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VIDEO | Ucraina, lo storico americano: “Vi racconto la verità sulla Nato. Ora rischiamo una guerra nucleare”

L'intervista alla Dire di Benjamin Abelow, storico statunitense, già dottore di ricerca a Yale e attivista contro le armi nucleari

Pubblicato:25-02-2023 13:41
Ultimo aggiornamento:26-02-2023 11:26

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ROMA – C’è una lettera aperta, indirizzata nel 1997 al presidente Bill Clinton, due anni prima che cominciasse l’espansione della Nato verso i confini della Russia. A firmarla furono 50 personalità del mondo accademico, della politica e delle forze armate americane, molte dei quali “falchi”, come lo storico Richard Pipes o il politologo Edward Luttwak. Convinti che rompere la promessa fatta al presidente sovietico Mikhail Gorbaciov fosse “una decisione pessima”, la ricetta per ostacolare i negoziati sul disarmo, tagliando a Mosca le gambe a liberali, riformisti e a tutti coloro che desideravano collaborare con l’Occidente.

Parte da questa lettera Benjamin Abelow, storico statunitense, già dottore di ricerca a Yale e attivista contro le armi nucleari, ora autore del saggio ‘Come l’Occidente ha provocato la guerra in Ucraina’, bestseller in arrivo la prossima settimana in Italia con Fazi editore. In un’intervista con l’agenzia Dire, in videocollegamento da Washington, l’autore parte dalla critica di un racconto “falso e scorretto” sulle premesse dell’offensiva russa al via il 24 febbraio dello scorso anno.

“Abbiamo sentito sostenere che questa è una guerra di espansionismo, che c’è un nuovo Hitler, un nuovo Stalin, un nuovo zar, che vuole espandersi o ri-espandersi nel territorio che fu dell’Unione sovietica e prima dell’Impero russo o che quantomeno vuole dominare i Paesi vicini in un modo molto più duro che mantenendoli semplicemente all’interno di una propria sfera di influenza” dice Abelow. “Questa idea è nata in buona parte a Washington ed è stata propagandata dal governo americano e dalla Nato, diffondendosi anche in Europa”.


Secondo lo storico, in realtà, uno dei nodi è il progressivo avvicinamento del dispositivo militare dell’Alleanza atlantica ai confini della Russia, nonostante le promesse fatte a Gorbaciov e i moniti giunti in più occasioni da Mosca. Abelow sottolinea: “La verità è che la Russia, sia pure con alti e bassi, ha risposto in modo crescente e con sempre maggior preoccupazione a un’espansione della Nato in direzione dei suoi confini“.

A lanciare l’allarme era stato anche il diplomatico George Kennan, non uno qualunque: ambasciatore americano a Mosca negli anni Quaranta e nei primi Cinquanta del secolo scorso, era stato l’ideatore della politica del “contenimento” nei confronti dell’Urss. “Sempre nel 1997”, ricorda Abelow, “sul New York Times denunciò che l’espansione della Nato era una decisione pessima, la peggiore mai assunta nell’era post-Guerra fredda”.

Tra i moniti contenuti nella lettera indirizzata a Clinton figurava invece il timore di “rafforzare in Russia l’opposizione non democratica” e di favorire alla Duma di Mosca la “resistenza” all’approvazione dei trattati Start II e III per il controllo e la riduzione degli armamenti nucleari.

Ma come prevedere o addirittura giustificare, sia pure con queste premesse, l’offensiva militare ordinata il 24 febbraio scorso dal presidente Vladimir Putin? “Dire che una cosa è prevedibile o è giustificata non è equivalente” risponde Abelow. “L’offensiva del 24 febbraio 2022 non era solo prevedibile ma era prevista: soprattutto, si poteva evitare”.

L’assunto, secondo lo storico, è che “non si può mai giustificare una guerra nella quale sono uccise così tante persone innocenti”. Allo stesso tempo, denuncia l’autore, i responsabili non vivono tutti a Mosca; ce ne sarebbero anche a Washington e a Bruxelles, al quartiere generale della Nato. Rispetto alla genesi del conflitto, Abelow si sofferma in particolare sul 2014, l’anno dell’annessione russa della Crimea e della nascita delle repubbliche separatiste di Lugansk e Donetsk, nella regione del Donbass, nell’Ucraina orientale.

“Secondo stime del governo di Kiev”, calcola l’autore, “solo 3mila su 30mila combattenti filo-russi provenivano dalla Russia o erano collegati direttamente con la Russia; la parte restante era invece costituita da locali, che temevano di essere maltrattati dal nuovo governo insediato nella capitale quell’anno o dall’estrema destra, in particolare dopo le uccisioni di russofili a Odessa”.

Il riferimento è alla morte nel rogo della Casa dei sindacati nella città sul Mar Nero di oltre 40 militanti “anti-Maidan”, che si erano opposti al rovesciamento a Kiev dell’esecutivo del presidente Viktor Yanukovych (“rivoluzione” si legge su Wikipedia; “golpe” risponde il Cremlino). Stando alla tesi di Abelow, il conflitto avrebbe avuto una sua dinamica interna e solo in un secondo momento sarebbero intervenuti i condizionamenti esterni, da parte sia russa che Nato, con il supporto politico e gli armamenti atlantici a Kiev.

L’intervista continua con una domanda su quel che sarà o meglio su quel che potrebbe essere. “C’è una presa d’atto crescente a Washington, per ora non in Ucraina, che è quasi impossibile costringere la Russia al ritiro completo” dice Abelow. “Se invece per un caso altamente improbabile ci fosse un grande successo nelle operazioni contro Mosca, magari anche in Crimea, esisterebbe il rischio che il Cremlino ricorra all’uso di bombe nucleari tattiche”.

Nel colloquio si cita anche Papa Francesco, con il suo monito alla Nato che “abbaia ai confini della Russia” e la denuncia della “guerra mondiale a pezzi” e del pericolo di “autodistruzione” globale. “L’uso di ordigni nucleari tattici porterebbe a un’escalation incontrollabile”, conferma Abelow: “Morirebbero subito decine di migliaia, centinaia di migliaia, forse milioni di persone”.

Resta sullo sfondo una via alternativa, l’unica possibile, secondo lo storico. “E’ un cessate il fuoco immediato seguito da un accordo negoziale” dice Abelow: “Nessuno può vincere questa guerra; se l’Occidente cercherà di vincerla tutta l’Ucraina sarà distrutta, centinaia di migliaia di altri ucraini moriranno o saranno feriti, mentre altri sedicenni saranno presi in strada a Kiev e costretti a combattere”.

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