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Biancofiore: “A Pisa eseguiti 13 trapianti di fegato senza sangue su testimoni di Geova”

Intervista al professor Giandomenico Biancofiore, che dirige l'Unità trapianti di Pisa e ha all'attivo l'esecuzione di 13 trapianti di fegato senza sangue su pazienti Testimoni di Geova

Pubblicato:24-10-2022 12:37
Ultimo aggiornamento:24-10-2022 13:01

chirurgia
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ROMA – ‘Che si tratti di effettuare un trapianto o un intervento, credo che la chirurgia che non preveda l’utilizzo del sangue sia un obiettivo cui la medicina deve sicuramente mirare. Purtroppo accade ancora molto frequentemente in tutti gli ospedali d’Italia che si cancellano interventi su pazienti oncologici per scarsa disponibilità di sangue al centro trasfusionale. Per scongiurare questa ipotesi, la chirurgia bloodless, già presente a macchia di leopardo in Italia, dovrebbe essere istituzionalizzata e riguardare il maggior numero possibile di ospedali sul nostro territorio nazionale’. Lo spiega all’agenzia Dire il professor Giandomenico Biancofiore, che dirige l’Unità Operativa Complessa di Anestesia e Rianimazione dei Trapianti dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana e professore associato di Anestesiologia e Rianimazione presso l’Università di Pisa. Biancofiore, 61 anni, da oltre 25 opera con l’impiego di strategie alternative alle Emotrasfusioni, il cosiddetto Patient Blood Management (PBM).

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TUTTI GLI ORGANI POSSONO ESSERE TRAPIANTATI SENZA SANGUE

Spesso si pensa che grandi interventi come i trapianti di organi importanti, proprio come il fegato, non siano possibili senza sangue o siano di difficile esecuzione. ‘Da un punto di vista generale tutti gli organi possono essere trapiantati senza fare ricorso all’uso del sangue’. Il professor Giandomenico Biancofiore aggiunge che ‘tutto dipende dal combinato disposto tra la complessità del malato e la laboriosità dell’intervento. Mi spiego meglio: da un punto di vista tecnico e operativo l’intervento più semplice è il trapianto di rene. Ma, il trapianto di rene, eseguito in un candidato complesso come può essere un paziente anziano, cardiopatico, diabetico e con tanti anni di dialisi alle spalle, può risultare un intervento molto impegnativo. Quindi, anche lì emerge la capacità dell’equipe, del gruppo di lavoro, di selezionare il malato giusto per quell’intervento’.


Il candidato all’intervento che entra in questo percorso, viene seguito periodicamente dallo specialista, che controlla i valori dell’emoglobina e gestisce la terapia a seconda delle necessità. Poi c’è la fase intraoperatoria, che è essenzialmente una questione di capacità tecnica chirurgica e anestesiologica.
Ci deve essere un bravo chirurgo che stia attento all’emostasi e che quando vede che c’è anche una piccola perdita di sangue, la gestisce subito in senso emostatico e, allo stesso tempo, l’anestesista deve fare bene il proprio lavoro, quindi mantenendo determinati parametri vitali come ad esempio la
temperatura corporea e l’equilibrio acido-base del sangue. È un lavoro d’equipe, in cui si parla molto l’uno con l’altro’.

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Giandomenico Biancofiore

UN RECORD FRUTTO DI ESPERIENZA E NUOVE TECNICHE

Operare in chirurgia bloodless, per il professor Biancofiore e la sua equipe è ormai diventata un’abitudine. Tanto da fargli tagliare il traguardo di un particolarissimo record: quello di aver eseguito 13 trapianti di fegato senza sangue su pazienti Testimoni di Geova. ‘Più che di record preferisco parlare di un buon risultato, frutto di un lavoro e di casistiche pluriennali. Il nostro obiettivo era riuscire a mettere a disposizione al massimo possibile un certo tipo di approccio all’intervento, poi il ‘record’ è venuto di conseguenza. Un Testimone di Geova che bussa a un centro trapianti di solito non viene preso in considerazione proprio per la questione delle trasfusioni. Il centro di Pisa ha iniziato la propria attività di trapianto di fegato nel 1997 e nel corso del tempo ha sviluppato un certo un metodo che allora non si conosceva come PBM ma che oggi è etichettato come tale, in cui ogni componente interessata, sia il chirurgo che l’anestesista, poneva particolare attenzione al consumo del sangue intraoperatorio’.

