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Mafia, operazione ‘Bivio’ a Palermo: 16 fermi

Nel mirino della Direzione distrettuale antimafia il mandamento mafioso di Tommaso Natale

Pubblicato:26-01-2021 08:28
Ultimo aggiornamento:26-01-2021 11:00

carabinieri
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PALERMO – Sedici fermi sono stati disposti a Palermo dalla Direzione distrettuale antimafia ed eseguiti da carabinieri del Comando provinciale. Nel mirino il mandamento mafioso di Tommaso Natale.
Gli indagati sono accusati a vario titolo di associazione mafiosa, tentato omicidio, estorsioni consumate e tentate aggravate, danneggiamento seguito da incendio, minacce aggravate e detenzione abusiva di armi da fuoco. L’operazione, denominata ‘Bivio’, ha alzato il velo sulle dinamiche interne al mandamento tra le famiglie di Tommaso Natale, Partanna Mondello e Zen-Pallavicino: in particolare l’indagine ha evidenziato come la piena vigenza della ricostituita commissione provinciale di Cosa nostra palermitana, riunitasi il 29 maggio 2018 dopo quasi trent’anni di inattività, abbia condizionato le dinamiche criminali del mandamento.

I NOMI DEI 16 FERMATI A PALERMO

Questi i nomi dei 16 destinatari di fermo e custodia cautelare in carcere coinvolti nell’indagine: Francesco Adelfio, 39 anni; Andrea Barone, 22; Carmelo Barone, 60; Marcello Bonomolo, 48; Pietro Ciaramitaro, 33; Giuseppe Cusimano, 38; Francesco Finazzo, 65; Salvatore Fiorentino, 39; Sebastiano Giordano, 23; Francesco L’Abbate, 37; Andrea Mancuso, 23; Francesco Palumeri, 61; Giuseppe Rizzuto, 34; Baldassare Rizzuto, 25; Antonino Vitamia, 57; Michele Zito, 47.

I 16 sono tutti nati e residenti a Palermo.


BOSS TENTARONO DISTRIBUZIONE ALIMENTI DURANTE LOCKDOWN

Alimenti distribuiti dalla mafia in tempo di pandemia da Covid-19. L’indagine ha portato alla luce il tentativo di Cosa nostra, nel quartiere popolare dello Zen, di “accreditarsi come referente – dicono i militari – in grado di fornire aiuti alla popolazione“.
Secondo gli investigatori, Giuseppe Cusimano “ergendosi a punto di riferimento per le tante famiglie indigenti del quartiere, ha tentato di organizzare una distribuzione alimentare durante la prima fase di lockdown del 2020”. Una circostanza che secondo gli investigatori dimostra come Cosa nostra sia “sempre alla ricerca di quel consenso sociale e di quel riconoscimento sul territorio, indispensabili per l’esercizio del potere mafioso”.

L’indagine antimafia ‘Bivio’ che ha portato a 16 fermi a Palermo “ha consentito di dimostrare come i mafiosi tentassero allo Zen di Palermo di dare una sorta di ‘welfare mafioso‘ alla gente che aveva bisogno durante la prima fase del lockdown, addirittura con sussidi di tipo alimentare scoperti dai carabinieri”. Lo dice il generale dei carabinieri Arturo Guarino, Comandante provinciale dell’Arma, commentando l’operazione scattata nella notte su ordine della Dda.
“Si tratta però di un welfare che non porta a nulla di buono”, ha ricordato Guarino sottolineando inoltre la tempestività dell’intervento dei carabinieri, entrati in azione “preventivamente” rispetto ai contrasti “forti e anche violenti” interni al “potente e storico mandamento di San Lorenzo-Tommaso Natale”.

CINQUE IMPRENDITORI PALERMITANI RACCONTANO IL RACKET

Nel mandamento mafioso palermitano di Tommaso Natale vigeva “una pervicace e incisiva azione vessatoria” nei confronti di imprenditori e commercianti costretti a pagare Cosa nostra per potere lavorare. Lo sostengono i carabinieri del Comando provinciale, che hanno raccolto le denunce di cinque imprenditori.
I clan imponevano agli imprenditori edili i mezzi dei propri affiliati, mentre sul fronte del commercio “riscuotevano il pizzo in maniera capillare. In caso di resistenze gli affiliati ai clan “non hanno esitato”, spiegano i militari, ad attuare danneggiamenti incendiando i mezzi degli imprenditori.
Gli investigatori hanno ricostruito 13 estorsioni aggravate dal metodo mafioso (dieci consumate e tre tentate) e due danneggiamenti seguiti da incendio nei confronti di altrettante imprese. I carabinieri hanno poi scoperto alcuni progetti di rapine a danno di portavalori e di distributori di benzina, che avrebbero dovuto essere commessi anche con armi automatiche da guerra ed esplosivo al plastico.
“L’intento dei vertici della famiglia mafiosa dello Zen – dicono i militari – era quello di assaltare, usando proprio le armi e l’esplosivo, un portavalori di una società di vigilanza non specificata al fine di incamerare liquidità da riutilizzare per il sostentamento degli affiliati liberi e detenuti”.
Analogo progetto sarebbe stato ideato contro un distributore di benzina che usufruisce di vigilanza armata: in quell’occasione i boss non avrebbero esitato a usare le armi per neutralizzare il vigilante e rapinare l’esercizio commerciale.

