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FOTO | I volontari dopo l’alluvione, ecco come funziona la macchina che risolleva la Romagna

Pale e stivali, questa è la 'divisa' del volontario: tra giornate passate a spalare o a spostare mobili, tra un ricordo coperto di fango e una catena umana di secchi, ecco come procede la macchina della solidarietà nella Romagna colpita dall'alluvione

Pubblicato:25-05-2023 14:50
Ultimo aggiornamento:13-06-2023 11:24

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BOLOGNA – “Non siete qui solo per spalare. Siete qui per dare un messaggio: il mondo continuerà ad andare avanti, l’acqua non ha vinto. Anche solo vedervi girare per il paese darà alle persone molta speranza e vi assicuro che ne hanno un gran bisogno“. Riccardo è uno dei ragazzi che a Castel Bolognese, in provincia di Ravenna, accoglie le volontarie e i volontari che arrivano da ogni parte per dare una mano nei territori emiliano-romagnoli travolti dall’alluvione. Si arriva al gazebo, ci si registra, chi non è attrezzato afferra guanti, stivali, una pala o un preziosissimo tira acqua. Il “corso di formazione” di Riccardo dura pochi minuti e parte dalle nozioni tecniche: mai smaltire il fango nei tombini, mai operare a mani nude, mai muoversi da soli, mai sottovalutare un taglietto. Poi la parte più complicata, in cui Riccardo spiega che i volontari troveranno persone che rifiuteranno il loro aiuto e potrebbero anche avere paura di vederli arrivare alla porta di casa. “Quando prendete un oggetto qualsiasi non chiedete ‘questo dove lo butto?’. Sarà coperto di fango, ma per quelle persone è un ricordo della loro vita. Qualcuno vi risponderà male e vi manderà a quale paese. Ma voi chiedete scusa e andate avanti, anche se avete fatto del bene”. Evitare qualsiasi forma di conflitto, suggerisce chi è sul campo da giorni. E nei casi più difficili, segnalare la situazione ad un punto di coordinamento affinchè possano intervenire assistenti sociali o psicologi. E poi, a lavoro finito: “Alla persona che state lasciando chiedete sempre come sta il vicino o se è a conoscenza di qualche famiglia di quella strada che ha bisogno di aiuto“.

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Da Bologna, oltre ai canali istituzionali, molti volontari partono appoggiandosi alle campagne messe in piedi dal basso: ad esempio quella di Plat e dalla Colonna solidale autogestita. Martedì si parte dal circolo anarchico Berneri per Forlì, mercoledì dalla Bolognina per Castel Bolognese. E via così. Sono giorni feriali ma si radunano almeno 60 persone per volta. Molti studenti, compresi gli Erasmus: “Finalmente sono utili anche loro”, scherza qualcuno sentendo parlare spagnolo. Per chi ha bisogno ci sono gli stivali a disposizione, recuperati con le raccolte di materiale o grazie al crowdfunding. Ma a sera bisogna riportarli puliti, o diciamo non troppo sporchi, perchè serviranno a qualcun altro il giorno dopo. Intanto c’è chi raccoglie i numeri di telefono e crea un gruppo su Telegram e Whatsapp, che servirà a gestire le informazioni per tutta la giornata. Poi c’è la conta delle macchine, sperando che bastino per tutti. Si parte.


La carovana che parte dal Berneri viene indirizzata alla sede dell’associazione Forlì città aperta, trasformata in un punto di accoglienza e smistamento dei volontari. Lì si sa dove andare perchè vengono raccolte le richieste di aiuto. Anche qui si distribuiscono gli attrezzi, ma bisogna lasciare nome di battesimo e numero di telefono: “Ci spiace dover fare così ma in questi giorni troppo materiale non è tornato indietro”, spiega una ragazza. Una squadra viene indirizzata verso una casa privata, un’altra verso un centro civico e si prosegue così. Ci vuole un po’ a coordinare il tutto o ad avere la disponibilità di strumenti. Qualcuno freme, altri con più esperienza (sono pochi giorni, ma valgono molto) predica calma: “Qui ci vuole molta buona volontà, ma anche tanta pazienza”. E infatti poco dopo arriva il tempo di cominciare a svuotare una cantina ancora allagata o spalare il fango. Finita una “missione”, ce n’è un’altra. E se non c’è, si gira per mettersi a disposizione. Arrivare al quartiere Romiti è un pugno allo stomaco: cataste di mobili alte due metri ad ogni lato della via, strade polverose a causa del fango essiccato, mezzi di soccorso, i segni lasciati dall’acqua sugli edifici fino alle finestre del primo piano. E abitanti stanchi, ma tutti all’opera. “Serve aiuto?”, chiedono i volontari. “Vi ringrazio ma no, sono a buon punto. Altri ragazzi come voi hanno già fatto molto qui. Meglio se andate a chiedere più avanti perchè magari c’è chi è più indietro”, rispondono spesso le teste che sbucano dai garage.

