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ROMA – “La solitudine, che più precisamente dovremmo chiamare ‘loneliness’, rappresenta un problema della ‘One mental health’. Ha la capacità di influenzare sia i disturbi del comportamento alimentare, sia quelli legati all’umore come l’ansia e la depressione. Il problema della solitudine si vede nettamente nell’utilizzo dei social network”. Lo ha spiegato Alberto Siracusano, professore di psichiatria presso l’Università degli Studi di Roma ‘Tor Vergata’ e coordinatore del Tavolo tecnico sulla salute mentale presso il ministero della Salute, in audizione presso la Commissione parlamentare per l’infanzia e l’adolescenza in merito all’indagine conoscitiva sulla fragilità emotiva e psicologica dei più giovani anche da un punto di vista neuropsichiatrico, con focus su depressione, autolesionismo, disordine alimentare e suicidio. “Dobbiamo ritenere- ha proseguito- che già a livello delle prime fasi del periodo delle elementari, ovvero intorno ai 6-7 anni, nel momento in cui il bambino viene a formare una sua identità, si possa iniziare a percepire la solitudine, intesa come un’incertezza del proprio senso di sè. Crescendo poi, possiamo cominciare di più a specificare che tra i 10 e i 12 anni la solitudine comincia ad agire, o può agire, in maniera estremamente grave, può costituire un gravissimo fattore di rischio”.
“Questo- ha sottolineato lo psichiatra- determina il fatto che noi dobbiamo occuparci già a livello delle elementari di questo tipo di problematica. I fattori di rischio, purtroppo, non agiscono mai da soli, perchè se ci sono traumi, che oggi possono essere abbastanza frequenti come un lutto in famiglia o un incidente, questi appesantiranno ulteriormente la situazione dal punto di vista emotivo e affettivo”. “I giovani, anche i più piccoli- ha concluso Alberto Siracusano- devono sapere che hanno risorse che possono mettere in atto laddove ci fossero delle difficoltà. Una delle cose che stiamo studiando sono dei Livelli essenziali di assistenza proprio per consentire, una volta arrivati a quell’età fra i 15 e i 16 anni, una continuità delle cure che diventa poi necessaria nel passaggio all’età adulta”.
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