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Siria, l’Ong: “Il Libano deporta i profughi nonostante la guerra”

Alberto Capannini, cofondatore di Operazione Colomba, denuncia l'aumento esponenziale degli arresti arbitrari, confisca dei documenti e altri soprusi sui profughi

Pubblicato:25-07-2019 14:07
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 15:34

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ROMA – “In Libano la vita per i profughi siriani non è più sostenibile: subiscono soprusi, arresti arbitrari, violenze di ogni genere e infine respingimenti forzati verso la Siria, dove la guerra – a differenza di quanto sostiene una parte del governo libanese – è tutt’altro che finita”. A denunciarlo all’agenzia ‘Dire’ è Alberto Capannini, cofondatore di Operazione Colomba. Occasione dell’intervista, la presentazione del dossier ‘Ritorno in Siria: uccidere o essere uccisi’, presentato stamani alla Camera dei Deputati.

Operazione Colomba è un corpo di pace della Comunità Papa Giovanni XXIII presente in varie zone di conflitto del mondo. Dal 2014 Capannini e i volontari vivono nei campi a nord del Libano per dare sostegno ai profughi siriani. Il Paese, dallo scoppio del conflitto nel 2011, ha accolto un milione e mezzo di rifugiati siriani, una cifra che supera di molto “quanti ne ospita l’Europa”. Una situazione che negli ultimi tempi sta causando un’escalation di sentimenti xenofobi, in parte “giustificati anche da alcuni politici, e con gesti concreti” dice Capannini. Che ricorda le leggi approvate negli ultimi mesi, volte a “velocizzare la chiusura dei campi profughi e le deportazioni“. Ad esempio, una legge recente vieta la costruzione di casette in muratura nei campi, consentendo l’uso esclusivo di legno e teli in plastica. Un modo per non far diventare i siriani stanziali.

Non solo: “Il governo libanese ha abrogato la tipologia di permesso di soggiorno che consentiva ai siriani di lavorare. Nel 2015 aveva già vietato la registrazione dei profughi presso l’Agenzia Onu per i rifugiati (Unhcr), impedendo così alle persone di ottenere aiuti umanitari”. Il risultato è che chi aveva un impiego è stato licenziato e che molti optano per lavori in nero, sottolinea Capannini, “ma spesso subiscono vessazioni. Se il datore di lavoro decide di non pagarli, i profughi non possono certo denunciarlo”. Perché? “Di fatto i siriani sono rimasti privi di documenti regolari, quindi la polizia è autorizzata ad arrestarli”. Chi finisce in cella, denuncia il cofondatore di Operazione Colomba, “ci racconta di essere picchiato dagli agenti e di non poter comunicare con l’esterno”. Gli arresti arbitrari “sono in esponenziale aumento: i check-point sono tanti e piazzati nei punti nevralgici. A volte le autorità confiscano i documenti a quei pochissimi che li possiedono. A finire in cella sono soprattutto gli uomini: vengono trattenuti poche ore oppure giorni o mesi. Spesso da noi vengono famiglie rimaste senza padre o figli grandi a chiederci di parlare con le autorità per mediare il rilascio”.


Una situazione che convince le persone a rimanere barricate nei campi. Dove però, ormai, “almeno una volta la settimana l’esercito arriva di notte per portare via tutti gli uomini, che vengono liberati nei giorni a seguire. Non ci sono capi d’accusa, non è consentita loro l’assistenza legale”. Altro effetto di questa politica, evidenziato da Operazione Colomba, è “l’impunità”. Dal momento che i siriani non possono rivolgersi alla polizia, prosegue Capannini, “se subiscono un sopruso non possono denunciare. Così, si autorizzano dall’alto le violenze contro questa gente”.

Ma la cosa più grave, sono i “refoulement“, i respingimenti forzati verso la Siria: “In Siria i combattimenti non sono finiti e sappiamo che gli uomini, una volta tornati, vengono costretti al servizio militare e mandati nell’area di Idlib, dove sono in corso i combattimenti tra l’esercito e i gruppi armati”. E di chi supera la frontiera, dice Capannini, “perdiamo ogni notizia, quindi non siamo in grado di dire cosa accade a queste persone”. Quanto ai rimpatri volontari, “hanno aderito appena mille persone: magari si tratta di anziani, che non sono adatti a combattere, o di donne con bambini molto piccoli”.

Il Libano, osserva Capannini, “ha siglato la convenzione internazionale che vieta i respingimenti forzati. Ciò che accade è illegale“. Ma gli slogan di alcuni politici libanesi, come “Fuori i siriani dal Libano”, per Capannini seguono il modello “‘fuori i migranti dall’Europa’, dichiarato da molti leader europei. Questo, come vediamo, crea un pericoloso esempio. Che sa di morte”. Da qui l’appello lanciato ai parlamentari italiani a intervenire per sostenere una proposta di pace elaborata da un gruppo di profughi due anni fa, e che con i responsabili di Operazione Colomba hanno già presentato all’Unione Europea, a Papa Francesco, alle Nazioni Unite e ai governi di Italia e Francia. 

“Il prossimo passo – annuncia Capannini – sono Germania e Stati Uniti”. L’idea è di creare una zona in Siria libera dai gruppi armati e dal controllo del governo di Damasco e posta sotto la tutela della comunità internazionale, dice il cofondatore di Operazione Colomba, “in cui i siriani possano tornare a vivere”. “Sembra un sogno – la conclusione – ma serve perché l’alternativa è la morte e il silenzio. E poi l’impossibile non esiste, quindi insistiamo”.

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