A sera ci si ritrova al punto di partenza. Tutti dello stesso colore, lasciato dal fango: una specie di ‘divisa civile’ che accomuna i tanti che, senza conoscersi fino al giorno prima, si sono ritrovati fianco a fianco per una catena umana di secchi o per spostare una lavatrice lungo le scale. Ora i volontari lasciano la pala e prendono un panino o il tè, buonissimo, preparato dalla signora marocchina che vive di fianco. Ognuno ha una storia, piccola o grande, da condividere con gli altri. “Un paio di volte la proprietaria della casa dove stavamo lavorando ci ha rimproverato perchè stavamo sporcando”, riporta quasi incredula una ragazza. “Io in una cantina mi sono trovato davanti un busto di Mussolini”, dice un altro. “Io invece mi sono ritrovato con un bicchiere in mano prima ancora di dare la prima spalata: una famiglia aveva appena scoperto di aver salvato il vino del nonno e hanno stappato per festeggiare”, racconta il più fortunato della compagnia. Poi si riparte, dopo aver cambiato i vestiti o almeno ricoperto i sedili con le buste di plastica: il giorno dopo l’auto serve per andare al lavoro o accompagnare i figli a scuola.

Il giorno dopo si parte da Plat. In magazzino ci sono i soliti stivali, ma anche 3.000 banane arrivate dalla bottega ExAequo come donazione per gli sfollati. A Castel Bolognese il punto di ritrovo è al palazzetto dello sport, in mezzo a decine di mezzi dei Vigili del fuoco. Di nuovo: assegnazione degli attrezzi, formazione delle squadre, distribuzione di “pizzini” di carta con indirizzi da raggiungere e numeri di telefono. Si va nelle abitazioni, nelle parrocchie, nelle scuole e in altri locali pubblici. Qualche missione, in un primo momento, va a vuoto: “Vi abbiamo chiamato per spostare i mobili della nonna che vive qui, ma ora è andata un po’ a riposare. Se possibile passate tra un po’ perchè io non so dove vanno messe le cose”, racconta il nipote, impegnato a sistemare la casa della parente dopo aver ripulito la sua, allagata allo stesso modo: “Non avevo altro è tolto tutta l’acqua con la spazzolina per il parabrezza dell’auto”, racconta il ragazzo. I mobili da spostare sono in cortile e vanno riportati dentro: le previsioni meteo non sono buone e la nonna ha paura che i mobili, cioè almeno quelli salvati dall’alluvione, ora si rovinino per la pioggia. Mentre i volontari spostano e puliscono, passa un vicino. “L’abbiamo presa brutta”, dice la signora. “A me è crollato il negozio. Si è aperta una voragine nel pavimento grande così”, è la risposta dell’uomo.

“In questi giorni ho buttato via metà della mia vita”, racconta un altro residente accogliendo i volontari chiamati per rimuovere il fango e oggetti di ogni tipo da un garage. Si definisce “un comunista di quelli di una volta”, tanto di una volta che ormai da 30 anni non va più a votare. “E ma a non andare a votare per 30 anni poi succedono queste cose”, commenta il volontario con la maglietta dell’Anpi di Cento. Neanche lui è un ragazzino: il volontario lo aveva già fatto in Friuli dopo il terremoto del 1976. Il “comunista di una volta”, invece, il volontario lo faceva pilotando gli aerei dell’anticendio boschivo. Ecco spiegati gli oggetti così strani che un po’ alla volta passano dal garage all’ammasso che si ingrossa in strada: “Io qui ci costruivo ultraleggeri”, racconta l’uomo.

Altra tappa, dopo aver percorso le strade del centro: polverose come quelle del giorno prima e quasi vuote, se non fosse per gli spostamenti di chi è all’opera. Un gruppo di volontari ha appena finito di tirare fuori da un archivio sotterraneo un mucchio di faldoni pieni di documenti, resi pesantissimi dall’acqua e dal fango. Spuntano perfino delle ossa, probabilmente reperti di qualche tipo. Il compito della squadra appena arrivata? Riportare giù gli stessi faldoni. Vola qualche sguardo stranito, ma senza proteste in due minuti la catena ricomincia. Al contrario. “D’accordo, li ho portati su. D’accordo, ora li riporto giù. Ma dopo non venitemi a cercare per riportarli su di nuovo…”, dice un operaio in pensione, siciliano trapiantato in Emilia-Romagna, che molti ormai conoscono perchè spala da giorni. “E dire che stasera avrei dovuto essere a Roma per la finale di Coppa Italia. C’ho anche rimesso 200 euro di biglietto. Ma qui c’erano delle persone da aiutare e in questi momenti si può pensare alle partite?”.

A sera, di nuovo, ci si ritrova al punto di partenza. Piadine, gelati, stivali da lavare. Ci si saluta, sapendo che difficilmente ci si incontrerà di nuovo. Molti il giorno dopo non potranno esserci perchè bisogna riprendere il lavoro o tornare a Trieste o andare all’università per una lezione obbligatoria. Molti invece ci saranno di nuovo e altri ancora, c’è da scommettere, arriveranno.

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