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Dalla Toscana alla Sicilia. L’Università di Firenze scopre come ‘gestire’ le eruzioni dello Stromboli

Le eruzioni sono dovute a magma già presente nella parte alta del vulcano e non nel profondo, come si supponeva fino ad oggiIl lavoro accademico condotto dal laboratorio di Geofisica sperimentale, struttura del dipartimento di Scienze della terra dell'Ateneo

Pubblicato:26-08-2015 16:24
Ultimo aggiornamento:16-12-2020 20:30

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ROMA – Le eruzioni dello Stromboli sono dovute a magma già presente nella parte alta del vulcano e non nel profondo, come si supponeva fino ad oggi. Le esplosioni sono guidate, dunque, “dall’azione della gravità e saranno tanto più violente quanto più bassa è la posizione della bocca eruttiva”.

E’ la conclusione a cui è giunto un team di ricercatori dell’Università di Firenze, che su “Nature Communications” ha pubblicato il lavoro accademico condotto dal laboratorio di Geofisica sperimentale, struttura del dipartimento di Scienze della terra dell’Ateneo. “Le fasi iniziali- spiega Maurizio Ripepe, ricercatore di Geofisica della terra solida, che coordina il gruppo di lavoro- saranno quelle più forti, quando il carico del magma sopra la bocca effusiva è maggiore, per poi diminuire d’intensità, come un serbatoio che si svuota progressivamente dal basso perdendo pressione”. La ricerca poggia sulla crisi eruttiva del 2007, quando il vulcano riversò all’esterno circa 8 milioni di metri cubi di lava in 34 giorni. Il Laboratorio- centro di competenza della Protezione Civile- dal 2002 svolge un monitoraggio quotidiano dell’attività di Stromboli, studiandola anche ai fini della mitigazione del rischio vulcanico. “Le ricerche pubblicate- sottolinea una nota Unifi- segnano un punto di novità rilevante in questo settore”.

“Finora la comunità scientifica- spiega Ripepe- reputava che le colate di lava a Stromboli fossero alimentate da magma profondo (7-10 km di profondità), che periodicamente, si incanalava verso le bocche laterali, fuoriuscendo lungo le pendici non abitate del vulcano (Sciara del Fuoco) fino al mare. Confrontando dati geofisici, che vanno dalla deformazione del suolo al monitoraggio termico e sismico abbiamo, invece, ribaltato questo concetto e concluso che gran parte del magma eruttato è in larga parte già presente nella parte alta del vulcano”.


Il laboratorio di Geofisica sperimentale dell’Ateneo fiorentino si occupa da anni della sorveglianza di vulcani di tutto il mondo (Islanda, Ecuador, Argentina, Giappone, Cile), oltre che della dinamica delle valanghe (Italia, Svizzera, Austria, Norvegia e Groenlandia) e dei problemi legati alla microzonazione sismica.

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