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L’algoritmo viaggia, e noi siamo già in ritardo. Auguri

Gli scioperi ad Amazon e dei riders dicono quanto sia difficile comprendere la posta in gioco e la capacità di incidere sui lati 'chiaroscuri' della rivoluzione tecnologica

Pubblicato:26-03-2021 14:14
Ultimo aggiornamento:26-03-2021 14:14

digitale tecnologia
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BOLOGNA – La pandemia ha accelerato il potere dell’algoritmo. E pare anche aver dato un assaggio di quanto siamo indietro di un ‘tempo di gioco’ rispetto alle questioni in ballo nella rivoluzione tecnologica e digitale. I fatti di questi ultimi giorni danno qualche indizio: in particolare, gli scioperi ad Amazon e dei riders che consegnano il cibo a domicilio. Non stiamo dunque parlando dei biosensori che indosseremo e misureranno la nostra salute dando poi indicazioni su cosa potremo chiedere nelle polizze assicurative… Ma di lavoro, di come ci spostiamo, di come mangiamo. E l’algoritmo c’entra. Il Covid ha reso importanti gli ‘antenati’ dei biosensori, le app che segnalano i possibili contagi a due passi; ha reso fondamentali le consegne a domicilio. Ma l’altra faccia della medaglia dice sono le molte problematiche del ‘regno’ degli algoritmi, su cui appunto arrivano scioperi contro un modello di gestione di un’intera catena di gestione di beni. Dinamica normale, ma stavolta è diverso. Perché il dibattito attorno queste due vertenze è difficilissimo.

Tutti conoscono i benefici di Amazon e contrastare un colosso del genere è impresa enorme. Gli appelli ai consumatori, a non comprare, a non ordinare il cibo a casa, funzionano davvero? Un volta forse, ma gli altri giorni? E soprattutto: i ‘decisori’ hanno in mano le leve per governare un triangolo complesso: azienda, lavoratori, clienti…? Ognuno dei quali non vuol rinunciare alla sua pretesa. Un sindaco di un Comune modenese dove sorgerà un nuovo magazzino Amazon portando tanto lavoro è stato scomunicato dal suo partito, il Pd, accusato di fare da portavoce al colosso di Bezos (dicendo, è giusto chiedere condizioni sempre migliori per i lavoratori, ma si lotti duro anche contro le finte coop che non sfruttano di meno); il sindaco di un Comune bergamasco dov’è arrivato Amazon ha detto che ha portato lavoro, i commercianti lo avvertono che spariranno centinaia di negozi; i sindacati lamentano precarietà e ritmi esasperati. “Offriamo lavoro sicuro, moderno e inclusivo, con salari competitivi tra i più alti del settore”, ribatte Amazon. E nel frattempo, tutti o quasi continuiamo a usare l’algoritmo. Sarà anche vero che sono dinamiche viste nella storia del lavoro altre volte, ma stavolta appare evidente quanto il ‘contesto intorno’ arrivi dopo ad affrontare la questione: di rincorsa, inseguendo…

Draghi ha detto che il Consiglio europeo intavolerà il discorso di una tassazione digitale internazionale. Sì, ma intanto l’algoritmo è già lontano: viaggia veloce. Tutti parlano, protestano, lottano, ma la sensazione è che la legge dell’algoritmo sia inarrestabile. E che tocchi inseguire. Lo sciopero non è forse la carta estrema che si gioca? Fa rumore, ma non mette fine alla partita. Insomma, sull’algoritmo siamo in ritardo. Susy Zanardo, professore associato di Filosofia Morale all’Università europea di Roma, ha detto: “L’accelerazione tecnologica di questa fase ci domanda di vigilare su due rischi fondamentali. Il primo è che le mediazioni sociali e politiche restino impreparate di fronte all’evoluzione tecnologica, asservita al prodotto alla manipolazione del consenso. Il secondo è che la pervasività della strumentazione indebolisca la capacità simbolica, la consapevolezza critica e il discernimento delle coscienze”. La posta in gioco è questa: “In un prossimo futuro gli algoritmi potrebbero rendere quasi impossibile alle persone osservare la realtà che le riguarda: saranno gli algoritmi a decidere per noi chi siamo e cosa dovremmo sapere di noi stessi”, avverte Yuval Noah Harari, che insegna al dipartimento di storia della Hebrew University di Gerusalemme. Sembra una pubblicità del 2006 degli Usa: filma la sequenza di appuntamenti mancati tra due fidanzatini in un Campus e alla fine fa vedere che in ogni scena, meno appariscente, c’era un ragazzo che mandava chiari segnali della sua pericolosa passione per le armi e delle sue ambizioni da killer. Ma non lo notava nessuno: la storia d’amore facile e a portata di mano occupa tutti i pensieri.


“L’aumento della complessità degli strumenti digitali porta con sé una accresciuta difficoltà di prevederne il funzionamento e di attribuire la responsabilità delle operazioni che essi svolgono. In questa situazione è importante riacquisire un concetto di responsabilità che vada al di là della dimensione, meramente fattuale, del riportare un effetto a una causa”, sostiene Markus Krienke, docente di storia della Filosofia moderna ed Etica morale alla Facoltà teologica di Lugano. E noi siamo già in ritardo. “Nel XXI secolo il prezzo che paghiamo per l’ignoranza su noi stessi è destinato a crescere in modo vertiginoso perché governi e aziende stanno acquisendo abilità senza precedenti nell’hackerare e manipolare le scelte umane. E gli individui più facilmente manipolabili sono quelli che credono nel libero arbitrio perché rifiutano di riconoscere che possono essere condizionati”, avverte Yuval Noah Harari. Auguri.

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