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Stupro di guerra, dall’Onu una risoluzione ‘annacquata’

Intervista a Simona Lanzoni, vicepresidente della Fondazione Pangea

Pubblicato:26-04-2019 14:40
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 14:24
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ROMA – “Molti Paesi europei non erano d’accordo, ma quello raggiunto è stato l’unico modo per arrivare ad un punto d’incontro ed e’ una vergogna internazionale”. Simona Lanzoni, vicepresidente della Fondazione Pangea, intervistata dall’agenzia Dire, ha definito in questo modo la risoluzione adottata dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che, pur esprimendosi sulla condanna della violenza sessuale nel contesto bellico, ha accolto, per non far saltare l’intesa, la ‘linea Trump’ in tema di salute sessuale e riproduttiva secondo la quale ‘le donne stuprate in guerra non hanno diritto ad abortire’.

“Dovremmo pensare- ha spiegato Lanzoni- al premio nobel per la pace 2018, assegnato a Denis Mukwege e Nadia Murad, per il loro impegno contro l’uso della violenza sessuale come arma di guerra”. Il primo, medico congolese, che cura e ‘ricostruisce’ i corpi delle donne massacrate dalla violenza e lei, attivista ed ex schiava sessuale nelle mani dell’Isis che testimonia la sua storia per altre donne finite schiave come lei. Un percorso che ha tracciato una strada precisa “per garantire accesso ai servizi sanitari per la salute riproduttiva, la reintegrazione sociale e per la giustizia delle donne vittime di violenza in guerra” e che questa risoluzione di fatto “annacqua”.

“L’aborto non è l’unica questione, se pur principale. Parliamo- ha detto ancora Lanzoni- di donne che spesso riportano a vita conseguenze fisiche e psichiche, che devono essere reintegrate nel tessuto sociale, che a volte vengono uccise dai loro stessi familiari perchè rappresentano una vergogna e che spesso sono bambine”. Per Simona Lanzoni questa risoluzione inoltre “delegittima le istituzioni internazionali che lavorano per la pace e la giustizia, come la Corte penale internazionale alla quale Stati Uniti, Cina e Russia- ha ricordato- non hanno aderito”.


Un accordo in controtendenza con “tutti i progressi che si stanno facendo in questo campo”. Fondazione Pangea, in Congo, ha lavorato, e queste donne vittime di stupri di guerra le ha aiutate sul campo. “Ma pensiamo anche alle donne yazide, alle rohingya o a quello che succede in Libia” ha sottolineato Lanzoni, che non ha dubbi: “tornare indietro sui diritti delle donne colpisce, come si vede, anche il contesto internazionale e così si torna indietro sui diritti umani”.

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