IL TRAPIANTO DI FEGATO È IL PIÙ EMORRAGICO

Il trapianto di fegato, per definizione, è l’intervento più emorragico che esista per la patologia cirrotica. ‘Noi, con il passare del tempo, ci siamo accorti che mettendo in atto queste procedure riuscivamo a ridurre gradualmente la quantità di sacche di sangue, plasma e piastrine trasfuse, fino a riuscire a eseguire un certo numero di trapianti senza usare alcun emocomponente. Da lì l’idea, e di questo bisogna rendere merito al professor Filipponi, di non rimandare più a casa i testimoni di Geova che bussavano alla porta del nostro centro. Ci siamo detti che se in un tot di anni avevamo ottenuto circa un 30-35% di procedure di trapianto di fegato senza fare ricorso agli emocomponenti, perché non potevamo dare la stessa chance a pazienti selezionati che per motivi religiosi rifiutavano le trasfusioni di sangue? È stato un processo evolutivo. È un po’ come avviene in Formula 1: le macchine vanno veloci perché hanno dietro tutto un processo di analisi e di sviluppo, sia culturale che tecnologico e operativo’.

Quando si parla di trapianti, impossibile non soffermarsi su temi come decorso e rigetto e sulle differenze tra interventi eseguiti con o senza sangue. ‘Per quanto riguarda il primo aspetto- dice- proprio in questi giorni abbiamo messo insieme un database su 1.000 trapianti di fegato, la casistica più grande che esista fino adesso. Andremo a vedere proprio tanti aspetti collegati alle trasfusioni su questi 1.000 malati, però, basandomi sulla mia esperienza, posso sicuramente dire che in un malato che esce dalla sala operatoria con zero sangue trasfuso rispetto a uno che esce con dieci sacche trasfuse, le differenza si vedono in termini di funzione renale, di funzione respiratoria, di rapidità con cui si può svegliare il paziente, e di altre complicanze come può essere una Transfusion-Related Acute Lung Injury, ovvero una lesione polmonare acuta correlata alla trasfusione, conosciuta come Trali, o un Transfusion-related circulatory overload, il sovraccarico circolatorio indotto dalla trasfusione, noto come Taco. Le differenze ci sono, si vedono sicuramente’.

Il professor Biancofiore fa sapere che i pazienti operati di trapianto possono fare affidamento su una tecnica davvero innovativa e dai risvolti positivi per la propria salute. ‘Qui a Pisa abbiamo inventato una cosa diventata ormai molto di moda, ovvero l’estubazione rapida. In passato, dopo l’intervento, il trapiantato di fegato veniva portato in terapia intensiva e, da protocollo, tenuto addormentato 24 ore e poi si risvegliava. Dal 1997 abbiamo iniziato a svegliarli subito in sala operatoria. Oggi nel nostro centro facciamo circa 150 trapianti di fegato l’anno, più dell’80% dei malati viene svegliato immediatamente. Svegliarlo prima vuol dire che il malato fa prima la tosse, ha meno complicanze di polmonite, si può alzare prima del letto, il tutto viene dunque velocizzato.

