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Ucraina, parla Poletti (Odessa Journal): “Fiato sospeso ma negozi aperti”

La situazione di Odessa è molto diversa da quella di Kiev, racconta il direttore dell'Odessa Journal, originario di Milano. Che di Zelensky dice: "Ha perso la scommessa, Stati Uniti non intervenuti"

Pubblicato:25-02-2022 16:44
Ultimo aggiornamento:26-02-2022 12:23

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ROMA – ‘Qui a Odessa la situazione è al momento tranquilla. Sembra brutto dirlo perchè sappiamo che nel resto dell’Ucraina stanno avvenendo scontri, ci sono situazioni drammatiche. Però devo dire che qui, dopo lo shock di ieri, quando ci sono stati i bombardamenti missilistici su obiettivi militari, per cui tutta la città ha sentito le bombe e gli scoppi a intermittenza, siamo tranquilli. Non è stato un bombardamento continuo ma sono avvenute diverse esplosioni che si alternavano con un’ora di differenza, iniziate alle 5 del mattino e durate fino a mezzogiorno. Da quel momento calma, calma totale e attesa’. Lo racconta all’agenzia Dire Ugo Poletti, imprenditore milanese e direttore di Odessa Journal, residente nella città ucraina dall’estate del 2017.

‘Tutti guardano con gli occhi a Kiev, dove c’è la grande battaglia- spiega- e tutti si chiedono cosa farà il governo. Sappiamo di movimenti di truppe e di combattimenti, però fortunatamente qui a Odessa noi non siamo toccati dalla guerra, probabilmente perchè questa città non è un obiettivo militare primario’.

‘Ieri mattina -continua Poletti- sono andato al supermercato e ho trovato quello che mi aspettavo, cioè lunghe file di persone che correvano a comprare di tutto ma con un atteggiamento abbastanza tranquillo. Le persone non erano infatti in preda al panico. Anzi per strada ne ho incontrato alcune che scherzavano, che mi hanno sorriso e che mi hanno addirittura fatto delle battute. E questo rientra nel temperamento della popolazione ucraina, dove c’è posto per lo scherzo, per il senso dello humour abbastanza ricorrente. C’era, dunque, tranquillità. Anche questa mattina sono andato a fare un po’ di spesa e non c’era praticamente nessuno, come se la crisi fosse già stata metabolizzata’.


Il direttore di Odessa Journal informa poi che ‘vige lo stato di emergenza, non si dovrebbe poter uscire, la sera c’è il coprifuoco ma questa città e questo Paese non rispettano le regole in maniera germanica o svizzera. Ad esempio dal mio balcone posso vedere i bambini che giocano nei giardini pubblici e la gente che passeggia. Con lo stato di emergenza sono state chiuse le scuole e i locali pubblici ma i negozi continuano ad essere aperti‘.

Direttore, qual è la sua linea editoriale? In quale modo ha deciso di raccontare la guerra che state vivendo in prima persona e non dallo schermo di un computer?

‘La sto raccontando per una necessità. La mia testata giornalistica e la mia figura sono dedicate alla promozione della città. La linea editoriale della testata è il marketing di Odessa a livello internazionale. La mia non è una testata che normalmente segue la cronaca, perchè siamo una testata on line in lingua inglese che si rivolge ad una audience internazionale, interessata a temi come la cultura, gli eventi, il lifestyle e, soprattutto, il comparto business. I nostri lettori, che ad esempio ci seguono da Londra o dal Canada, dagli Stati Uniti o dall’Australia, non sono interessati a quello che succede localmente. Di colpo, all’improvviso, la guerra ci ha catapultati nella cronaca, ecco perchè la mia è stata un’esigenza. E poi, in particolare, mi sono trovato ad essere un interessante punto di vista per la stampa italiana: sono infatti uno straniero, conosco bene il paese, vivo qui da quasi cinque anni e posso offrire un punto di vista più distaccato e non emotivamente legato. Sono convinto che se fossi di nazionalità ucraina metterei accenti un po’ diversi a quello che dico’.

Va in strada a raccogliere voci e testimonianze? Ha dei collaboratori che lo fanno per lei?

‘No, non ci è permesso uscire e lasciare le nostre case. Ma una delle caratteristiche della mia testata è quella di essere un vettore sociale molto forte in questa città. Avendo io un’ottica molto mirata sugli attori culturali ed economici di Odessa, ho con loro stretti rapporti. Questo ci consente di raccogliere direttamente da loro le testimonianze, abbiamo una stretta connessione ed un contatto diretto con quella che è l’elite della città, motore intellettuale ed economico di Odessa’.

