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Ascesa e ‘mito’ di re Giorgio: “Io non ho avversari”

Dall'irripetibile trionfo del giugno '99 alla notte 'amara' di cinque anni dopo, quando fu sconfitto da Sergio Cofferati

Pubblicato:26-04-2017 16:56
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 11:09

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di Mattia Cecchini, giornalista professionista

Foto tratta dal sito del Comune di Bologna

BOLOGNA – ‘Io non ho avversari’. Era un sindaco tosto Giorgio Guazzaloca: rispose così quando, dalle parti degli allora Ds, si ragionava dell’ipotesi di schierargli contro (perfino) Pier Luigi Bersani per riconquistare Bologna. Toccò invece ad un altro ‘totem’ della sinistra rimediare alla sconfitta choc del ’99: Sergio Cofferati. ‘Hanno messo in acqua un incrociatore per attraversare un fiumiciattolo’, si commentò alla notizia dell’ex segretario Cgil come futuro sfidante di Guazzaloca nel 2004: una notte elettorale amara, quella. Il sindaco ‘a 360 gradi’ che aveva scalzato la sinistra dall’eterno governo della città rossa, cinque anni dopo se ne andò, fogli sottobraccio, da una porta laterale di Palazzo D’Accursio senza dire una parola. Ben diverso era il clima che portò l’ex leader dell’associazione commercianti il 27 giugno del 1999 a salire lo ‘scalone dei cavalli’ tra gli applausi dei suoi sostenitori. Un’immagine quasi epica. Ma del resto Giorgio Guazzaloca, scomparso oggi all’età di 73 anni dopo una lunga malattia (che diede le sue avvisaglie già quand’era sindaco), ha fatto la storia della città: a 55 anni primo sindaco non comunista della ‘rossa’ Bologna, sconfisse al ballottaggio la ‘rossa’ Silvia Bartolini e portò Forza Italia e Alleanza nazionale nella stanza dei bottoni della città, assieme alla lista civica che si era inventato, La tua Bologna. I suoi più fedeli collaboratori restano per sempre ‘i ragazzi del ’99‘. E da lì iniziò un mandato indelebile: anni di scontro frontale con i Ds, che non gli perdonavano quasi nulla e masticavano amarissimo a vederlo flirtare con alcuni mondi della sinistra e seguito da alcuni ‘maggiorenti’ del partitone; anni del ‘sogno’ del metrò dalla stazione alla Staveco e del tunnel sotto la collina…

Nel mandato Guazzaloca prende forma tra mille e mille polemiche Sala Borsa (con il tentato coinvolgimento dei privati che alla fine si arresero), il museo della musica, ma anche la nuova sede del Comune in piazza Liber Paradisus. La statua di San Petronio, anche lì non senza qualche lite, appare sotto le Due torri; quella di via Ugo Bassi a metà dall’omonima via del centro. In Comune compare invece il ‘muro’: la barriera di vetro zigrinato nell’anticamera fino ad accessibile a tutti che tiene alla larga i cronisti troppo curiosi. Poco prima c’era stato il ‘fattaccio’ in sala giunta del Comune dove ‘Guazza’ aveva riunito la giunta di Federcarni (era il presidente, una delle pochissime cariche che si era tenuto), per discutere dei guasti dell’allarme ‘mucca pazza’. Scoppiò il putiferio: sala pubblica per questioni di aziende private… Gli hanno rimproverato di voler bene solo al cuore della città, dove piazzò le ‘gocce’ di Cucinella (in piazza Re Enzo) e di aver portato a Palazzo D’Accursio la ‘destra’ e l’assessorato alla Sicurezza affidandolo all’ex poliziotto Giovanni Preziosa (qui pagò dazio all’appoggio di An). Ma lui si smarcò sempre dai partiti a cui chiese, prima e dopo il voto, un ‘passo indietro’ (facendoli infuriare non poco); la ‘leggenda’ (vera) vuole che tenne in cantina i manifesti spediti da Berlusconi per il ballottaggio del ’99. E poi ‘rispose’ con alcuni fatti: si oppose alla richiesta di togliere la parola ‘fascista’ dalla targa che ricorda la strage alla stazione di Bologna e di cancellare la ‘Resistenza’ dallo statuto del Comune. Seppe dialogare con i centri sociali (ancora oggi l’Xm24 è un suo ‘lascito’): iniziò subito, una delle prime questioni che affrontò da sindaco fu lo Street rave parade promosso dal Livello 57. Si fece, e anche qui la ‘destra’ dovette mandar giù un boccone amaro.