Si chiama Fast Track, proprio come in aeroporto: c’è una corsia più veloce, attraverso cui il malato passa e che è anche collegata alle trasfusioni. Abbiamo fatto già tre o quattro pubblicazioni sul Fast Track, dalle quali emerge che i malati che vengono estubati più tardivamente sono quelli che fanno più trasfusioni’.
Sul fronte del rigetto, Biancofiore spiega che ‘sappiamo che le trasfusioni di sangue sono immunomodulanti. C’è tanta letteratura che dimostra che la trasfusione è collegata all’incidenza di ripresentarsi della malattia tumorale e che è associata a una maggiore incidenza di infezione nella fase post operatoria. Quindi, evidentemente, se faccio più sangue ho maggiore possibilità di avere una immunodepressione e, quindi, devo regolarmi un po’ più a ribasso con l’immunosoppressione che, però, mi può esporre al rigetto. Sono tutti meccanismi un po’ complessi e collegati, nei quali l’entità delle trasfusioni gioca un ruolo. Che giochi un ruolo predominante, direi di no. Però il nostro è un mestiere che mette insieme i mosaici, e anche una singola tessera è importante’.

OBIETTIVI PBM

‘Quello che qui a Pisa cerchiamo di fare da sempre è porre l’accento sull’appropriatezza dell’utilizzo dei prodotti della banca del sangue. Che poi tutto ciò possa portare anche ad un totale non uso del sangue, è una conseguenza. Il nostro obiettivo è far sì che globuli rossi concentrati, plasma e piastrine vengano utilizzati nella maniera più appropriata possibile’. Nell’azienda ospedaliera universitaria pisana spicca l’elevata percentuale di operazioni chirurgiche eseguite senza sangue. ‘Nel nostro centro direi che tutte vengono svolte in questa modalità. Cerchiamo infatti di adottare totalmente queste procedure e ne portiamo in porto un buon 70%, applicando la maggior parte delle strategie previste dal PBM. Nella mia unità operativa eseguiamo circa 4.000 interventi l’anno, un numero abbastanza cospicuo. Di questi, alcuni sono Testimoni di Geova’.

Secondo Biancofiore c’è però ancora da fare per migliorare l’applicazione del PBM. ‘Tutto l’ospedale, che ha mille posti letto, dovrebbe maggiormente rendersi conto che eseguire interventi chirurgici senza sangue è utile e conveniente e per questo obiettivo i comitati di buon uso del sangue sono punti di riferimento’. In qualità di coautore delle Raccomandazioni per l’implementazione del programma di Patient Blood Management del Centro Nazionale Sangue, il professor Biancofiore si sofferma sull’importanza di tale programma anche nel proprio ambito medico. ‘In Italia le Linee Guida sono state delle antesignane. Dopo le prime esperienze provenienti dall’Australia, nel nostro Paese a livello istituzionale ci si è mossi per primi, o tra i primi comunque, insieme all’Inghilterra. L’obiettivo era utilizzare la risorsa nella maniera più appropriata. E per poter fare questo, attraverso un documento sono state fornite quelle evidenze internazionali consolidate che indicavano come la cosa fosse possibile. Questo documento non fa altro che cercare di portare un’informazione autorevole, perché prodotta dal Centro Nazionale Sangue, a tutti i medici italiani interessati e coinvolti. Un documento rivolto inoltre alle direzioni degli ospedali, perché del gruppo faceva parte anche una dottoressa dell’Emilia Romagna che, all’epoca, ricopriva il ruolo di presidente dell’associazione dei direttori sanitari italiani. Quindi già allora si intravedeva il ruolo strategico della direzione sanitaria degli ospedali nell’implementazione di questa tematica’.

Intanto, proprio su tale fronte, altri Paesi europei corrono a una velocità che, al momento, sembra improponibile per il nostro. ‘Ad esempio in Germania- rende noto Biancofiore- alcuni centri hanno sviluppato moltissimo questo tipo di approccio, creando addirittura una società nazionale di Bloodless medicine. Il professor Kai Zacharowski è diventato il maggior esperto europeo della Bloodless Surgery e il suo ospedale è oggi un centro all’avanguardia. Realizzare interventi senza sangue è dunque possibile, l’importante è avere il supporto della struttura che hai attorno’.

