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Lancet: “Antinfiammatori riducono del 90% i ricoveri Covid”. Pregliasco: “Approccio delle cure non cambia”

La terapia a base di Fans (farmaci non steroidei) all'inizio dei sintomi abbassa notevolmente il rischio ospedalizzazione. Il virologo: "La Tachipirina ha azione antifebbrile, Aspirina più trasversale"

Pubblicato:26-08-2022 16:50
Ultimo aggiornamento:28-08-2022 16:22

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ROMA – “Questo studio ridà una conferma a ciò che si era via via già conosciuto con il passare del tempo. Ovvero la situazione terribile della polmonite interstiziale, di fatto, è un’eccessiva risposta infiammatoria non correttamente governata dell’organismo, che in un tentativo maldestro scatena un’infiammazione elevatissima a livello degli alveoli polmonari che però aumenta, ispessisce, le pareti degli alveoli e riduce la capacità di scambio gassoso”. Così alla Dire il virologo dell’università Statale di Milano, Fabrizio Pregliasco, commenta i dati di una ricerca pubblicata su ‘Lancet Infectious Diseases‘, condotta dall’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri e dall’Asst Papa Giovanni XXIII di Bergamo e dalla quale emerge che la terapia a base di antinfiammatori, in particolare non steroidei, i Fans, avviata all’inizio dei sintomi di Covid-19, riduce dell’85-90% il rischio di ospedalizzazione.

LA TEMPESTA CHITOCHINICA

“Proprio come avevamo già evidenziato – continua Pregliasco – la differenza è tra un andamento benevolo, o comunque con una risoluzione più o meno rapida e impegnativa, e quel gioco della tempesta citochimica a cinque giorni. Ovvero, chi scatena questa tempesta citochinica eccede nella risposta immunitaria, e questo lo fanno, non a caso, soprattutto i più anziani rispetto ai giovani, che governano meglio questa risposta, regolandola al giusto. Ed è da qui poi la conferma che modulando la risposta infiammatoria nelle prime fasi, in qualche modo la patologia viene gestita meglio“.

PREGLIASCO: “NO AL CORTISONE DA SUBITO”

Pregliasco sottolinea che “molti colleghi danno il cortisone da subito, che però ha effetti negativi, ha una azione antinfiammatoria più massiccia ma inopportuna. Il cortisone va bene nei momenti in cui la percentuale di ossigeno è bassa. Nel momento in cui si usa questa arma più potente saremo di fronte ad altri effetti collaterali”. “Quindi – tiene a precisare l’esperto a proposito dello studio pubblicato su ‘Lancet’ – si può parlare di un consolidamento che non deve essere un rovesciamento di un approccio che ci porti a dare ragione a tutti i colleghi che, invece, pensano si possa guarire sempre dalla malattia“.


LA VIGILE ATTESA COME MONITORAGGIO DEL PAZIENTE

Pregliasco prosegue: “Quello che si era sempre detto è stata la ‘vigile attesa’, presa in giro come definizione anche se in realtà si tratta del monitoraggio del paziente. Nelle fasi emergenziali, a causa delle paure, del numero eccessivo delle persone, non siamo riusciti a governare i primi casi. Oltretutto, perché via via come sempre, le terapie vanno a consolidarsi quando la casistica aumenta. E qui è aumentata tantissimo”.

“Quindi – conclude il virologo della Statale di Milano – sottolineo che non significa abiurare a ciò che erano le prime indicazioni sull’utilizzo degli antinfiammatori. Vero è che la tachipirina, rispetto all’acido acetilsalicilico e ad altri Fans, ha un’azione soprattutto antifebbrile, mentre la stessa aspirina o altri hanno un’azione antinfiammatoria più trasversale“.

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