ROMA – Nelle uscite pubbliche indossa quasi sempre copricapo e “boubou”, il caftano che scende fino alle caviglie. Un omaggio alle radici nigeriane, da vera principessa Igbo, che Ngozi Okonjo Iweala mostra con eleganza a Washington come a Ginevra. In tanti la chiamano già “lady di ferro”: dopo essere stata più volte ministro delle Finanze del suo Paese e aver lavorato 25 anni alla Banca mondiale, lunedì assumerà l’incarico di direttore generale dell’Organizzazione mondiale del commercio (Omc/Wto). Sarà la prima donna e la prima africana in questo ruolo, ma attenzione: non è detto sia una garanzia di successo.
Il Wto nacque nel 1995, quando trionfava il neoliberismo post-Guerra fredda. Doveva favorire l’apertura dei mercati internazionali ma lo ha fatto con doppi standard, beneficiando le multinazionali più dei lavoratori e osservando la progressiva diminuzione della quota dell’Africa sugli scambi mondiali (oggi solo il 2 per cento). Ora, con il via libera degli Stati Uniti, tocca a Okonjo Iweala. Per capire se sia una buona notizia bisognerà aspettare almeno un po’. Per dire: i Paesi ricchi continueranno a imporre dazi e a sussidiare le loro aziende di agribusiness pretendendo poi di esportare beni e servizi dappertutto? Una lettura l’ha proposta il blog ‘Africa is a country’, con un articolo intitolato ‘Black Faces in High Places‘: bene una “nera” alla guida, purché non sostenga le politiche che per decenni hanno aggravato disuguaglianze e ostacolato sviluppo.
Le notizie del sito Dire sono utilizzabili e riproducibili, a condizione di citare espressamente la fonte Agenzia DIRE e l’indirizzo www.dire.it