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ROMA – Cominciare dai piccoli passi. Concentrandosi su proposte concrete, immediate, senza pretendere di ottenere tutto e subito. Sarebbe questa la strategia giusta, ad esempio per il rilascio degli ostaggi israeliani. Ne è convinto Bernardo Venturi, direttore del think tank bolognese Agenzia per il peacebuilding (Ap).
Al centro di un’intervista con la Dire c’è la nuova fiammata del conflitto in Medio Oriente, innescata dai blitz e dagli assalti di Hamas del 7 ottobre. L’occasione è un seminario ospitato dall’Università Lumsa a Roma, nel quadro del Festival della diplomazia. “Chi includere nei processi di pace?” il titolo dell’incontro, al quale partecipa Venturi. La prima domanda riguarda in realtà i termini di una mediazione possibile, con Israele da una parte e l’organizzazione palestinese Hamas dall’altra.
“La premessa è che pretendere di raggiungere subito un grande risultato non porterebbe probabilmente a nulla” sottolinea Venturi. “La fiducia si può invece cominciare a costruire partendo dalle piccole cose, puntando sui ‘back channel’, i canali della diplomazia meno visibili ma che conducono a risultati concreti“.
Secondo il direttore dell’Agenzia per il peacebuilding, allora, “la questione degli ostaggi va letta così, a partire da situazioni concrete e circoscritte”. L’obiettivo? “Evitare una escalation che coinvolga altri Paesi, dalla quale sarebbe poi difficile tornare indietro”.
Un altro punto sul quale Venturi invita a riflettere è che cosa voglia dire “essere forte”. “Nel lungo periodo cosa ha portato la scelta di Israele di assediare Gaza rendendola una prigione a cielo aperto e, parallelamente, di espandere le colonie in Cisgiordania?” chiede il direttore dell’Agenzia per il peacebuilding, evidenziando le vulnerabilità tornate a emergere proprio il 7 ottobre. “Per l’Autorità nazionale palestinese o per Hamas essere forti potrebbe invece voler dire essere in grado di garantire davvero una governance, sostenibile anche dal punto di vista della popolazione”.
Nei raid di Hamas nel sud di Israele sono state catturate oltre 200 persone, tuttora detenute a Gaza. Nei giorni scorsi quattro di loro sono state rilasciate, anche grazie a un ruolo di mediazione di Qatar, Egitto e Comitato internazionale della Croce Rossa.
Possibile fare passi ulteriori? Venturi ragiona su orizzonti più lontani, citando l’acronimo Batna, Best Alternative to a Negotiated Agreement, in italiano “Alternativa migliore a un accordo negoziato”. “Rispetto ad Hamas se ne cominciò a parlare nel 1998” ricorda il direttore. “L’idea era far sì che accettasse un cessate il fuoco di lungo periodo senza però dover rinunciare a una serie di rivendicazioni, come il ritorno dei rifugiati palestinesi nelle loro case”.
Una strategia certamente imperfetta, quella di Batna, ma forse utile. In Medio Oriente, in Ucraina o altrove, “purché la diplomazia abbia coraggio e magari un po’ di follia”, suggerisce Venturi: “Il punto chiave è accettare di rinviare la soluzione di alcuni problemi alle nuove generazioni, fermandosi dove si può arrivare in un determinato momento e permettendo che la parte restante della questione, che valga il 20 o il 30 per cento, sia affrontata solo in futuro”.
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