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Sudan, il giorno dopo il golpe pronte nuove proteste. Gli Usa bloccano gli aiuti

Fonti di Khartoum riferiscono che i militari, che ieri hanno arrestato il premier Hamdok e destituito il governo, stanno chiudendo i ponti di accesso alla capitale per evitare nuove proteste della popolazione

Pubblicato:26-10-2021 15:37
Ultimo aggiornamento:26-10-2021 15:37

sudan khartoum
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ROMA – “I militari stanno chiudendo i ponti perché temono che nel pomeriggio ci possano essere nuove manifestazioni di protesta; la situazione resta imprevedibile”: così all’agenzia Dire fonti a Khartoum, all’indomani della destituzione del governo del Sudan da parte dell’esercito. Secondo le fonti, che chiedono sia garantito il loro anonimato per motivi di sicurezza, “la stragrande maggioranza della popolazione che si è battuta per la democrazia non accetta il golpe” e “nelle prossime ore si capirà meglio la reazione della gente”.


Ieri, in scontri tra dimostranti e militari scoppiati dopo l’intervento dell’esercito con l’arresto del primo ministro Abdalla Hamdok, la proclamazione dello stato di emergenza e l’assunzione del potere da parte del generale Abdel Fattah al-Burhan, sono state uccise almeno sette persone. Almeno 140 i feriti, stando a responsabili del ministero della Salute.
Oggi, con un comunicato letto in televisione, Al-Burhan ha annunciato che il Paese avrà “un governo tecnocratico indipendente”.


“La capitale oggi si è svegliata nel silenzio e almeno nel centro le strade sono rimaste pressoché deserte” sottolineano altri contatti della Dire a Khartoum, che pure chiedono l’anonimato per ragioni di sicurezza. “I ponti sono rimasti aperti mentre la protesta si è spostata sulle reti sociali, anche se l’accesso a internet da dispositivi mobili resta bloccato“.
In primo piano nelle testimonianze raccolte a Khartoum anche le particolarità di un’alleanza di potere “inedita”, che aveva cominciato a manifestarsi mesi fa. “A sostenere il potere assoluto di Al-Burhan sembrano due realtà in passato in contrasto tra loro” spiegano dalla capitale: “Da una parte, ex gruppi ribelli come il Movimento giustizia e uguaglianza e come il Movimento per la liberazione del Sudan, che per anni aveva denunciato discriminazioni a danno delle minoranze del Darfur e che nei giorni scorsi ha convocato sit-in contro il governo di Hamdok; dall’altra, gruppi islamisti, seguaci dell’ideologo Hassan Al-Turabi, il fautore del golpe di Omar Al-Bashir del 1989, accusati di aver escluso dal potere le comunità nere più lontane dalle regioni centrali a maggioranza araba”.


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Stando a questa tesi, l’alleanza sarebbe segnata dai richiami al Darfur, regione occidentale del Sudan ostaggio di un conflitto civile a partire dal 2003. “Ambita e sfruttata per l’oro e per il petrolio, si ritrova oggi al comando” riferiscono alla Dire: “Sul Darfur Al-Buhran ha costruito la propria carriera militare, mentre è darfuriano il suo vice, Mohamed Hamdan Dagalo detto Hemedti, così come Gibril Ibrahim, dirigente del Movimento giustizia e uguaglianza divenuto ministro delle Finanze”.

USA BLOCCANO GLI AIUTI: “TRADITA LA RIVOLUZIONE PACIFICA”

“Un tradimento della rivoluzione pacifica del Sudan”: il segretario di Stato americano, Anthony Blinken, ha definito con queste parole l’intervento dell’esercito che a Khartoum ha destituito il governo di transizione del primo ministro Abdalla Hamdok. Washington si è allineata nella condanna all’Unione Africana, all’Unione Europea, all’Onu e alla Gran Bretagna, chiedendo il rilascio dei dirigenti politici arrestati ieri. Tra questi figura anche Hamdok, fermato nella sua abitazione nella capitale. Gli Stati Uniti hanno annunciato lo stop alla consegna di aiuti per un valore di circa 700 milioni di dollari. Di “tradimento” della rivoluzione ha riferito anche l’Unione Europea, in una nota diffusa ieri, nella quale si parla di “legittime richieste dei sudanesi per la pace, la giustizia e lo sviluppo economico”.

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