KAMPALA-ENTEBBE (UGANDA) – Dopo cento metri in un’ora, l’idea che non ti aspetti. “Facciamo inversione” sbotta l’autista Robert, incastrandosi contromano tra i moto-taxi “boda-boda”. La coda di utilitarie, pick-up e minibus “matatu”, però, non si muove neanche nell’altra direzione: bloccati di qua e bloccati di là. “Eppure è lunedì”, sospira Robert: “Mica è venerdì, che tornano ai villaggi”. Kampala, la capitale dell’Uganda, alle sette di sera. L’ora di punta diventa quattro ore e la superstrada, l'”expressway” che corre lungo il lago Vittoria, pare un miraggio: eppure Entebbe, dove vorremmo tornare, dista in teoria meno di 40 chilometri, circa 40 minuti di viaggio. Filosofeggia Paul, un altro passeggero: “I ‘traffic jam’, gli ingorghi, sono parte dell’identità nazionale“. Ma non si potrebbero prendere altre strade? “Ne abbiamo poche e sono quasi tutte malandate” risponde Paul. “Se vuoi andare da qui a lì e arrivare in tempo l’unica soluzione è prendere la moto: ma è pericoloso per via delle buche”. Ha ragione: stasera le auto sono imbottigliate ma a destra e a sinistra zigzagano motociclisti con mamme, fidanzate e fratelli abbracciati a gruppi di tre. Robert li tiene d’occhio e non si scompone neanche quando prende un colpo allo specchietto retrovisore. “Una moto” spiega, come per tranquillizzare i passeggeri. Alla fine, comunque, l’inversione a “u” funziona. Sorride pure Paul, che di cognome fa Natuhumuriza e in capitale è venuto a sbrigare affari per tre scuole che ha fondato al villaggio: le ha chiamate “life school” e dice che anche il “traffic jam” è una scuola di vita.









