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Egitto, Lebrun-Shaath: “Mio marito come Zaki, Ue prema sui diritti”

Celine Lebrun è la moglie di Ramy Shaath, uno dei leader delle proteste che al Cairo, nel 2011, portarono alla caduta del governo del presidente Hosni Mubarak

Pubblicato:25-01-2021 18:52
Ultimo aggiornamento:25-01-2021 18:55

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ROMA – “Non riesco a parlare con mio marito Ramy da 18 mesi. Sono cittadina francese e le autorita’ egiziane mi hanno espulso dall’Egitto subito dopo il suo arresto. Credo che i governi di Francia e Italia dovrebbero collaborare di più: il caso di mio marito Ramy e quello di Patrick Zaki hanno dimostrato che la repressione in Egitto esiste e arriva a riguardare direttamente anche i Paesi europei”. Celine Lebrun-Shaath è la moglie di Ramy Shaath, uno dei leader delle proteste che al Cairo, nel 2011, portarono alla caduta del governo del presidente Hosni Mubarak. L’agenzia Dire la contatta nel giorno in cui ricorre il decennale di quella svolta politica, che stando a vari osservatori internazionali non avrebbe portato al miglioramento sperato. Secondo Lebrun-Shaath, “è evidente anche dal modo in cui vengono trattati i detenuti”. Ramy Shaath e’ stato arrestato nel luglio del 2019 con l’accusa di “disordini contro lo Stato”, forse per via delle critiche che aveva mosso al governo di Abdel Fattah Al-Sisi per la sua politica verso lo Stato di Israele, lui che – essendo di origine palestinese – si e’ sempre battuto per i diritti di quel popolo. “Deve aver dato fastidio anche il fatto che fosse il responsabile in Egitto della Campagna internazionale per il boicottaggio dei prodotti israeliani (Bds)”, continua la moglie. Lei con il marito da allora ho potuto parlarci telefonicamente solo due volte, l’ultima il 31 agosto. “Anche i familiari hanno solo 20 minuti al mese per vederlo, mentre un agente penitenziario prende nota delle conversazioni”, racconta.

Di recente il ministero degli Esteri francese è entrato in contatto con le autorità al Cairo per far ottenere a Lebrun-Shaath un permesso per tornare almeno una settimana, anche se la moglie dell’attivista dice che al momento non ha “novità”. Quanto a Ramy Shaath, sottolinea, “so dalla sua famiglia che ha l’aspetto patito. E’ in una cella di 25 metri quadri con altri 12 detenuti, non hanno i letti e soffrono il freddo. Ci preoccupano le loro condizioni ingieniche e di salute, soprattutto nel pieno della pandemia di Covid-19″. Dal suo arresto, dice la moglie, “ancora è in detenzione preventiva e proprio domani attendiamo la 21esima sentenza sul rinnovo. Il 10 febbraio poi c’e’ l’udienza sull’appello presentato insieme agli avvocati del deputato Ziad Al-Alimi (anche lui arrestato nell’estate del 2019, ndr) per contestare il suo inserimento nella lista egiziana delle personalita’ e delle organizzazioni legate al terrorismo”. La speranza per una conclusione positiva della vicenda giudiziaria c’è, ma alle “mobilitazioni verbali per Ramy da parte delle autorita’ francesi e europee devono seguire fatti concreti”. La moglie dell’attivista prosegue: “Preoccupa che il presidente Emmanuel Macron, ricevendo Al-Sisi a novembre, abbia detto che la questione dei diritti umani non deve determinare la natura delle relazioni col Cairo. Oggi il Consiglio Affari esteri dell’Ue ha discusso anche di Egitto cosi’ come ha chiesto l’Italia, anche in merito all’assassinio di Giulio Regeni. Spero che i governi ascoltino l’appello del parlamento europeo e delle altre organizzazioni della societa’ civile affinche’ verso il Cairo sia assunta una posizione comune o il rischio e’ che l’Egitto non fara’ nulla”.


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