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ROMA – Niente concerto a Dubai in protesta con la guerra in corso in Sudan: lo ha annunciato il rapper statunitense Macklemore, al secolo Benjamin Hammond Haggerty. L’artista originario di Seattle ha cancellato la data di ottobre negli Emirati Arabi Uniti in seguito ad accuse rivolte alla monarchia del Golfo di dare finanziamenti e armi alle Forze di supporto rapido (Rsf), impegnate dall’aprile 2023 in una guerra con l’esercito nazionale che ha causato quasi 20mila morti e 10 milioni di sfollati. Le Nazioni Unite, in un rapporto diffuso a gennaio, hanno definito “credibili” le accuse contro Abu Dhabi. Durante una seduta del Consiglio di sicurezza, l’ambasciatore sudanese ha pubblicamente puntato il dito contro l’esponente di Dubai.
Nonostante i ripetuti dinieghi da parte delle autorità emiratine, ieri Macklemore è così sceso in campo per attirare l’attenzione internazionale sul paese, denunciando il ruolo che gli Emirati svolgerebbero “nel genocidio e nella crisi umanitaria in corso” in Sudan. Già da una settimana gli organizzatori del concerto avevano comunicato la cancellazione della data di Dubai e garantito rimborsi ai fan, senza però fornire spiegazioni. È stato appunto l’artista in un post su Instagram a chiarire di aver preso questa decisione dopo aver ricevuto decine di messaggi privati in cui le persone “mi chiedevano di annullare lo show in solidarietà con il popolo del Sudan e di boicottare gli affari negli Emirati Arabi Uniti per il ruolo che stanno svolgendo nel genocidio in corso e nella crisi umanitaria”.
Non è la prima volta che il musicista prende posizione rispetto a una questione internazionale: di recente ha pubblicamente espresso sostegno ai civili palestinesi che subiscono uccisioni e sfollamenti a causa dell’operazione militare lanciata da Israele nella Striscia di Gaza, interpretando anche la canzone Hind’s Hall, in onore di Hind Rajab, una ragazza uccisa a Gaza dalle forze israeliane insieme a quattro cugini, alla zia e allo zio e a due paramedici. Macklemore sta devolvendo interamente i proventi all’Agenzia delle Nazioni Unite per i profughi palestinesi (Unrwa).
La crisi umanitaria in corso in Sudan è ritenuta la più grave al mondo, con oltre 45 milioni di persone colpite. Di recente l’Agenzia Onu per i rifugiati (Unhcr) ha rilanciato le denunce di un’epidemia di colera in corso nel Paese, che starebbe colpendo in particolare i profughi e le comunità sfollate: “C’è bisogno di una immediata azione umanitaria per salvare vite”, scrive l’Agenzia Onu in una nota. Inoltre, la mancanza di cibo – aggravata dal blocco delle parti in guerra all’accesso di convogli umanitari – potrebbe causare 2 milioni e mezzo di vittime entro la fine dell’anno. Negli ultimi giorni l’esercito nazionale ha annunciato di aver autorizzato l’ingresso di quindici tir di aiuti dell’Onu attraverso il Ciad, ma secondo gli esperti è una goccia nell’oceano. I recenti colloqui di pace promossi da Stati Uniti e Arabia Saudita, e ospitati a Ginevra dalla Svizzera, si sono conclusi in un nulla di fatto: rappresentanti dell’esercito continuano a negare la loro partecipazione fintanto che le Rsf non ritireranno i loro uomini dalle aree occupate.
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