giovedì 13 Novembre 2025

Aldrovandi 20 anni dopo, il padre: “Un Federico di oggi non avrebbe neanche quel minimo di giustizia”

L'anniversario della morte del figlio, ucciso a soli 18 anni da 4 poliziotti "senza una ragione" è l'occasione per ricordarlo. "Il nostro dolore è davvero un ergastolo". Gli assassini reintegrati anche se "schegge impazzite"

BOLOGNA – Venti anni fa, 7.300 giorni, un padre ricorda quella morte “senza ragione” del figlio, Federico Aldrovandi, ucciso a 18 anni alle 6.05 della mattina, mentre rientrava a casa da una serata con gli amici, a Ferrara. Proprio la sua città, a distanza di 20 anni, gli intitolerà uno spiazzo verde vicino a dove è stato commesso il suo brutale omicidio. Oggi un padre torna su quella perdita, sulla battaglia condotta per far emergere la verità, su una condanna spazzata via dall’indulto. E sulle nuove norme sulla sicurezza che sembrano dare nuova linfa alle “schegge impazzite” e con cui forse, un altro Federico non potrebbe ottenere nemmeno quel “minimo di giustizia” avuta per il proprio figlio.

IL 25 SETTEMBRE 2005, UNA MORTE “SENZA UNA RAGIONE”

Il padre, Lino, agente della polizia locale in pensione, come ogni anno, affida i suoi pensieri ad un lungo post su Facebook che ripercorre quell’orribile mattina in cui due genitori preoccupati per il figlio, ancora non rientrato a casa dalla notte, sono stati informati della sua morte. “Improvvisamente quel ‘flash’ nella mia mente di quel meraviglioso 17 luglio 1987 quando venisti al mondo a ricordarmi il percorso dei tuoi 18 anni- scrive un padre- Mai e poi mai avrei pensato che appena 18 anni dopo, quella gioia indescrivibile sarebbe stata spazzata via ‘senza una ragione’ da chi avrebbe potuto e dovuto proteggerti”.
Sì perché, nonostante le prime versioni diffuse sulle cause del decesso “imparammo poi io, tua madre e tuo fratello- prosegue Lino- che non eri morto di morte naturale, o per autolesionismo, o per un incidente o chissà per cosa d’altro, ma eri stato ucciso “senza una ragione” da quattro persone in divisa, tre uomini e una donna”.
La versione che fu fatta passare, all’indomani della morte, era quella di un tossico che si era sentito male. “Un eroinomane”, è la versione data alla Camera dell’ex ministro Carlo Giovanardi in un’interrogazione parlamentare. La verità è che Federico è stato ucciso da alcuni agenti della Polizia di Stato il 25 settembre 2005 durante un “controllo di polizia”, diventato un omicidio.

LE 54 LESIONI, LE CONDANNE E LA PENA RIDOTTA

Lino Giuliano Aldrovandi e la moglie Patrizia hanno lottato perché emergesse la verità su quella morte senza una ragione, nonostante sul corpo del figlio senza vita fossero evidenti i segni delle 54 lesioni ed ecchimosi, frutto di un pestaggio brutale. Solo nel 2009 i giudici di primo grado hanno condannato i 4 poliziotti e il capo pattuglia coinvolti, per aver causato la morte di Federico Aldrovandi a suon di botte, quando il ragazzo era già ammanettato. Condanna confermata dalla Cassazione. Il capo pattuglia Enzo Pontani e i colleghi Luca Pollastri, Monica Segatto e Paolo Forlani ebbero tre anni e mezzo di carcere per omicidio colposo ed eccesso colposo nell’uso legittimo delle armi. Poi però la pena fu ridotta ad appena sei mesi, per indulto.

“OGGI FEDERICO AVREBBE 38 ANNI E SAREBBE UN VIGILE DEL FUOCO”

Oggi, dopo 20 anni, restano i ricordi e un dolore mai sopito. Lino racconta di Federico non solo sui social. A chi gli chiede chi sarebbe oggi suo figlio, se la sua vita non fosse stata spazzata via troppo presto, risponde che oggi avrebbe 38 anni e forse sarebbe un vigile del fuoco. In un’intervista al quotidiano Repubblica, Lino ripercorre i primi momenti della vita di quel figlio nato troppo presto e sottopeso. “La situazione era a rischio, io e Patrizia ci dicevamo: ce la farà. Lui pesava 990 grammi, aveva delle manine che sembravano quelle di un soldatino di Big Jim. Mettevamo la nostra mano dentro l’incubatrice, cercavamo di toccarlo e lui stringeva col ditino”. Federico restò attaccato alla vita e ben presto da quell’incubatrice uscì e iniziò la sua corsa. A 18 anni era un ragazzo come tanti, agli inizi degli anni 2000: “Faceva karate, ascoltava la techno, ma sotto il letto a 18 anni aveva ancora la scatola dei pupazzetti”.

“IL NOSTRO DOLORE, UN ERGASTOLO”

Poi parla del dolore che resta, anche dopo 20 anni, di tutta la famiglia: “A me, mamma Patrizia e nostro figlio Stefano è rimasto un dolore sulle spalle che è davvero un ergastolo. Il nostro dolore è ancora più forte. La mancanza di un figlio aumenta di giorno in giorno. Io oggi potrei avere dei nipotini che mi girano attorno. Stefano è un figlio prezioso con grande sensibilità, ma ha sofferto enormemente, ha perso un fratello”.
Poi entra nel vivo di quella morte “senza ragione” e il rammarico per una colpa mai veramente espiata dai suoi assassini: “Dopo i sei mesi di carcere quegli individui – non riesco a chiamarli poliziotti – sono stati reintegrati- spiega- Secondo la commissione che li valutò non ci fu disonore della polizia. Se avessero letto le carte, avrebbero scoperto che il procuratore della Cassazione li definì ‘schegge impazzite'”.

LE LEGGI, IL DDL SICUREZZA: “UN FEDERICO DI OGGI? FORSE NON AVREBBE NEANCHE UN MINIMO DI GIUSTIZIA”

Dopo 20 anni, Lino Aldrovandi, vigile urbano in pensione, guarda al presente: il giornalista gli chiede se a 20 anni della tragedia, ci potrà essere un altro Federico. Il padre scuote la testa e dà una risposta che lascia spiazzati. “L’idea che mi son fatto- dice- le leggi che sono state promulgate, il ddl sicurezza, la mentalità di certi politici… Beh, ho paura che forse un Federico di oggi non avrebbe nemmeno quel minimo di giustizia“.
Il pensiero va anche alle recenti morti legate all’abuso del taser: da ex uomo in divisa, che oggi si troverebbe a dover usare quel dispositivo, si pone il problema: “È un discorso molto delicato. La domanda che farei è: ma è sicuro usarlo? Occorre rendersi conto di cosa si ha in mano”.

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