È sposato, ha dei figli?

‘No, non ho figli, convivo con una donna di nazionalità ucraina’.

Pensate di tornare in Italia?

‘Neanche per sogno, con somma delusione dei miei amici e dei miei parenti. Non ne sento il bisogno, mi sento sicuro. Se, invece, i russi bombardassero la città, se distruggessero le case e i palazzi, se attaccaserro i civili, se li catturassero per strada e li mettessero al muro per fucilarli, queste potrebbero essere buone ragioni per lasciare la città. Ma qui a Odessa non stiamo vivendo niente di tutto questo’.

Quanti sono gli italiani a Odessa? È in contatto con alcuni di loro?

‘In questa situazione di crisi sono rimasto molto positivamente impressionato dalla diplomazia italiana, che in passato non mi era sembrata in altri Paesi particolarmente efficace, e dall’attenzione dell’ambasciata e del ministero degli Esteri. Hanno organizzato riunioni preparatorie con gli italiani di Odessa, ci hanno illustrato la situazione e ci hanno dato delle regole di comportamento, la prima delle quali è stata la registrazione nei siti in modo che loro stessi potessero mapparci. La seconda regola è stata quella di nominare dei responsabili e, poi, di dare vita a una chat. Ora siamo in contatto costante con l’ambasciata o con la Farnesina e c’è una condivisione delle informazioni in tempo reale. Questo fa sì che noi italiani residenti a Odessa ci sentiamo frequentemente e a questo gruppo hanno aderito anche connazionali che non conoscevo. Tra l’altro da Roma è venuta qui l’Unità di crisi della Farnesina, che ci ha spiegato il suo modus operandi e ci ha consentito di sentirci come una vera e propria comunità. So che lo stesso è stato fatto nella città di Leopoli, mentre non so quanti italiani ci siano a Dnepropetrovsk o a Kharkiv’.

Sta tessendo le lodi dell’ambasciata italiana e della Farnesina, mentre è stato un po’ critico con Milano, la sua città natale…

‘Milano è una città che amo molto e a cui devo tanto. Ritengo però che una città che recita un ruolo internazionale, perchè Milano è punto di riferimento per alcuni settori, potrebbe sfruttare meglio cittadini leali come me e che all’estero potrebbero fare da ponte culturale. È una distrazione che spero venga vista non come una critica ma come una opportunità’.

Lei è anche imprenditore: cosa significa questo attacco per il tuo settore, per quanti hanno interessi a Odessa e in Ucraina?

‘Gli affari sono molto penalizzati dai venti di guerra. Ho un caso tangibile di investitori italiani che volevano prendere l’aereo in queste settimane ma hanno preferito non volare fino a qui. Avevano un progetto che conosco molto bene e che avevo supportato. Non sono venuti perchè, chiaramente, hanno iniziato a leggere cose terrificanti, la campagna stampa sulla possibile invasione dell’Ucraina da parte della Russia è iniziata già da gennaio. Il conflitto fa scappare gli investitori, fa congelare i progetti, le guerre fanno malissimo. Prima ancora che avvenisse l’invasione, che io non ritenevo probabile, tutti ci dicevamo però che l’Ucraina aveva già subito un danno, perchè grandi e piccole aziende non vengono a lavorare in un Paese se sentono che c’è un rischio di guerra’.

Volodymyr Zelensky ha detto di essere ‘l’obiettivo numero 1 della Russia’ e che il secondo è la sua famiglia. Se questo dovesse accadere, mi riferisco alla morte del presidente ucraino, ritiene che Putin si fermerebbe?

È una domanda angosciante, perchè fa impressione che un uomo giovane, con una moglie giovane, una coppia che rappresenta la nuova generazione ucraina finisca così male. Pur essendo italiano e non ucraino, è una cosa su cui mi sento molto angosciato. Credo che nel piano dell’invasione russa vi sia la sostituzione del governo di Kiev, lo do per scontato. Zelensky poteva scegliere due strade: da una parte quella della difesa a tutti i costi dell’onore e dell’orgoglio dell’Ucraina, scommettendo che non sarebbe mancato l’appoggio degli Stati Uniti e dell’Europa nella difesa. Questa scommessa, purtroppo, l’ha persa perchè, lo abbiamo visto, Washington ha detto chiaramente ‘vi diamo soldi ma certamente non mandiamo marines’. E l’Europa ancora di meno, perchè non è in grado di esprimere una potenza militare, figurarsi contro la Russia. Il presidente ucraino ha scelto questa linea e ora ne è la vittima, il martire. L’altra strada, una volta compreso che non sarebbe arrivato l’aiuto americano, poteva essere quella di fare la pace. Ma ci sarebbe voluto un coraggio terribile, perchè se avesse detto al suo popolo che era pronto a trattare e a trovare un compromesso con Putin, il giorno dopo avrebbe trovato in piazza una frangia di nazionalisti che gli avrebbero rinfacciato di essere un traditore. Zelensky era molto motivato, e ne parlo al passato perchè non vedo per lui un futuro politico, era una persona che aveva disegnato una speranza per questo Paese. Adesso è rimasto intrappolato tra due prospettive non belle: finire come traditore, se inizia una trattativa di pace, o come accadrà adesso, finire come martire’.

