La società civile boccia l’Accordo Italia-Albania: “Viola le leggi tre volte”

Tavolo Asilo ha presentato un report che contiene le conclusioni delle tre missioni di monitoraggio condotte a Shenjin e Gjader

Pubblicato:25-02-2025 18:47
Ultimo aggiornamento:25-02-2025 18:56

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ROMA – I centri per migranti costruiti dall’Italia in Albania sono illegali, ledono i diritti delle persone e possono configurare un vero e proprio meccanismo di “deportazione” delle persone. Tre le criticità principali: il diritto alla difesa non viene garantito, i tempi del trattenimento superano – e di molto – le 48 ore stabilite per legge e lo screening delle vulnerabilità viene eseguito in maniera troppo superficiale. A sostenerlo in un’intervista con l’agenzia Dire è Filippo Miraglia, responsabile Migrazioni di Arci nazionale, intervistato a margine della conferenza di presentazione a Roma del report ‘Oltre la frontiera. L’accordo Italia-Albania e la sospensione dei diritti’, redatto da Tavolo asilo e immigrazione. Lo studio segue le tre missioni di monitoraggio nei centri di Shengjin e Gjader, che gli esponenti del Tai hanno compiuto insieme a parlamentari d’opposizione a partire da ottobre.

Le violazioni, continua Miraglia, iniziano ben prima del trasferimento in Albania, subito dopo il salvataggio delle persone migranti nel Mediterraneo centrale: “Le persone migranti vengono immediatamente detenute, ossia private della loro libertà, ben oltre le 48 ore stabilite dalle nostre leggi”. Poi, una volta iniziato il viaggio verso l’Albania, “la vulnerabilità viene valutata in modo troppo superficiale. Sappiamo che le persone che attraversano la Libia subiscono torture e violenze e in maniera superficiale è difficile rilevarle”. Terzo punto, “il diritto alla difesa: tutti i migranti trattenuti nei centri albanesi con cui abbiamo parlato ci hanno confermato di non sapere la differenza tra l’audizione con la commissione territoriale e l’audizione con il tribunale per la convalida della detenzione. Hanno incontrato solo un avvocato d’ufficio con cui non hanno parlato e che non conosceva nulla della loro storia”. Ciò inficia, secondo gli esperti, il diritto d’accesso alla richiesta di asilo e protezione: “Questa tutela legale è solo garantita di facciata” avverte Miraglia, “e non ha nulla a che fare con le leggi italiane, europee e internazionali”. Miraglia conclude: “Nessun cittadino italiano, giustamente, accetterebbe un trattamento del genere” davanti alla legge.

IL TEMA DEGLI SCREENING SUPERFICIALI: “PER CHI HA SUBITO TORTURE VA SEGUITO UN PROTOCOLLO PRECISO”

L’hotspot di Shengjin e il centro di trattenimento di Gjader sono stati costruiti con circa 700 milioni di euro dall’Italia dopo un accordo stretto dalla premier Giorgia Meloni e l’omologo albanese Edi Rama. Attivati a ottobre, hanno previsto finora tre missioni di trasferimento di migranti egiziani e bengalesi, tutte terminate col rimpatrio dei gruppi verso il nostro Paese, in quanto ogni volta la magistratura non ha convalidato il trattenimento delle persone sul suolo albanese. Nel corso della conferenza stampa, Daniela Di Rado, del Consiglio italiano per i rifugiati (Cir), si sofferma sulla questione degli screening “frettolosi” della vulnerabilità dei migranti. L’esame, svolto da interpreti, personale Oim e medici direttamente a bordo delle navi militari nell’immediatezza del salvataggio, “avviene dopo giorni trascorsi dalle persone in mare e, prima ancora, mesi o anni passati in Libia”. Di Rado chiarisce: “Ormai sappiamo cosa succede ai migranti e delle torture che subiscono”. Gli studi, riferisce l’esperta, dimostrano che spesso le persone non riescono a comunicare subito le loro storie e gli abusi subiti. Per questa ragione, “i protocolli sulla vulnerabilità – tra cui anche le linee guida del ministero della Salute del 2017, che identificano tutti i rifugiati come vulnerabili – stabiliscono che, quando si trattano potenziali vittime di tortura, tratta, violenza fisica, sessuale o psicologica, si deve adottare una certa procedura che prevede un setting specifico, personale dedicato e tempi dilatati“. D’altronde, stabilire il grado di vulnerabilità “è determinante per inserire la persona in un processo di cura e riabilitazione“, oltre a essere componente essenziale “per l’esito della procedura stessa della richiesta d’asilo”. Tutti protocolli che, invece, “l’accordo Italia-Albania disattende”, avendo come fine non la valutazione delle richieste d’asilo e le condizioni di salute della persona bensì “il rimpatrio delle persone migranti”.

