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Uno studio indaga risse e bullismo, “ma non chiamatele gang”

Così le 'compagnie' dei giovani sono diventate sempre più violente. Sono le tribù urbane, formate per lo più da maschi italiani, anche di 'buona famiglia'. "Un fenomeno in aumento"

Pubblicato:24-11-2022 14:03
Ultimo aggiornamento:24-11-2022 14:03

baby gang
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BOLOGNA- C’erano una volta ‘i ragazzi del muretto’, le compagnie di giovani che si ritrovano per stare insieme al pomeriggio dopo la scuola. Ci sono ancora, ma capita sempre più spesso che tra questi gruppi di giovani s’innalzi il tasso di violenza, che sfocia poi in risse, bullismo, atti di vandalismo. I giornali, in un eccesso di semplificazione, le chiamano ‘gang’, ma non sono ‘bande’, perché non nascono per compiere crimini in gruppo e non sempre rispecchiano situazioni di disagio socio-economico. La violenza, che si manifesta sempre più di frequente, è “estemporanea”, spiega Marco Dugato del Centro universitario di ricerca sulla criminalità transnazionale, che oggi a Bologna, in occasione dell’incontro “Responsabilità educative e adolescenza: tra limiti e opportunità. Giornata di riflessione sul rapporto tra città e adolescenti” promosso da Comune e Alma Mater, ha presentato una ricerca sulle giovanili in Italia.

MASCHI UNDER 18 E ITALIANI

Questi gruppi, secondo l’identikit tracciato da Dugato, sono composti prevalentemente da maschi, tra i 15 e i 17 anni, per lo più italiani, sono sparsi in tutto il territorio nazionale, con aree più problematiche.”Non c’è una spaccatura Nord-Sud né città-piccoli centri”, evidenzia Dugato, che parla di “fenomeno in aumento”. Questi ragazzi “per lo più sono coinvolti in risse, reati di lesione, bullismo, vandalismo. Più rari, invece, sono i reati di natura economica. Il tratto comune è la violenza”, spiega il ricercatore.

ESTRAZIONE SOCIALE NON FA LA DIFFERENZA

La maggior parte di questi gruppi non è organizzato secondo una struttura gerarchica. “Non sono vere e proprie gang, sono gruppi fluidi che si fermano non per compiere attività criminali: sono più vicine a quelle che si chiamavano compagnie. Compiono atti di bullismo che sfociano in rapina. Non hanno una caratterizzazione etnica, né sono caratterizzati da situazione di disagio. Anzi, il fenomeno coinvolge anche ragazzi che potrebbero essere definiti di ‘buona famiglia‘”, puntualizza lo studioso, che distingue questi gruppi da altri che hanno più le caratteristiche della ‘banda’, perché si rifanno alla criminalità organizzata e hanno una forte propensione criminale.


UN PROBLEMA DI DEVIANZA GIOVANILE

La verità, è che “il fenomeno delle gang in Italia è limitato. Abbiamo semmai problema della violenza e della devianza giovanile. Non c’è stato un cambio di modalità. C’è più violenza e più esposizione. Tra le ragioni ci sono anche situazioni di disagio e marginalità socio-economica, ma non c’è solo questo: ci sono la difficoltà tipiche dell’adolescenza rispetto alla famiglia, alle istituzioni, alla scuola. Si cerca nel gruppo un rafforzamento della propria identità”, sostiene Dugato, confermando che la pandemia ha accentuato i problemi privando i ragazzi della componente relazionale che è una parte importante dell’esperienza scolastica.

IL RUOLO DEI SOCIAL

E i social? “Non vanno demonizzati, ma bisogna capire come questi strumenti impattano sul come i ragazzi vedono realtà. I rischi sono la spersonalizzazione, l’affermarsi di una cultura consumistica e competitiva, la mercificazione economica del crimine, l’emulazione”, conclude.

EMERGENZA ‘BABY-GANG’ SOLO SUI MEDIA

Che in Italia e in Emilia-Romagna non ci sia un’emergenza ‘baby gang”, lo confermano anche i dati elaborati dall’Università di Bologna. “Il numero di chi commette delitti sotto i 25 anni è in calo. Sulla delinquenza giovanile non ci dovrebbe essere nessun allarme“, conferma Stefania Crocitti del dipartimento di Scienze giuridiche dell’Alma Mater, evidenziando come il fenomeno sia spesso enfatizzato dai media. Sulla definizione di ‘gang’ Crocitti invita a fare attenzione, richiamandosi a studi elaborati a livello europeo, che identificano i gruppi di giovani ‘non strutturati’, poco territoriali con il termine di “tribù urbane”.

AUTOLESIONISMO E TENTATI SUICIDI, I NUMERI DEL PS DI BOLOGNA

Non sono le aggressioni che portano i minori nei Pronto soccorso di Bologna. Sono, soprattutto, i tentativi di suicidio e gli atti di autolesionismo, rivela Stefano Costa, neuropsichiatra dell’età evolutiva dell’Ausl di Bologna. Nei primi nove mesi del 2022 gli accessi al pronto soccorso dell’Ospedale Maggiore dei ragazzini sono stati 154, con un’età media di 12,5 anni. “Vengono per tentati suicidi o per autolesionismo. L’aggressività ha numeri minori”, spiega il medico nel suo intervento all’incontro “Responsabilità educative e adolescenza: tra limiti e opportunità. Giornata di riflessione sul rapporto tra città e adolescenti” promosso da Comune e Alma Mater.

FAMIGLIE IN AFFANNO

Costa conferma il calo, con lo scoppio della pandemia, degli accessi legati all’abuso di alcol e droghe o in seguito a risse. E rileva, nel contempo, “l’incapacità, in molti casi, delle famiglie di gestire le problematicità dei ragazzi”. I maggiori fattori di rischio per i giovani sono il fallimento scolastico, il rifiuto dei pari per più piccoli, l’isolamento, l’abuso di sostanze, la mancanza di opportunità, per i ragazzi più grandi. “Senso di vuoto, esclusione, fragilità” possono portare a scelte sbagliate.

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