“PRIMA DI METTERE MANO A UNA SACCA DI SANGUE, DEVI FARTI MOLTE DOMANDE”

Da questo punto di vista, il centro toscano rappresenta una piccola grande eccezione per l’Italia. ‘Nella nostra struttura la chirurgia bloodless è diventata la prassi, è uno standard. Oggi noi insegniamo ai nostri specializzandi e ai nostri studenti che prima di mettere mano a una sacca di sangue, devi farti molte domande. La prima è che non è un ricostituente, come invece poteva essere considerato anni fa’.

L’esperto racconta poi che ‘durante le mie lezioni alle scuole di specialità o agli studenti di medicina, quando parlo di trasfusioni o emorragie concludo sempre proiettando due diapositive. Il senso della prima è che noi possiamo utilizzare tutte le tecniche, le tecnologie, i bisturi laser, i tromboelastografi, tutti i farmaci che vogliamo ma quello che conta è riuscire a portare il malato fuori dalla sala operatoria della terapia intensiva con zero o con due unità di sangue invece che con dieci o 20. La diapositiva mostra una Ferrari al pit stop: significa che il dottore non deve considerare la trasfusione come se fosse una specie di rifornimento in corsa, che puoi fare in qualsiasi momento e comunque. L’ultima diapositiva l’ho trovata tanto tempo fa. Mostra un bancomat, che invece dei soldi produce una sacca di sangue. Ai miei studenti dico che è soprattutto importante che il medico non consideri il centro trasfusionale come una specie di bancomat da cui poter prelevare tutto quello che gli pare fino all’esaurimento del credito. È importante anche rispettare quell’atto totalmente liberale e solidale verso la comunità costituito dalla donazione del sangue. Si tratta di una questione culturale: la tecnologia e la tecnica sono importanti, però come sempre la cultura del dottore è la prima cosa‘.

BENEFICI PER TUTTI

Ciò significa che questo tipo di chirurgia dà dunque benefici a tutti, non solo ai Testimoni di Geova. ‘Io direi a maggior ragione a tutta la popolazione- precisa- e sono proprio i numeri che ce lo dimostrano. In Italia i Testimoni di Geova sono mezzo milione. La popolazione chirurgica che si presenta negli ospedali del nostro Paese è molto maggiore, quindi i benefici, fatte le proporzioni numeriche, sono maggiori, perché se applico queste tecniche su mezzo milione di persone, di cui magari mille vanno a chirurgia, dall’altra parte ho una popolazione di 30-35 milioni di persone, dove vanno a chirurgia in qualche centinaio di migliaia. Ecco dunque che i benefici crescono ampliando il numero’.

IL RISPETTO DELLE VOLONTÀ DEL PAZIENTE

Biancofiore mette anche il punto sulla volontà espressa dal paziente. ‘La volontà va rispettata, me lo impone anche la legge. Il mio compito è dargli tutte le informazioni e le basi scientifiche per fargli vedere che ciò che gli dico ha un fondamento, non proviene da un mio punto di vista che potrebbe essere contrastante con le sue convinzioni. Il mio compito è quello di dargli la migliore informazione possibile, non di convincerlo’.

‘Anche perché- continua- oggi sono disponibili prodotti farmaceutici da utilizzare nella gestione della coagulazione, strumenti che valutano la funzione coagulativa in sala operatoria direttamente senza aspettare il laboratorio e che guidano sulla gestione della coagulopatia. Sono in contatto con alcune aziende, soprattutto straniere, e so che a breve saranno disponibili prodotti artificiali sul versante plasma. Non però su quello dell’emoglobina, di cui si parla sempre tanto ma poi alla fine non c’è niente di utilizzabile, probabilmente siamo ancora a livelli sperimentali’.

