VENEZIA – Il processo ai vertici delle aziende che si sono avvicendate nella gestione del sito produttivo Miteni (Vicenza) sono state oggi condannate per aver contaminato l’acqua con i Pfas, compresa quella potabile, della seconda falda acquifera d’Europa a servizio di più di 300.000 persone in Veneto. È dunque una “sentenza storica e grande vittoria per il popolo inquinato. Dopo anni di denunce, vertenze e battaglie, portate avanti anche da Legambiente e dai suoi circoli, chi ha inquinato finalmente paga per aver avvelenato senza scrupoli il territorio veneto danneggiando non solo l’ambiente, ma anche la salute dei cittadini”, dice Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente, che con a Legambiente Veneto e ai circolo locale si sono costituite parti civili nel processo ed erano presenti oggi alla lettura della sentenza. La prima denuncia risale al 2014, fatta dal Circolo “Perla Blu” di Cologna Veneta e dall’avvocato Enrico Varali. coordinatore regionale del Centro di azione giuridica di Legambiente, che poi negli anni si sono battuti, dentro e fuori le aule del tribunale, per ottenere ecogiustizia. La sentenza di oggi a Vicenza conclude “uno tra i più grandi processi di inquinamento ambientale che la storia d’Italia ricordi”, sottolinea Ciafani. Ma non è finita qui: “Ora si proceda quanto prima alla bonifica del sedime inquinato che ha provocato e continua a provocare una delle più estese contaminazioni acquifere con cui i veneti sono costretti a confrontarsi da decenni: dalle acque di falda -rese pericolose ai fini idropotabili ed irrigui in un’area di più di 180 chilometri quadrati- ai corsi d’acqua superficiali che attraversano quei territori (Fratta Gorzone, Bacchiglione, Retrone, Adige) esposti ad una persistente presenza di questi forever chemicals, con conseguenze negative per l’ecosistema, la salute e per l’economia produttiva”.
Legambiente ricorda che per diversi decenni, l’azienda chimica Miteni ha prodotto Pfas a Trissino (Vicenza) e ha rilasciato i suoi rifiuti “senza controllo, inquinando le acque superficiali e sotterranee e la catena alimentare, colpendo zone di Verona, Vicenza e Padova”. La sentenza arrivata oggi, dichiara Luigi Lazzaro, presidente di Legambiente Veneto, è frutto di un processo durante il quale “è stato provato senza ombra di dubbio che l’inquinamento da Pfas e da altre sostanze (C604 e GenX) proviene dal sito Miteni e sia imputabile alla gestione, anche recente, dell’impianto industriale. La conferma da parte della Corte dell’ipotesi accusatoria della Procura per tutti gli imputati e, soprattutto, la conferma della natura dolosa dei reati contestati rende finalmente giustizia alle parti civili ed a centinaia di migliaia di persone, contaminate a loro insaputa per decenni”. Durante il processo è emerso con chiarezza che “per troppo tempo la dirigenza della Miteni ha volutamente ignorato e, poi, omesso di comunicare agli enti di vigilanza e controllo preposti che le sostanze prodotte nel sito di Trissino avevano contaminato la falda acquifera e, comunque, si erano disperse anche nelle acque superficiali”, continua Lazzaro. Per quanto riguarda la bonifica del sito produttivo, in questi giorni, ricorda Legambiente, è arrivato un primo importante segnale, ossia l’approvazione in conferenza dei servizi del Comune di Trissino del “documento di analisi del rischio” propedeutico al progetto di bonifica, che dovrà portare all’elaborazione, entro sei mesi, di un piano di bonifica del sito Miteni a cura di tutte le aziende a vario titolo coinvolte. Rispetto alle acque di falda inquinate non è invece ancora stato attivato alcun percorso.
“Ci auguriamo- aggiungono Ciafani e Lazzaro- che la sentenza di oggi possa essere un monito ed una spinta ulteriore a rispettare quanto previsto per la bonifica del sito produttivo e ad accelerare l’applicazione di soluzioni anche per il disinquinamento delle acque di falda contaminate”. Per affrontare in maniera adeguata l’emergenza Pfas, emersa nel 2013, risulta sempre più urgente, anche alla luce della sentenza, “lo sviluppo da parte di Governo e Regione di alcuni necessari interventi per una compiuta analisi e stima dello stato di salute dei cittadini, della contaminazione esistente e dell’impatto che l’esposizione ai Pfas ha generato nella popolazione”. E prioritaria è la prevenzione da eventuali nuovi fenomeni di contaminazione, attraverso “l’immediata approvazione delle aree di salvaguardia nei procedimenti in itinere” per “garantire che la compromissione della falda esistente e fenomeni ulteriori di inquinamento da Pfasd ei punti di approvvigionamento idrico in Veneto non si ripetano, facendo memoria della tragica e costosa esperienze del passato”, indica Legambiente.
