esempio degli agenti di Polizia locale e il dipendente di una società appaltatrice di Hera in un Comune romagnolo.


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