Cosa pensa del discorso del presidente degli Stati Uniti, Joe Biden?

‘Siamo di fronte ad una partita di poker, dove i giocatori hanno paura di fare un rilancio troppo alto. Per buttare tutti fuori dal tavolo, un giocatore decide di rilanciare altissimo. Putin ha messo più carri armati sul tavolo e Biden ha detto ‘io non metto nemmeno un marine’ e quindi è uscito fuori dal gioco. Putin non si spaventa certo per le sanzioni, che tra l’altro sono deboli perchè a farle non sono gli americani, quanto piuttosto gli europei. Gli Stati Uniti non hanno il potere di imporre sanzioni di propria iniziativa che possano mettere in ginocchio la Russia. Ecco perchè Washington chiederà agli europei di fare le sanzioni, che però vanno a danneggiare rapporti commerciali tra alcuni paesi europei e il governo di Mosca. E sappiamo già che su questo programma di sanzioni c’è molta divisione e che ci sono Paesi europei che non le condividono’.

Cosa si aspetta e cosa spera per il futuro di Odessa e dell’Ucraina?

‘Spero la pace. Questo Paese ha tante risorse naturali, tra cui una ricchezza agricola e mineraria notevole. Questo Paese ha dei talenti, ha una giovane generazione molto preparata, molto motivata e piena di energie. Appena l’Ucraina, in un modo o nell’altro, finirà queste guerre, arrivando ad una pace totale, sono convinto che inizierà a lievitare, a crescere e a diventare un paese davvero interessante. Per quanto riguarda la città in cui vivo, devo dire che Odessa è splendida, molto bella, una città che ha una diversità culturale che in questo momento rappresenta una presenza scomoda, perchè in una contrapposizione, che è una guerra, tra russi e ucraini, Odessa si trova quasi in mezzo. È certamente ucraina perchè molti dei suoi abitanti si sentono ucraini ma sono ancora di lingua e di cultura russa. Queste cose si possono condividere perchè esiste il multiculturalismo e le città cosmopolite ma solo in condizioni di pace’.

Fino allo scoppio della guerra com’era la situazione del Covid-19 in Ucraina?

‘La situazione è stata molto strana. Dopo la paura iniziale, all’inizio dell’emergenza, era il 2020, il governo decise di chiudere il Paese, imponendo un lockdown di tre mesi. Da allora l’Ucraina ha vissuto allegramente, come se il Covid-19 non esistesse. Questo è certamente un fatto strano, se si pensa che gli ospedali ucraini non avevano nemmeno il sapone nei bagni, quando questi funzionavano. Eppure, in poco tempo si sono attrezzati, hanno raccolto fondi, hanno dato le mascherine ai medici e dopo tre mesi si sono messi in condizione di poter dare un servizio sanitario alla popolazione. C’è stato un boom delle cliniche private, con tariffe alla portata della popolazione, e tutte queste misure hanno consentito al paese di fare un salto in avanti sul fronte dell’assistenza sanitaria. Da quel momento c’è stato un totale ‘vivere alla giornata’, le mascherine si indossano raramente, sicuramente nei supermercati e nelle farmacie, mentre la campagna vaccinale ha raggiunto a malapena il 30% della popolazione. I ristoranti hanno l’obbligo di chiedere il Green Pass ma moltissimi non lo fanno, invece sugli aerei non è possibile salire senza. In tutto questo periodo cene, conferenze, summit e feste tra amici non si no mai fermate. Ci sono stati morti e ce ne sono ancora oggi. Però, in generale, la precauzione non c’è. È un Paese che vive senza la percezione che si debba davvero fare qualcosa. Ce l’hanno davvero in pochi’.

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