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Coronavirus, pediatra Sip: “Non è la peste. Il problema è la diffusione, non la pericolosità”

"Il problema non è l'infezione a livello di pericolosità, ma la sua alta diffusibilità: una persona che ha contratto il virus riesce ad infettare altre tre persone contemporaneamente"

Pubblicato:26-02-2020 12:34
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 17:03

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ROMA – “Il Coronavirus non è la peste. Non conosciamo ancora tecnicamente le sue caratteristiche e abbiamo l’obbligo di contenere la sua diffusione, ma non la sua pericolosità. Il problema non è, quindi, l’infezione e l’associazione con il decesso del paziente, ma la sua alta diffusibilità. Si trasmette in maniera rapida, perché una persona che ha contratto il virus riesce ad infettare altre tre persone contemporaneamente”. A spiegarlo è Rocco Russo, coordinatore del tavolo tecnico sulla vaccinazione della Società italiana di pediatria (Sip), commentando i recenti risvolti epidemiologici.

“Se immaginiamo che la popolazione presente nella città di Wuhan corrisponda a mezza popolazione italiana, e se trasportiamo una situazione del genere nel nostro paese- spiega Russo- allora avremmo mezza Italia con il Coronavirus. Questo non vuol dire che morirà mezza Italia, perché l’80% guarisce, il 15% potrà avere problemi seri ma gestibili in ambiente sanitario e un 5% avrà gravissime complicanze, di cui il 3% può essere a rischio letalità. La letalità aumenta nei soggetti con comorbidità- chiarisce il pediatra- nelle persone anziane, che sono la stessa categoria di soggetti a rischio letalità per influenza”.

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L’esperto fa presente che “il morbillo ha una capacità di diffusione molto più alta: per ogni persona che ha contratto il virus ci saranno contemporaneamente altre 15 persone contagiate di morbillo. Lo stesso accade con la Pertosse, ma per questi casi abbiamo il vaccino che ci aiuta a contenere la diffusione della malattia”.

Ragionando, dunque, in base ai dati epidemiologici e alle esperienze sul territorio “risulta che abbiamo nella fascia pediatrica un ridotto numero di casi verificati da Coronavirus e noi prendiamo atto di suddetto dato epidemiologico. Questo è un virus nuovo, che stiamo iniziando a conoscere e non possiamo offrire valutazioni che non siano supportate dalle evidenze scientifiche. Le ipotesi sono legate al fatto che il bambino più piccolo metta in atto meccanismi difensivi probabilmente diversi come risposta anticorpale all’infezione. Il bambino- sottolinea Russo- entra in contatto con altri coronavirus più semplici, come quelli che causano un banale raffreddore, e questo potrebbe creare una risposta anticorpale tale da proteggerlo. Ma sono solo ipotesi deduttive”.

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La Sip non dà nulla per scontato. “Sappiamo che il Coronavirus provoca maggiori danni nei soggetti fragili, con comorbilità legate ad esempio all’età o a problemi cardiologici e all’ipertensione arteriosa. Ma il soggetto sano non esiste per definizione– ribadisce lo studioso- il giovane di 38 anni ricoverato in terapia intensiva non è detto che sia un soggetto che non possa superare brillantemente l’infezione da Coronavirus, così come qualsiasi altra infezione. Il soggetto sano non esiste perché può esserci una predisposizione genetica che lo esponga a una maggiore complicanza rispetto ad un altro soggetto della sua stessa età. La definizione di ‘sano’, dunque, è teorica perché il sano può essere anche colui che alla fine può avere una slatentizzazione di una patologia che può aggravare il decorso della malattia infettiva. Un soggetto obeso, per definizione, a volte è considerato anche sano- ricorda Russo- ma l’obesità è una delle condizioni maggiormente volte a creare complicanze”.

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I genitori che hanno un figlio piccolo a cui è stato diagnosticato il Coronavirus come devono comportarsi? “Il problema di questo virus è legato al fatto che è nuovo, perché ha fatto un salto di specie passando dalla forma animale a quella umana, e ciò significa che al momento attuale l’uomo non ha adeguati strumenti immunologici di protezione per difendersi dall’infezione. Il genitore del bambino può essere anche lui infettato, perché la trasmissione del Coronavirus avviene per via aerea (starnuti), per contatto diretto e adesso c’è anche un’altra ipotesi al vaglio della comunità scientifica che riguarda la via oro-fecale”, spiega Russo. Chi associa il Coronavirus all’influenza però “commette un errore. Per l’influenza abbiamo degli strumenti per proteggerci come la vaccinazione- evidenzia il medico- in quanto abbiamo modo di conoscere questi virus nel corso del tempo al punto da poter mettere in atto specifici vaccini”.

Da questa storia, tuttavia, il pediatra della Sip cerca di trarne anche dei benefici: “Ci ricorda che è importante insegnare ai bambini il rispetto delle norme igieniche che dovranno valere sempre, anche quando passerà il Coronavirus; non discriminare mai il bambino cinese, perché avere gli occhi a mandorla non significa avere il Coronavirus; fare la prevenzione vaccinale e capire cosa significa avere a disposizione uno strumento che ci evita di affrontare malattie altamente diffuse”, conclude.

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