ZAIA: SENTENZA RENDE GIUSTIZIA ALLE COMUNITÀ VENETE COLPITE
La sentenza di oggi della Corte d’Assise di Vicenza, che riconosce il reato di disastro ambientale doloso e avvelenamento delle acque e prescrive condanne tra gli 11 e i 17 anni ai vertici della Miteni, “è un passaggio fondamentale di giustizia per le comunità venete colpite e per tutti coloro che hanno lavorato con impegno alla ricerca della verità”. Così il presidente del Veneto, Luca Zaia, commenta l’esito del processo sul disastro ambientale da Pfas, giunta oggi la sentenza del primo grado. Fu la Regione, “su mio mandato”, nel 2013, a segnalare “per prima” alla magistratura -tramite Arpav- gli “effetti gravissimi e irreversibili dell’inquinamento da Pfas, scoperto nell’ambito di una ricerca sperimentale del Cnr e del ministero dell’Ambiente su inquinanti emergenti nei principali bacini fluviali italiani”, ricorda Zaia. In Veneto, gli inquinanti furono individuati nei corpi idrici della Valle del Chiampo, in corrispondenza dello stabilimento chimico Miteni di Trissino, poi rivelatosi la fonte primaria della contaminazione che ha interessato oltre 190 chilometri quadrati tra le province di Vicenza, Verona e Padova.
In un quadro normativo allora assente, la Regione agì “con determinazione, imponendo ai gestori idrici la filtrazione delle acque, stanziando fondi per la messa in sicurezza e attivando, nel 2016, un Piano di Sorveglianza sanitaria aggiornato nel 2018, che ha coinvolto 127.000 cittadini dell’Area Rossa”, ricorda ancora Zaia. La Regione investì sue risorse, chiese e ottenne lo stato di emergenza nel 2018 e sostenne in sede giudiziaria “una tra le più ampie documentazioni tecnico-scientifiche mai prodotte in un processo ambientale in Italia”. Oggi alla Regione, costituitasi parte civile, la sentenza riconosce un danno superiore ai 6,5 milioni di euro. I condannati nel processo di Vicenza, insieme ai responsabili civili Mitsubishi Corporation e Icig, dunque “saranno tenuti a risarcire” anche alla Regione. E questyo è “il riconoscimento del ruolo istituzionale svolto con dedizione, scientificità e trasparenza: un ruolo che ci ha visti in prima linea non solo nel denunciare, ma anche nel rimediare, con l’installazione di barriere idrauliche, filtri a carbone attivo e la predisposizione del progetto di bonifica del sito Miteni”, rivendica, Zaia ringraziando “tutti coloro che in questi anni hanno lavorato con rigore, passione e senso civico: tecnici, legali, amministratori. Questa sentenza rafforza il nostro impegno e ribadisce un principio essenziale: chi inquina paga”.
ACQUEVENETE: CHI INQUINA PAGA, MA DANNO AMBIENTALE-SOCIALE INCALCOLABILE
La Corte d’Assise di Vicenza, dopo sei ore di camera di consiglio, ha condannato 11 manager per l’inquinamento da Pfas, con pene da due anni e otto mesi fino a 17 e mezzo. In totale, ha inflitto pene per 141 anni. Quattro gli imputati assolti. Per Acquevenete la sentenza di primo grado emessa oggi rappresenta un momento importante, anche se non risolutivo. La società pubblica con sede a Monselice, che gestisce il servizio idrico integrato in 107 Comuni costituitasi parte civile nel processo, prende atto delle condanne inflitte agli imputati, ma esprime, in una nota, “profonda amarezza per una vicenda che lascia dietro di sé un danno ambientale e sociale incalcolabile”. Per Piergiorgio Cortelazzo, presidente di Acquevenete, “questa sentenza, applicando il principio chi inquina paga, suggella in maniera equa l’importanza della protezione della salute e dell’ambiente, indicando una priorità fondamentale la necessità di introdurre la responsabilità estesa a tutti quei soggetti che producono o utilizzano sostanze poli e perfluoroalchiliche. Bisogna mettere in campo tutte quelle azioni volte a sostituire i Pfas nei numerosi impieghi civili e industriali- aggiunge Cortelazzo- affinché, anche in futuro, i maggiori costi operativi e infrastrutturali per garantire la sicurezza dell’acqua non ricadano integralmente sulle tariffe dei cittadini”.







