
ROMA – Circa 60 mila persone hanno manifestato a Melbourne per ricordare e denunciare “il genocidio degli aborigeni“. Il corteo si è tenuto in occasione dell'”Australia Day“, il giorno che commemora lo sbarco dell‘esploratore James Cook avvenuta nel 1788.
“La gente sta iniziando a capire. Sono davvero sconvolto nel vedere tutte queste persone che ci sostengono” ha detto Bill Nicholson, dell’etnia Wurundjeri, osservando la folla di non-nativi in marcia insieme con gli aborigeni. Amnesty International ha inviato una delegazione di nove osservatori per monitorare il rispetto dei principi dei diritti umani nella gestione delle proteste.
“L’Australia Day non è una festa per tutti gli australiani” si legge in un comunicato dell’ong. “Dalla colonizzazione, le popolazioni aborigene sono state sottoposte a violenze disposte dal governo, a politiche che allontanavano i bambini dalle famiglie, sono state mandate via dalle loro terre. E’ stato negato il diritto all’autodeterminazione”.
A prendere posizione è stato anche il primo ministro, Malcom Turnbull. “Riconosciamo che l’insediamento in Australia è stato complesso e tragico per gli aborigeni australiani” ha detto il capo di governo. “Ma sono amareggiato da coloro che vogliono cambiare una data che unisce Australia e australiani e farla diventare una data che ci divide”. Turnbull ha respinto la proposta dall’alleanza Aboriginal Resistance di sostituire l’Australia Day con un’altra data che non ricordi il giorno dell’invasione. Festa nazionale dal 1994, l’Australia Day è stato ribatezzato “invasion day” da nativi e attivisti dei diritti umani per risvegliare l’attenzione su chi abita il continente da oltre 40 mila anni.
Manifestazioni sono state organizzate non solo a Melbourne ma in molte città australiane, tra cui la capitale Camberra, Sidney, Brisbane e Perth.

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