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“Emozioni virali”, in un libro le voci dei medici dalla pandemia

Il dottor Carlo Farina, coautore del volume e Responsabile di Chirurgia Generale dell'Ospedale Israelitico di Roma, racconta in un'intervista com'è nata e come si è sviluppata l'idea di raccontare la terribile esperienza con il Covid

Pubblicato:25-02-2021 13:33
Ultimo aggiornamento:25-02-2021 13:33

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ROMA – Un libro scritto da chi ha rischiato la vita a causa del Covid e in seguito a questa esperienza, sofferta e vinta, ha deciso di testimoniare l’accaduto contribuendo alla realizzazione di ‘Emozioni virali. Le voci dei medici dalla pandemia‘, edito da Il Pensiero Scientifico Editore.

Il volume sarà presentato presso la sede dell’ospedale Israelitico all’Isola Tiberina di Roma e trasmesso in diretta streaming sui canali social del nosocomio mercoledì 3 marzo alle ore 17,30. Alla presentazione prenderanno parte la dottoressa Luisa Sodano, Medico Igienista-Epidemiologo e Curatrice del libro, il Dott. Carlo Farina, Responsabile Chirurgia Generale dell’Ospedale Israelitico e Contributor del libro, la Dott.ssa Raffaella Pajalich, Endocrinologa e Psicoterapeuta, esperta in Medicina Narrativa. Interverrà Claudio Madau, già Cavaliere della Repubblica, ideatore di Dottor Libro e Presidente di Liberi Circuiti. Porterà i saluti la Direttrice Sanitaria dell’Ospedale Israelitico, Gabriella Ergasti. L’intero ricavato delle vendite sarà devoluto alle famiglie dei medici morti per Covid.

L’agenzia di stampa Dire ne ha parlato in anteprima con il dottor Carlo Farina, coautore del volume e Responsabile di Chirurgia Generale dell’Ospedale Israelitico di Roma.


Perché ha voluto lasciare una testimonianza scritta della sua storia, racchiusa in questo libro che verrà ufficialmente presentato il prossimo 3 marzo?

“Quando nella prima ondata della pandemia ho scoperto di essere positivo al Covid, sono entrato a far parte di un gruppo facebook composto da soli medici in cui ci scambiavamo le impressioni e le esperienze maturate a contatto con i pazienti Covid. Perché in quei mesi si sapeva davvero poco dell’evoluzione clinica della malattia. In quella chat ho scritto di aver contratto l’infezione e che potevo testimoniare di non aver sintomi ma purtroppo le cose sono andate poi diversamente. Dopo 8 giorni da asintomatico ho cominciato ad avere ‘fame d’aria’ e sono stato ricoverato all’ospedale Spallanzani, però nel frattempo ho continuato a scrivere tutte le mie impressioni sia dal punto di vista medico che a livello emotivo e personale. È stata davvero una esperienza devastante e chi leggerà il libro potrà rendersene conto perché la malattia peggiorava di giorno in giorno. Un giorno poi, una dottoressa del gruppo, ha proposto di raccogliere il mio racconto ma anche le esperienze di vari medici che hanno avuto la malattia. L’ho fatto anche perché la mia storia è a lieto fine. Così è nato il libro”.

A chi si rivolge e qual è l’obiettivo che si pone?

“Questo libro è davvero piacevole da leggere e si rivolge a tutti coloro che ancora oggi mettono in dubbio che il Covid sia una cosa reale, realmente grave e che può colpire solo gli altri. È stato quasi un dovere per me partecipare alla ‘costruzione’ di questo volume anche perché i proventi raccolti verranno devoluti alle famiglie dei medici morti per Covid. Siccome potevo essere uno di quei medici mi sono sentito in dovere di partecipare. Quelli che leggeranno queste storie si dovrebbero rendere conto della gravità di questa patologia che devolve in modo positivo nella maggior parte dei casi ma non sempre”.

I medici soprattutto nella prima fase della pandemia hanno pagato un prezzo alto e per questo sono stati accolti dalle persone come veri e propri eroi. Oggi non siamo usciti per nulla dall’incubo nonostante i passi avanti compiuti dalla scienza e più vaccini validati e pure, complice la stanchezza delle restrizioni, molte persone vedono la classe medica non più così favorevolmente. È così? Qual è l’esperienza diretta che lei vive ogni giorno?

“Vorrei giustificare la popolazione perché siamo in un momento così atipico della nostra vita che non si rendono neanche bene conto della portata dell’evento. Il personale medico è ridotto rispetto alle esigenze del momento. Pensiamo anche ai Mmg con 1500 pazienti in media per uno. Prima dell’emergenza riuscivano a fare tante visite ora c’è un numero esagerato di persone che vanno in studio per necessità o anche solo perché cercano rassicurazioni. I medici non riescono a stare dietro a tutti e alcuni pazienti restano perciò insoddisfatti e pensano di essere trascurati ma non è così. Purtroppo non abbiamo ancora una quantità di medici sufficienti per affrontare questa pandemia. Per questo va compreso che se ci ammaliamo tutti insieme poi non c’è la possibilità di avere tutti le cure. Queste restrizioni servono proprio a quello”.

Molto si è compreso ma non tutto di questo maledetto virus, ad esempio non si sa tutto sul recupero funzionale, respiratorio post -Covid meglio definito come effetto ‘long Covid’. Lei come sta? E cosa consiglia ai suoi pazienti di fare?

“Sono stati pubblicati degli studi su questo tema. Abbiamo fatto esperienza effettivamente il 70% dei malati di Covid ha dei ‘residui’ o complicanza distanza di tempo almeno nei primi 6 mesi. Nella maggior parte dei casi questa sintomatologia scompare ma a volte rimane la scia. Nel mio caso specifico sto bene ma se poi mi sottopongo a degli esami i ‘segni’ che ha lasciato il Covid sono rilevabili. Mi è stata riscontrata infatti una fibrosi polmonare, non è così estesa, ma reputo che quando sarò molto anziano potrei avere dei problemi. Ho avuto durante la malattia anche dei problemi cardiaci però sono oggi clinicamente asintomatico. Quello che ho registrato è che permane un problema di gusto e di olfatto, la cui assenza momentanea è uno dei sintomi più frequenti tra i positivizzati. Dall’esordio della malattia è trascorso un anno eppure ho ancora l’alterazione del gusto. Ma la cosa più importante di cui si parla ancora troppo poco è che i malati di Covid hanno subito un trauma importante da cui deriva poi stress ed ansia che va curata. È un’esperienza che come uomo e come medico mi è servita anche essere ancora più vicini ed ‘umani’ con i pazienti”.

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