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Il genetista: “Omicron2 non preoccupa. Questo coronavirus non è più intelligente degli altri”

Il ricercatore Marco Gerdol dell'Università di Trieste sulla nuova sottovariante: "Ag oggi momento non sembrano esserci differenze dal punto di vista clinico con Omicron. L'ipotesi è quella di uno spillback"

Pubblicato:25-01-2022 18:19
Ultimo aggiornamento:25-01-2022 18:43

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ROMA – “Al virus diamo capacità quasi umane, di grande intelligenza, ma è un virus, per cui le mutazioni che osserviamo non è detto che siano funzionali alla sua capacità di essere più cattivo e, nel caso della mutazione di Omicron osservata in vari Paesi in termini di diffusione, se non saranno legate, come sembra essere, ad un effetto epidemiologico e clinico, non sono preoccupanti”. A spiegare all’agenzia Dire la mutazione di Omicron che ha fatto discutere e allarmare in questi giorni è Marco Gerdol, ricercatore in genetica presso l’Università di Trieste, da tempo impegnato in favore di una corretta informazione riguardante le tematiche sanitarie degli ultimi anni tramite il suo profilo Facebook e la pagina Pop Medicine. Gerdol, che già lavora all’università di Trieste e che dal prossimo anno sarà professore presso il dipartimento di Scienze della vita, è stato il primo genetista ad occuparsi di Omicron2, una sottovariante della più nota Omicron, una mutazione registrata anche come Ba.2 o gemella invisibile.

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“In collaborazione con i colleghi dell’università di Verona, abbiamo analizzato una mutazione non esclusiva di Omicron ma presente anche su altri varianti che però non avevano avuto successo come quest’ultima”, spiega Gerdol. “È una delle oltre 30 mutazioni che sono state riscontrate su Omicron, ma è particolare perché è la rappresentazione dell’intersezione di tre amminoacidi ed è curiosa: noi seguivamo tutte le mutazioni del gene S, fin dal 2021, mutazione-delezione che ha dato seguito ad Omicron, fin dal momento in cui abbiamo riscontrato questa intersezione. Sono varianti, queste, che pur non essendosi mai diffuse in modo specifico sono state però dominanti in alcuni contesti geografici, ad esempio in America centrale, ma persino in Campania, nel nostro Paese. Un’altra invece era diventata dominante in Congo e in altri Paesi africani, per importazione si era diffusa anche in Belgio e Svizzera a metà 2021. Queste due varianti condividono con Omicron questa singola intersezione nella stessa posizione della proteina spike”.


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“La nostra ricerca – prosegue lo studioso – era finalizzata a capire se poteva esserci qualche beneficio per noi esseri umani, e il fatto che vi fosse questa intersezione andava indagato. Ad oggi il ruolo funzionale di questa intersezione non è chiaro. Il profilo delle altre due varianti era molto più semplice, ma l’ipotesi di lavoro era che quella determinata dalla posizione sulla intersezione, che poteva favorire altre mutazioni finalizzate a rendere il virus più resistente. La Ba.2 – la mutazione riscontrata e denominata gemella invisibile di Omicron – è la sorella principale di Omicron, Ba.1, rimasta minoritaria in Africa meridionale, poi è stata esportata in Canada, ora in Danimarca, dove pare abbia preso il sopravvento ma è diventata dominante anche in India e nelle Filippine. In questo ultimo Paese i primi casi importanti dal Sudafrica sono stati propri Ba.2 ma non è stato così per la Danimarca, dove c’erano più Ba.1 – chiarisce il genetista – Non ci sono dati funzionali al momento, gli studi in vitro sono tutti su Ba.1, ovvero l’Omicron classica, si può ipotizzare che alcune mutazioni sulla proteina spike implichino alcune variazioni funzionali, ma non sappiamo quanto siano collegate all’evasione immunitaria, probabilmente impattano su altri aspetti: potrebbe essere più lungo il periodo di infettivittà o potrebbe ridursi il periodo di incubazione. Ad oggi in Danimarca non sembrano esserci differenze dal punto di vista clinico, ovvero dei sintomi e della loro entità del Sars-Cov-2″.

“Sappiamo però – chiarisce Gerdol – che alcune mutazioni sulla proteina spike hanno un impatto sulla biologia del virus e sappiamo anche che la combinazione con altre mutazioni può cambiare ancora l’impatto del virus sull’uomo, tuttavia non sappiamo il peso di altre mutazioni, quindi le mutazioni sulle altre proteine non strutturali: in sostanza bisogna aspettare l’impatto clinico”, rassicura il genetista. “Questo significa che l’allarme su alcune varianti a volte è inutile, sulla base degli studi in vitro, perché non si traduce in una variante preoccupante in vivo, ovvero nella popolazione. Quelle che emerge è che queste varianti sono caratterizzate da una fitness maggiore”. Gerdol definisce “fitness maggiore” la capacità di Omicron di diffondersi maggiormente nella popolazione e quindi sopravvivere e fuggire l’immunità, dovuta sia ai vaccini che all’infezione già contratta.

