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Venezuela, il missionario: “Giovani mandati al macello”

Alla DIRE parla padre Bignotti: "Situazione al collasso"

Pubblicato:26-05-2017 10:15
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 11:16

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ROMA – “I giovani in strada diventano carne da macello mentre la politica si conferma incapace, anzitutto di dialogo”: padre Andrea Bignotti, missionario nelle periferie del Venezuela da 26 anni, risponde alla DIRE di ritorno a Caracas da un viaggio attraverso il Paese.

L’occasione, spiega, per toccare con mano anche nelle città di provincia l’aggravarsi di uno scontro allo stesso tempo politico e sociale. Al centro c’è Nicolas Maduro, l’erede di Hugo Chavez e della sua “rivoluzione bolivariana”. Esperimento dalle mille promesse e dai risultati importanti, anzitutto nel contrasto alla povertà, con un tasso nazionale ridotto tra il 1999 e il 2013 dal 23 al 9 per cento. Soffocato ora però dal calo del prezzo del petrolio, il tesoro del Venezuela, con ricadute su investimenti e attività produttive.

Il “crollo della produzione”, in effetti, è il primo punto evidenziato da padre Bignotti. “Non c’è lavoro e perfino le medicine sono introvabili”. Dice il missionario: “A pagare è il popolo, con tanti giovani e studenti che manifestano rischiando la vita”.


Il riferimento è ai cortei che, nelle ultime settimane, sono degenerati spesso in scontri tra dimostranti e forze dell’ordine. Bilanci rilanciati da fonti concordanti riferiscono di oltre 50 morti solo da inizio aprile. Ma a preoccupare, secondo padre Bignotti, è anzitutto la mancanza di prospettive di dialogo.

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A parlare di bene comune è solo Papa Francesco perché la politica venezuelana non è all’altezza” dice il missionario. Convinto che a pesare sia anche il dissolversi dei corpi intermedi, quelle terze forze indispensabili per mediare e allentare le tensioni.

“Un esempio cruciale sono i sindacati” spiega padre Bignotti. “Sono allineati al partito di governo e il loro ruolo indipendente di fatto non esiste più”.

Anche quella di oggi potrebbe essere una giornata difficile. Un corteo dell’opposizione dovrebbe raggiungere il Paseo Los Proceres, il viale antistante Fort Tuna, il quartier generale dell’esercito del Venezuela.

“Porteremo un messaggio alle Forze armate, l’attore principale che sostiene Maduro e che può garantire il mantenimento del rispetto della Costituzione” ha detto il vice-presidente del parlamento Freddy Guevara, figura di spicco del fronte anti-governativo. Finora, l’esercito non ha vacillato ed è anzi stato il baluardo del potere “bolivariano”. Ma la tensione resta alta, anche in vista dell’annuncio di Maduro dell’elezione di un’Assemblea costituente. Si tratterebbe di un organismo composto di 540 membri, selezionati da collettivi di studenti, lavoratori, pensionati, contadini e nativi; in grado di esautorare una volta per tutte il parlamento controllato dall’opposizione.

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La Commissione elettorale ha comunicato che le candidature dovranno essere presentate il 1° e il 2 giugno e che il voto si potrebbe tenere poi entro fine luglio. “La priorità non è questa perché il Venezuela ha una delle Costituzioni più belle del mondo” dice padre Bignotti. Che in questo, sia pure da una prospettiva differente, sembra almeno in parte comprendere le ragioni dell’opposizione. “Niente più che un diversivo per dividere distrarre e confondere i venezuelani” ha commentato Julio Borges, uno dei leader del parlamento. Come i suoi colleghi deputati, è stato privato di competenze di rilievo da un decreto presidenziale adottato nel marzo scorso.

di Vincenzo Giardina, giornalista

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