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I centri antiviolenza in rivolta contro la Regione Lombardia: Piano bocciato

MILANO- Rivolta dei centri antiviolenza donna contro la Regione Lombardia, con 16 centri sui 25 esistenti che criticano l'assessore Giulio

Pubblicato:24-11-2015 16:53
Ultimo aggiornamento:16-12-2020 21:37

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MILANO- Rivolta dei centri antiviolenza donna contro la Regione Lombardia, con 16 centri sui 25 esistenti che criticano l’assessore Giulio Gallera per la gestione dei fondi e bocciano il Piano antiviolenza, votato all’unanimità dal Consiglio regionale il 10 novembre scorso. “La Conferenza Stato-Regioni ha destinato alla Lombardia 2,7 milioni di euro per il 2015 e il 2016, ma quest’anno non sono ancora stati spesi” spiega Manuela Ulivi, presidente della Casa delle donne maltrattate. “Le spiegazioni che ha dato oggi l’assessore regionale non ci convincono”. Secondo Gallera, infatti, il blocco dei fondi nel 2015 è dovuto solo a questioni burocratiche di bilancio. “Non ha senso quel che dice l’assessore -aggiunge Ulivi- E resta il fatto che ora questi fondi vanno utilizzati tutti comunque, non vorremmo che quelli non spesi quest’anno fossero destinati ad altro”.

Il Piano regionale antiviolenza, insomma,  per l’associazione rischia di far danni, più che aiutare le donne. “Prevede procedure troppo rigide -spiega la presidente della Casa delle donne maltrattate-. Ogni persona che viene per chiederci aiuto deve invece poter trovare un ambiente che innanzitutto l’accoglie e l’accompagna in base alle sue esigenze”. Per esempio, il Piano prevede che i centri antiviolenza
comunichino entro 48 ore il nome della donna ai servizi sociali.
“Ma non ha senso prevedere questo obbligo, perché magari la donna
non lo vuole”, evidenzia. Secondo i 16 centri che hanno firmato il documento di critica alla Regione Lombardia (aderenti a D.i.re, la rete dei centri non istituzionali), le donne devono essere “libere di
scegliere come uscire dalla violenza; libere dalla necessita’
della denuncia; libere di mantenere l’anonimato e la segretezza
sinora garantiti”. “E’ chiaro che la collaborazione tra gli enti
è fondamentale -conclude Ulivi- ma non possiamo
prevedere che ci sia un unico percorso obbligatorio che vada bene per ogni donna”.


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