(FOTO FIDAL/COLOMBO/FIDAL)
ROMA – Con la finale della staffetta 4×400 (azzurre settime in 3:26.45) si chiude il Mondiale italiano di atletica Eugene 2022. “Nel complesso sono soddisfatto, ma lo ero anche prima della vittoria di Stano”, dice il presidente della Fidal Stefano Mei.
Massimo Stano è campione del mondo sui 35 km di marcia. Il campione olimpico della 20 km ha chiuso una gara sempre nel gruppetto di testa, con uno strappo finale e il il tempo di 2:23:14. Il giapponese Kawano, staccato nell’ultimo chilometro, ha finito in 2:23:15. Bronzo per lo svedese Karlstrom, al traguardo in 2:23:44.
L’oro nella marcia di Massimo Stano riporta il tricolore sul gradino più alto del podio dopo un’attesa durata 19 anni (l’ultimo a riuscirci fu Giuseppe Gibilisco nell’asta, a Parigi 2003), e rimette la squadra maschile nel medagliere a 13 anni da Berlino 2009 (la medaglia “postuma” di Giorgio Rubino nei 20km di marcia). E sempre da 13 anni non si riusciva ad ottenere più di un podio nella stessa edizione (con Stano, va a referto anche il magnifico bronzo nell’alto di Elena Vallortigara).
“Potrei dire ‘another one’, come dice un famoso cantante. Ci tenevo a vincere il Mondiale su una distanza diversa da quella olimpica, volevo dimostrare che Tokyo non è un caso, che Stano, Parcesepe e lo staff ci sono”. Massimo Stano c’è. E raddoppia: campione del mondo dopo l’oro olimpico. Una marcia storica. “Cerchiamo di essere sempre i più forti – commenta il pugliese ai microfoni della Rai – ho dato più di quello che avevo, ma negli ultimi chilometri volevo a tutti i costi questa medaglia, non potevo mollare. Il giapponese non mollava, dovevo fare cambi continui, ma non poteva finire diversamente che così: oggi sarò arrogante ma nel mio cuore avevo solo questo“.
“Dal punto di vista tecnico – continua l’azzurro – non ho ricevuto nemmeno una ammonizione, mi sentivo di marciare bene, quando vedevo che gli avversari prendevano una paletta io cambiavo ancora ritmo, loro scendevano di morale e io attaccavo. Il movimento marcia potrà avere un prosieguo anche dopo le Olimpiadi. Questa medaglia la volevo dedicare ad Antonella Palmisano, che non ha potuto gareggiare qui: sono sicuro che anche lei avrebbe potuto confermare la medaglia d’oro olimpica. Ieri mi ha detto cose che mi hanno aiutato tantissimo come quelle di Ivano Brugnetti. Una dedica a lei oltre ovviamente a mia moglie e a mia figlia”.
“Io sono ancora incredulo – conclude Stano – temevo di non tornare su questi livelli, vincere dopo aver vinto alle Olimpiadi non è scontato. Ci sono tante emozioni, non sto capendo più niente. Sono contento di aver portato un oro all’ultimo giorno come tutti si aspettavano, sono contento di non aver tradito le aspettative”.
Anche in termini di punti e finalisti, il risultato è da sottolineare. Il raccolto complessivo è di 39 punti (dodicesimo posto nella speciale classifica che assegna 8 punti al primo classificato di ogni gara e un punto all’ottavo), il miglior risultato dal 2003 a questa parte (a Parigi, 19 anni fa, collezionammo esattamente 39 punti, come oggi). I finalisti sono dieci, divisi in maniera equa tra uomini e donne, pareggiando (ancora) Parigi 2003, e riportando la squadra italiana in doppia cifra dopo un’attesa durata 9 edizioni. Diciannovesimo piazzamento nel medagliere. Agli Stati Uniti il primo trofeo assegnato per la squadra vincitrice della classifica a punti. Gli americani hanno letteralmente dominato il Mondiale: 33 medaglie (13 d’oro), 65 finalisti, addirittura 328 punti. Giamaica (110) ed Etiopia (106) chiudono il trio di testa.
