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(La foto storica è tratta da Wikipedia e venne pubblicata sul Gazzettino di Venezia il 12 settembre 1970)
BOLOGNA – Investito da un tornado, sollevato tra le onde e poi affondato in pochi istanti, per poi adagiarsi sul fondale del mare con 21 persone ancora all’interno che morirono annegate. Più di 50 anni fa, nella laguna di Venezia a Sant’Elena, si verificò una tragedia che ha diversi punti in comune con il disastro del Bayesian, avvenuto nella notte tra il 18 e il 19 agosto davanti al porto di Porticello vicino a Palermo. Ovviamente le proporzioni non sono le stesse, ma la repentinità e violenza con cui il vento colpì le due imbarcazioni, decidendone il destino, è una comune. Nel caso dell’Acnil 130, questo il nome del motoscafo (che era di linea) e quello con cui si ricorda la strage, a centrare in pieno l’imbarcazione fu un tornado. Per il Bayesian, ha spiegato il procuratore capo di Termini Imerese nel punto fatto ieri in conferenza stampa, a investire lo yacht a vela sarebbe stato un downburst, un tipo di tempesta che sviluppa pericolosi venti tutti in una volta.
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Era la sera dell’11 settembre 1970. Successe tutto in mezzo minuto, stando ai racconti dei superstiti che si ritrovano all’interno di articoli commemorativi di giornali locali. A Venezia, del tornado, neanche ci se ne accorse. Saltò solo brevemente la luce. Successe tutto in pochi istanti all’isolotto di Sant’Elena, il quartiere residenziale posto all’estremità orientale di Venezia. Il tornado, che si era originato sui Colli Euganei e che complessivamente fece gravissimi danni tra Padova e Venezia, provocò altri 12 morti in un campeggio a Ca’ Savio (e 141 feriti) e un’altra persona morì a Battaglia Terme. Ma l’episodio più terribile fu il naufragio del motoscafo di linea Acnil 130, diretto al Lido di Venezia, che stava per attraccare a Sant’Elena: erano le 21.36, il motoscafo a pochi metri dall’attracco, ma stava aspettando che si liberasse il pontile, occupato dal vaporetto 59. A bordo c’erano 50 passeggeri, morirono in 21. Il motoscafo, lungo 22 metri e con una stazza di 22 tonnellate, venne ribaltato e schiaffato sott’acqua, compiendo una rotazione di 360 gradi. Una tromba d’aria di una violenza inaudita.
Un articolo del Gazzettino.it ricorda le parole pronunciate dal pilota Enzo Bullo e riportate dal giornalista Alessandro Marzo Magno all’interno del libro “Naufragi. Storia d’Italia sul fondo del mare un libro” (Saggiatore, 2017): “A un certo punto il cielo è diventato tutto bianco, io sono andato giù, nelle cabine, a chiudere i finestrini perché non entrasse la pioggia. Poi sono tornato su vicino alla timoniera. Stavamo accostando, eravamo a meno di cento metri dall’attracco, e all’improvviso non si è visto più niente, è sparito anche il pontile. Non mi sono nemmeno accorto di quel che stava succedendo. Mi sono trovato sott’acqua e sono tornato su con una signora attaccata al mio impermeabile”.
Le vittime vennero estratte nella notte. Il motoscafo, affondato e poggiato sul fondale a tre metri di profondità, fu recuperato la mattina dopo con una gru. Incredibilmente il mezzo, lì per lì, dopo essere stato sistemato venne riciclato: tornò a circolare con un altro numero, il 136, pare senza che la cosa si sapesse. L’Actv, subentrata all’Acnil, radiò il mezzo nel 1985. L’Associazione nazionale marinai d’Italia di Schio lo comprò e lo sistemò nel Parco di Schio facendone la propria sede. Poi qualche anno dopo venne demolito.
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