‘BIVIO’ DAVANTI AI CLAN: NUOVI EQUILIBRI O L’ORTODOSSIA

Cosa nostra palermitana a un ‘bivio’: accettare la ricostituita commissione provinciale o rimettere in discussione tutto attraverso le persone più carismatiche che vengono nel tempo rimesse in libertà. È il quadro descritto dai carabinieri del Comando provinciale di Palermo.
Al centro dell’indagine, denominata appunto ‘Bivio’, gli equilibri interni al vertice del mandamento mafioso di Tommaso Natale che non sarebbero andati a genio Giulio Caporrimo, uno degli indagati, detenuto nel periodo di ricostituzione degli assetti criminali dell’organizzazione. Tornato in libertà nel maggio del 2019, Caporrimo “si è scontrato – è la ricostruzione degli inquirenti – con una nuova componente del mandamento di riferimento e soprattutto con una nuova leadership, determinando un vero e proprio corto circuito”.
Fino al maggio del 2018, secondo i carabinieri, il mandamento sarebbe stato controllato da Nunzio Serio, la famiglia mafiosa di Partanna Mondello affidata alla reggenza di Francesco Palumeri e quella di Tommaso Natale d Antonino Vitamia. Nel maggio del 2018 a Serio, nel frattempo arrestato, subentrò Calogero Lo Piccolo che nel ruolo di capo mandamento, come confermato dai collaboratori di giustizia Filippo Bisconti e Francesco Colletti, prese parte il 29 maggio 2018 alla riunione della neo ricostituita commissione provinciale di Cosa nostra. Alla riunione avrebbe partecipato anche Palumeri, indicato come suo “portavoce”, e dunque “vice”. Un assetto contro cui si sarebbe scontrato Caporrimo: tornato in libertà nel maggio del 2019, quest’ultimo, si vedeva sottoposto a Palumeri “che egli – ricostruiscono gli investigatori – non riconosceva come suo leader e soprattutto non riteneva all’altezza dell’incarico”.
Allo stesso modo Caporrimo non riteneva ammissibile ciò che era accaduto con la riformulazione della commissione, perché le decisioni assunte al riguardo, secondo le sue valutazioni, sarebbero andate fuori da quella cornice di ortodossia mafiosa che caratterizza Cosa nostra, essendo stata violata, a suo avviso, una delle regole principali dell’organizzazione: quella che si sintetizza nel fatto che si è mafiosi fino alla morte e si mantiene il proprio incarico di vertice anche nel corso della detenzione.
Caporrimo, quindi, non considerava Palumeri un reggente e dopo essere tornato in libertà decise di allontanarsi da Palermo stabilendosi a Firenze “per prendere le distanze – spiegano i carabinieri – dalla nuova organizzazione”. In una intercettazione Caporrimo definisce l’organizzazione non più ‘Cosa nostra’ ma “Cosa come mi viene”.
Da qui il “bivio” che si è posto davanti all’organizzazione, stretta tra la necessità di accettare i nuovi equilibri e i loro riflessi nella commissione provinciale oppure l’ipotesi di rimettere tutto in discussione puntando sul carisma criminale di personaggi come Caporrimo che nel frattempo, nell’aprile 2020, è rientrato a Palermo “riuscendo in poco tempo – dicono i carabinieri – ad accentrare nuovamente su di sé le più delicate dinamiche dell’intero mandamento, senza i paventati spargimenti di sangue che pure era disposto ad affrontare”.
Del suo schieramento avrebbero fatto parte anche Vitamia, Franco Adelfio, ritenuto uomo d’onore di Partanna Mondello, e Giuseppe Cusimano, a cui era stata affidata la reggenza delllo Zen. Di fatto, secondo i carabinieri, Caporrimo riprese in mano le redini del mandamento fino al suo nuovo arresto nel giugno del 2020 con l’operazione ‘Teneo’.

QUEL DUELLO A FUOCO PER CONTROLLO DELLO ZEN DI PALERMO

Un duello a colpi di pistola per le strade dello Zen, quartiere popolare alla periferia nord di Palermo, tra gli uomini legati ai vertici ‘ufficiali’ della neocostituita famiglia mafiosa Zen-Pallavicino e alcuni gruppi di riottosi non allineati.
Secondo gli inquirenti la famiglia di Zen-Pallavicino, nuova articolazione mafiosa del mandamento di Tommaso Natale, sarebbe stata affidata alla gestione di Giuseppe Cusimano con l’aiuto di Francesco L’Abate: una cabina di regia che però ha dovuto fare i conti con “l’esuberanza criminale e la violenza” di alcuni gruppi non affiliati formalmente a Cosa nostra.
Il duello a fuoco, avvenuto nel settembre 2020, è considerato dai carabinieri del Comando provinciale uno dei tanti “momenti di tensione”. I due gruppi, uno dei quali, secondo la ricostruzione dei carabinieri, composto da Andrea e Carmelo Barone, appoggiati da Cusimano, si sono affrontati armi in pugno in pieno giorno esplodendo diversi colpi di pistola che solo per un caso fortuito non hanno provocato la morte o il ferimento dei contendenti o dei passanti. Un episodio che, sommato ad altre tensioni, ha indotto i vertici di Cosa nostra a prendere provvedimenti nei confronti dei riottosi, meditando la morte di alcuni tra i non allineati: il disegno è stato sventato dagli investigatori.

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