Dei dieci finalisti di Tokyo ben cinque – senza contarne altri in non perfette condizioni di forma perché reduci o alle prese con infortuni – non sono stati in grado di presentarsi a Eugene: Antonella Palmisano, Nadia Battocletti, Zane Weir, Alessandro Sibilio, Filippo Randazzo. “Ho visto una squadra compatta – commenta Mei – ragazzi che hanno tratto il massimo dalla condizione che avevano. Questo Mondiale ci dice che la base degli atleti italiani di alto livello si sta allargando: l’emergere di talenti che lo scorso anno erano più indietro è sintomatica di un’età dell’oro che dà questi frutti, anche per l’effetto emulazione di Tokyo”.
Nel ricordare le due medaglie vinte, il confortante numero di finalisti intesi come piazzamenti tra i primi otto e il rendimento delle punte (“Jacobs voleva fortemente essere qui per onorare la maglia, Gimbo Tamberi ha sfiorato la medaglia con un’impresa straordinaria, Elena ha fatto qualcosa che era tutt’altro che scontata”) il presidente federale torna anche a sottolineare in quale contesto ci si muovesse, alla luce di una stagione che prevede Mondiali ed Europei nel giro di un mese: “Non ce la siamo sentita di imporre scelte – le parole di Mei – abbiamo fatto decidere gli atleti, alcuni hanno preferito doppiare, altri si sono concentrati su Monaco. Il ruolo del presidente è mettere in condizione il settore tecnico di rendere al meglio, e per questo abbiamo investito molto: se i ragazzi vanno bene è merito loro, se vanno male è colpa mia. Io credo che la struttura e gli allenatori personali abbiano lavorato bene, e altri lo potranno dimostrare anche agli Europei: punto a un’edizione migliore di quella di Spalato 1990″.
La lettura del Mondiale azzurro arriva dal direttore tecnico Antonio La Torre: “Eugene era un passaggio difficile per noi e non dobbiamo nasconderci anche gli errori fatti e imparare da questi. Personalmente mi soddisfa che in un anno difficile per le nostre punte, sia emersa la consistenza del nostro patrimonio post-Tokyo. Lo sappiamo, la stagione che segue le Olimpiadi è complicata, a maggior ragione stavolta che ci son voluti cinque anni e non quattro per arrivare ai Giochi, e quindi una parte dello stress e dell’usura mentale si è riversata sulla stagione successiva. Resto convinto che ci sia un telaio che può arrivare fino alle Olimpiadi del 2028. Dallavalle ha imparato più nei cinque salti di ieri che mai nella sua vita, Fantini è un lavoro che va avanti da sei anni”.
“A Monaco confido nella fame di Nadia Battocletti, che ritroveremo – spiega il dt -. Dovremo andarci con la testa alta e i piedi per terra. Penso alla Germania, che qui praticamente non è venuta e ci sta aspettando, o alla Francia che ha lasciato a casa molti atleti in vista degli Europei”. La Torre non nasconde cosa non abbia funzionato, a partire dalla staffetta 4×100: “In relazione ai valori che poteva esprimere, abbiamo fallito. Vanno aggiustate alcune cose da qui a Monaco. La lezione che viene dal Canada di De Grasse, che ha rinunciato alla gara individuale in favore della staffetta, deve esserci d’insegnamento. Ho ammirato invece il temperamento della 4×400 donne e ho apprezzato che le tre staffette rimaste fuori dalla finale a Tokyo qui siano entrate”.
Il record del mondo di Armand ‘Mondo’ Duplantis. Non poteva che chiudersi così il Mondiale di atletica di Eugene. Con la superstar dell’asta che vola a 6 metri e 21, un centimetro oltre il precedente limite da lui stesso ottenuto a marzo di quest’anno a Belgrado, indoor. Lo svedese, appena terminata l’ultima gara di corsa (la staffetta 4×400 donne) si arrampica fino al nuovo primato nel tripudio generale.
S’è preso la storia di specialità spartendosela con Sergej Bubka: quattordici tra le quindici migliori misure di tutti i tempi all’aperto appartengono a loro: le prime quattro prestazioni di sempre sono a nome di Duplantis. il il primo della storia a vincere Mondiale open e indoor, Olimpiadi, Mondiale jr, Europei e Mondiale Youth. L’argento va al collo di Chris Nilsen (5,94), il bronzo al filippino Ernest Obiena (stessa misura di Nilsen).
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