Nel caso il paziente fosse Testimone di Geova e avesse bisogno di sangue, Biancofiore dichiara che ‘passa tutto per la fase preoperatoria. Noi parliamo con loro, perché non è solamente l’espressione di un consenso informato ma dall’altra parte c’è anche l’accettazione delle convinzioni di chi ci sta di fronte. Oggi come oggi, come è giusto che sia, è il malato che deve decidere quali trattamenti vuole o non vuole ricevere. Considerando il rischio è meglio essere chiari fin dall’inizio. Non posso negare che se dovessi veder morire un paziente senza poterlo trasfondere sarebbe per me una tragedia personale perché il compito primo del medico è quello di salvare le vite. Fino adesso però, grazie al cielo, in oltre 25 anni di esperienza con i Testimoni di Geova tutto questo non mi è mai capitato e spero davvero di non dovermi mai trovare in una situazione di questo tipo’.

FIDUCIA COL PAZIENTE E COLLABORAZIONE CON I COMITATI DI ASSISTENZA

Il mosaico della vita professionale del professor Biancofiore è fatto di molte, moltissime tessere. Una di queste è certamente rappresentata da un Testimone di Geova. ‘Posso dire che la Comunità dei Testimoni di Geova di Pisa e della Toscana ed io siamo stati fortunati. Ricordo sempre con grande affetto il dottor Lelio Mario Sarteschi, collega morto prematuramente e che qui localmente ha fatto moltissimo nell’ambito della Bloodless Surgery. Era un Testimone di Geova, se ne è andato via molto giovane, era curatore di un sito web dell’Università di Pisa sulla medicina senza sangue e con lui abbiamo fatto le prime discussioni e i primi eventi congressuali sulla Bloodless Surgery in giro per l’Italia. È stato un rapporto iniziato in maniera virtuosa perché basato innanzitutto su dati scientifici, quindi un confronto di tipo scientifico, e sul rispetto reciproco delle idee e convinzioni. Era una persona mentalmente aperta, probabilmente da quest’altra parte ne ha trovate altrettante disponibili all’ascolto e da lì è iniziato questo rapporto. Per sintetizzare, direi che il nostro rapporto è sempre stato basato sull’ascolto e sul rispetto reciproco. Lelio Mario Sarteschi era veramente una persona ricca di tutte le doti umane, una persona con cui ci si confrontava bene e con rispetto anche quando ci si trovava in disaccordo’.

Accenna nuovamente ai Comitati di Assistenza Sanitaria (CAS) dei Testimoni di Geova e al valore che hanno nell’instaurare un rapporto di fiducia con il paziente. ‘Per noi sono importanti perché fungono un po’ da tramite. In fondo il malato viene magari da un’altra città, non ti conosce, non sa chi sei, ti affida una fiducia su un foglio bianco. Il fatto che ci sia un trait d’union, qualcuno che conosce il centro, che conosce il malato, facilita in qualche modo il dialogo e l’instaurarsi di quel rapporto di fiducia reciproca fra malato e medico. Ogni tanto ci sentiamo con i CAS, facciamo due chiacchiere. Quando c’è una persona malata, vengono da noi e si parla insieme. C’è un cordiale ascolto e rispetto, due termini che poi non possono che essere alla base di qualsiasi rapporto umano’.

‘DOBBIAMO SEMPRE ESSERE STUPITI’

Infine, uno sguardo sul nuovo gruppo sanguigno ‘Er’, di cui si è discusso nei giorni scorsi a seguito di uno studio del National Health Service Blood and Transplant (Nhsbt) inglese, che ha trovato spazio sulle pagine della rivista ‘Blood’. ‘È una cosa che si conosceva già dalla prima metà degli anni 80. La notizia recente riguarda alcuni piccoli pazienti che hanno sviluppato questo problema di incompatibilità, ma essendo io un uomo di scienza aspetterei maggiori dati, perché ad oggi sappiamo solo che si tratta di una segnalazione. La cosa, però, è interessante e bella allo stesso tempo, perché ti dà un po’ il senso che chi fa il nostro mestiere non deve mai dare nulla per scontato e non dovrebbe mai rimanere legato a certezze. Le certezze fanno comodo perché ti rassicurano, però il nostro è un mestiere in continua evoluzione e questa evoluzione va un po’ guidata ma anche recepita e studiata. Dobbiamo sempre essere pronti, dobbiamo sempre essere stupiti’.

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