Era il sindaco ‘civico’, forse il primo. E lo rimarcava ogni volta che poteva; istituì persino il premio ‘Civitas‘. Era popolare ‘Re Giorgio’: giocava a carte con gli anziani nei centri sociali e mandava in bestia i diessini. ‘Loro, professionisti della politica, messi nel sacco da un dilettante’, rideva sotto i baffi (lui, che si era candidato contro la ‘melassa’ politica che ingessava la città). Ai Ds ‘rubò’ anche l’icona di Dozza, il sindaco a cui si ispirava e di cui volle l’ufficio. Lo votò perfino il prodianissimo Gianni Pecci. ‘E’ stato un avvicendamento, un normale avvicendamento’, disse aggiungendo però che di solito ‘il ricambio di un sindaco non finisce sui giornali in Nuova Zelanda’. Vinse, stravinse, insomma: l’idea gli venne, raccontava, quando -un anno prima delle elezioni- vide un muro del Comune a cui si era appoggiato cadere giù. Ma vinse non per rivoltare la città come un calzino: tranquilizzò gli anziani degli orti e i gay del Cassero, oltre ai centri sociali; si smarcò dalle braccia tese nel saluto romano esibite al sacrario dei partigiani la notte della vittoria elettorale e ripetè: ‘Ho vinto perchè rappresento una alternativa non ideologica‘. Disse che gli amministratori di sinistra avevano ‘fatto molte cose buone’, ma non c’erano più ‘e comunque la realtà è sempre inferiore al mito: è lì che ho vinto. Nello spazio tra il mito di Bologna e la sua realtà’. Gli anni del ‘Guazza’ sono speciali per tanti motivi: sono gli anni del Giubileo, di Bologna capitale europea della cultura nel 2000, dell’assassinio di Marco Biagi (fece intitolare a lui la piazzetta sotto casa del professore). Sono gli anni dell’allarme smog e della prima, storica, causa dei cittadini contro Palazzo D’Accursio per l’accensione del vigile elettronico Sirio. Li ebbe quasi tutti ‘contro’… Una volta perfino Guccini. Ma in fondo lo sapeva.

Guazzaloca era temutissimo per lo spoil system, ma anche lì sorprese tutti: si mise al fianco lo storico dirigente Fulvio Medini e con all’altro il fido Enrico Biscaglia (emblema del suo rapporto con Cl, suggellato anche dalla sintonia con il cardinal Giacomo Biffi). Fu fischiato nel piazzale della stazione di Bologna il 2 agosto, ma si inalberò forse molto di più, fino quasi a sentirsi ferito nell’orgoglio e nell’onore, per l’affaire Locat: la società di leasing finanziario di cui era diventato consigliere. In aula a Palazzo D’Accursio fu spinto Maurizio Cevenini, il Cev, a chiedere conto dell’inopportunità politica di quell’incarico in cda. E lui rispose duro: ‘Stiamo parlando di nulla’. Lo diceva sempre anche ai giornalisti con cui ebbe un rapporto burrascoso: odiava le domande a margine. Come comunicatore ci sapeva fare (ma con chi voleva, specie il palcoscenico nazionale): bolognese doc nella capacità di far battute, ma soprattutto citazioni. Veniva da lontano Re Giorgio e voleva andare anche più lontano. Divenuto gestore dell’esercizio di famiglia in giovane età, Giorgio Guazzaloca ha scalato una vetta dopo l’altra: prima il sindacato dei macellai, poi l’Ascom, quindi Confcommercio Emilia-Romagna e poi numero due dell’associazione nazionale. Dal 1991 presidente della Camera di commercio di Bologna fino al 1998 (lanciò lui la petizione contro le odiatissime strisce blu per la sosta). E poi quel giugno 1999. Irripetibile. A fine mandato si ricandida e perde da Cofferati. In piazza Maggiore, poco prima del voto della sconfitta, i suoi pretoriani ripetono ‘non abbiamo saputo comunicare bene le cose fatte’. Tra cui la nascita di Hera. Ma non si arrende, riprova nel 2004 senza riuscire e allora ‘migra’: diventa consigliere Antitrust.

Fatto il ‘passo indietro’ dalla politica, Guazzaloca non smetterà di guardare a Bologna, di concedere ‘sferzanti’ interviste sullo stato di salute e sul percorso della città. Non ha quasi mai promosso un suo successore. Non è stato tenero con il primo vincentissimo Matteo Renzi. Non ha scelto l’aula, per continuare ad avere una tribuna da cui prendere parola: si dimette da consigliere comunale il 15 settembre 2004. Ci riproverà per la poltrona più importante, ma con la politica non gli andrà più così bene. Sarà invece l’onda lunga di alcune sue scelte politiche a ‘inseguirlo’ a lungo, come l’indagine sul Civis, il tram su gomma -da cui esce indenne- e che lo accompagna come un’ombra in questi ultimi anni.

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