Francesco Ferri, di ActionAid, conclude: “Anche se le persone migranti portate finora in Albania sono sempre state riportate in Italia, non commettiamo l’errore di pensare che sia un lieto fine: tutta la procedura a cui sono state sottoposte è stata violenta e, oltre ad avere un impatto sull’individuo, può anche aver compromesso il loro diritto d’asilo”. Pertanto, secondo Ferri, “il protocollo Italia-Albania è incompatibile con la democrazia”.

BOLDRINI (PD): l’ACCORDO E’ UNA FARSA SULLA PELLE DEI MIGRANTI E DEI CONTRIBUENTI

“Il protocollo Italia-Albania è un accrocco, una finzione e un grande fallimento della presidente del Consiglio sulle spalle dei migranti che hanno passato l’inferno nei centri di detenzione in Libia – e ciò li rende tutti individui vulnerabili, bisognosi di cure e protezione – e sulle spalle dei contribuenti, dato che con le loro tasse sono state costruite due cattedrali nel deserto”. Lo afferma la deputata del Pd Laura Boldrini nel corso della conferenza stampa. La parlamentare, che ha partecipato alle missioni di monitoraggio organizzate dal Tai nei centri di Shengjin e Gjader, denuncia l’illegalità delle procedure messe in atto sui migranti già a partire dal salvataggio in mare da parte della Marina militare: “A che titolo viene fatto questo prelevamento forzoso delle persone in mare?” l’interrogativo lanciato da Boldrini, che aggiunge: “Trattandosi di acque internazionali, e non nazionali, giuridicamente non si configura il reato di immigrazione clandestina”, bensì “quello di sequestro di persona”.

IL PROTOCOLLO ITALIA-ALBANIA AL VAGLIO DEI GIUDICI DELLA CORTE DI GIUSTIZIA. IL 10 APRILE IL PRONUNCIAMENTO

“A nostro avviso difficilmente la Corte di giustizia europea si allontanerà da quello che ha detto il 4 ottobre scorso e siamo del parere che l’interpretazione che ne hanno dato i tribunali italiani sia corretta”. Torna a dire Filippo Miraglia di Arci nazionale, in merito al procedimento in corso alla Corte di Giustizia europea. Oggi nell’aula di Lussemburgo, si è tenuto il dibattimento in merito ai ricorsi pregiudiziali presentati dal Tribunale di Roma, che ad oggi non ha riconosciuto il fermo presso il centro di trattenimento di Gjader, in Albania, per nessuno dei migranti parte dei tre gruppi che da ottobre il governo italiano ha inviato oltre l’Adriatico. A conclusione della sessione, è stato stabilito che l’avvocato generale si pronuncerà sulla definizione dei Paesi sicuri il prossimo 10 aprile, mentre la sentenza è attesa per l’estate. Al centro del lavoro della Corte c’è infatti la definizione e l’applicazione del concetto di “Paese terzo sicuro”.

Questo elemento è fondamentale per trattenere i migranti ed è alla base della procedura accelerata di frontiera, che le autorità italiane hanno disposto per legge per i migranti inviati nei centri in Albania. In particolare, si è tentato di rimpatriare persone originarie di Egitto e Bangladesh, paesi, appunto, ritenuti per legge “sicuri” dall’Italia. Ciò a dispetto della pronuncia della Corte di Giustizia – che a ottobre ribadiva la necessità di valutare le richieste d’asilo caso per caso – e le denunce di violazioni che interessano quei paesi, mosse dalle organizzazioni per i diritti umani. Secondo Miraglia, la procedura a cui vengono sottoposti i migranti – dal loro salvataggio nel Mediterraneo centrale al loro trasferimento in Albania – “è una procedura illegittima nel suo complesso a prescindere dalla sentenza della Corte di Giustizia sui paesi sicuri e, quindi, relativamente all’attivazione della procedura accelerata”. Conclude: “intorno all’operato della Corte c’è grande pressione, ma ci aspettiamo che i giudici faranno ciò che prevede la legge e non ciò che vogliono i governi”.

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