‘Omicron ha avuto una diffusione e una fitness maggiore perché si è trovata davanti una popolazione altamente immunizzata, ovvero il Sudafrica: l’80% della popolazione aveva già avuto il virus – spiega Gerdol. Delta infatti aveva già esaurito la sua potenziale diffusione e l’arrivo di Omicron ha permesso a quest’ultima di ritagliarsi un’ampia fetta di persone suscettibili perché era un virus nuovo dal punto di vista immunologico”. Anche l’ipotesi dello spillback – ovvero il passaggio del virus dall’uomo all’animale e poi nuovamente all’uomo – è plausibile per Gerdol: “Non sappiamo la genesi e il perché. Al tempo stesso sappiamo che Omicron, ovvero Ba.1, potrebbe essersi sviluppata in un paziente immunocompromesso che ha avuto il virus per molti mesi; non è difficile immaginare un paziente di questo tipo in Africa meridionale, dove è più alta la presenza di persone con Hiv. Il serbatoio animale, ovvero lo spillback, è però più interessante: nell’arco di un anno non abbiamo avuto alcun indizio di una variante progenitrice di Omicron, nessuna traccia intermedia tra Delta e Omicron, abbiamo invece avuto un buco temporale di circa un anno. Possiamo riempirlo con l’ipotesi di un serbatoio animale o la circolazione in pazienti immunocompromessi: ipotesi non peregrina perché il virus è in grado di saltare la specie, lo si è visto con i cervi della Virginia che avevano una forte sieroprevalenza al virus, o ancora con i visoni in Danimarca. La mutazione E501y che ha caratterizzano Omicron ma che è presente anche in alfa, beta e gamma, è in grado di interagire molto bene con il recettore cellulare del topo, quindi dei roditori. Uno studio recente su Omicron – spiega Gerdol – evidenzia che alcune mutazioni si riscontrano anche in un serbatoio animale non esclusivamente legato ai roditori. Un altro elemento che suggerisce lo spillback è la co-presenza di due lignaggi molto diversi tra loro: Ba.1, Omicron appunto, e Ba.2, la gemella invisibile. La prima ha avuto il suo paziente zero ad inizio ottobre ma in quel momento c’era anche il paziente zero per Ba.2. L’antenato di entrambe è però molto indietro nel tempo e di diversi mesi proprio per la notevole diversità tra le due mutazioni: questa variante Omicron, in sostanza, girava in un altro ospite animale a metà 2021. E poi c’è anche Ba.3 – mette in guardia il ricercatore – ma è responsabile solo di una sessantina di casi in tutto il mondo, quindi se ne parla poco e non sembra preoccupante”.

Sulla migliore capacità evolutiva del Sars-Cov-2, Gerdol ridimensiona molto lo scenario: “È la prima volta nella storia che analizziamo con questa risoluzione i cambiamenti che avvengono in un virus che si adatta in un nuovo ospite umano. Questo è accaduto già con gli altri coronavirus che fanno parte della nostra storia ma non lo abbiamo osservato. Sars-Cov-2 muta poco in realtà e non lo fa in modo più rapido di quanto non lo facciano gli altri suoi cugini endemici, quello che vediamo e che cambia l’impatto è legato alla grandissima circolazione virale, che facilita l’esplorazione del virus su nuovi binari evolutivi. Possiamo ipotizzare, per il futuro, che tutti i cambiamenti di Covid-19 che hanno portato ad una maggiore trasmissibilità con un R0 sempre più elevato, ora, con un tasso di immunizzazione molto elevato, si traducano nella sua principale caratteristica: l’evasività immunologica, ovvero infetta chi ha già avuto il virus e infetta chi ha il vaccino, mentre la mutazione sulla trasmissibilità intrinseca non è così determinate, lo è molto di più la sua capacità di reinfezione. Reinfettarsi più volte è però caratteristico di tutti i coronavirus“, precisa il genetista dell’Università di Trieste.

Rispetto alla vicenda di Deltacron, il ricercatore dell’università di Trieste spiega che “c’è stata poca responsabilità delle autorità cipriote perché hanno fatto trapelare ai media i dettagli di una notizia che tale non era: le evidenze dagli studi in vitro devono avere evidenze epidemiologiche, è stato invece fatto il contrario con Deltacron, che infatti è stata ritirata in tutta fretta dal database Gisaid. Una variante diventa di interesse ed eventualmente di preoccupazione quando dimostra di avere una competizione forte rispetto ad altre, mostrando anche diversi focolai e capacità trasmissiva, oltre che clinica”, tiene a rimarcare lo studioso. “La caratteristica principale di Omicron è quella di reinfettare e di farlo in modo veloce, non è una furbizia del virus ma la risposta darwiniana di una selezione naturale. Al virus diamo capacità quasi umane, di grande intelligenza, ma ricordiamoci – chiosa Gerdol – che è solo un virus. E prima o poi finirà come un raffreddore”.

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