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ROMA – L’alienazione parentale non esiste. Lo ha detto la Cassazione con la sentenza 9691 del 2022 a tutti nota come ‘Massaro’ (dalla mamma icona di questa battaglia contro la PAS), e anche il ministero della Salute, sempre nel 2022, rispondendo a un’interrogazione parlamentare. Sconfessata in tutte le sedi, eppure sempre viva. Un mostro a tante teste che cambia nome e cognome, ma mai anima. E che soprattutto in tante storie e decreti di tribunale continua a rappresentare una ghigliottina sulla vita di mamme e figli. Sui padri dichiarati alienanti molto meno, molto lentamente, a volte per niente: questo forse perché l’alienazione parentale all’origine è nata per ‘normalizzare’ violenza domestica e pedofilia e il fenomeno della violenza colpisce maggiormente le donne (ha subìto violenze fisiche o sessuali da partner o ex partner il 13,6% delle donne; il 24,7% delle donne ha subìto almeno una violenza fisica o sessuale da parte di uomini non partner, dati Istat 2023).
Se a ‘manipolare e alienare’ i figli sono quindi le mamme, questa la diagnosi-accusa che viene da molte ctu dei Tribunali che non vogliono parlare nelle loro perizie della violenza, allora quei bambini vanno strappati, portati in casa famiglia e avvicinati per forza al genitore (quasi sempre il padre) che non vogliono vedere perché ne hanno paura. Questo è documentato in numerosi casi e decreti. Se a manipolare sono i padri, come denuncia la ctu del caso di mamma Paola (romana, cassiera nella Capitale e madre di due figli) allora quella denuncia resta lettera morta e i servizi sociali non si attiveranno mai per ricondurre quel figlio a sua madre. Lo scriveranno, lo diranno, ma non lo faranno.
Così è accaduto a lei e a suo figlio Mario (nome di fantasia) che ora ha 17 anni e che è affetto da un “ritardo medio-grave” e che “non vedo da settembre 2021, da quando gli incontri sono stati interrotti”, racconta Paola che attende dai servizi sociali incaricati del Municipio XII della Capitale un progetto che non arriva mai. “Stavamo sempre insieme- racconta Paola- lasciai il lavoro per occuparmi di Mario, il mio secondo figlio. Faceva nuoto, ippoterapia, logoterapia. Poi è stato allontanato da me ad ottobre 2020 e da allora non lo vedo più, ho speso tutti i miei soldi, non so più cosa fare“. Scolpito nella mente il ricordo di quell’incontro ‘protetto’ in cui Paola gli dice “Ciao amore, me lo dai un abbraccio. E lui mi risponde ‘mamma non devo farlo perché manca il permesso del Tribunale'”.
Una storia che come tante sembra uscita da un libro di fantascienza e di cui ha parlato con la Dire l’avvocato Francesco Notari, legale di Paola che è tornato alle origini di questo groviglio giudiziario. “Tutto l’iter giudiziario è scandaloso: il Tribunale per i minorenni di Roma in 4 anni ha emesso decreti mai effettuati. Tutto parte dalla denuncia presentata contro la madre dalla figlia maggiorenne della signora per maltrattamenti: si apre il codice rosso a 6 mesi dalla sentenza di separazione con il papà di Mario– spiega il legale- viene sospesa la responsabilità genitoriale e si decide per l’allontanamento della madre e il regime degli incontri-protetti mamma-figlio“. Poi tutto viene archiviato.
“Anche lui- ricorda il legale- era stato denunciato per maltrattamenti e violenza domestica”, e anche lì archiviazione. E’ già una prima grande differenza del passo che si segue quando il codice rosso ce lo hanno gli uomini che spesso continuano a vedere i figli liberamente, pernotti inclusi. Per Paola non va così.
“La figlia maggiore non vuole vederla più- continua nella ricostruzione Notari- e il Tribunale per i minorenni incarica una serie di figure di competenza del centro famiglia, Asl, tutore, ma queste figure non fanno letteralmente nulla e si arriva così a decidere di mettere Mario in una struttura esterna per toglierlo dalla convivenza con il padre che gli aveva instillato- questa l’accusa- un rifiuto della madre. Andava agli incontri con dei fogliettini in cui era scritto ‘Tu mi fai male, tu sei cattiva’”. Insomma il padre ha alienato suo figlio? Fatto sta che in questo caso la macchina ‘istituzionale’ parrebbe non muoversi con la stessa veemenza che impiega per strappare i figli alle mamme definite in ctu ‘simbiotiche, adesive, in conflitto di lealtà’ (lessico nuovo per vecchia accusa: quella di alienazione).
“La ctu del caso (famoso sostenitore della PAS, ndr) è il meraviglioso esercizio funambolico di una sibilla”, lo definisce l’avvocato perché “dice e non dice. Sconsiglia la comunità per Mario, dice che sta bene con il padre, ma che dovrebbe anche vedere la mamma. Si arriva a un decreto del Tribunale per i minorenni a luglio 2023 che ordina all’Asl e ai servizi sociali di creare un percorso mamma-figlio e ordina al padre di favorire gli incontri”. Ma da allora tutto fermo. Una ctu dell’alienazione parentale che non chiede la casa famiglia e dei servizi sociali che non si attivano per obbligare a degli incontri il minore è certamente una stranezza. Nelle storie dell’alienazione si assiste a bambini, anche più piccoli, trasportati di forza agli incontri e spesso provati da crisi psico-fisiche gravi e accessi al Pronto Soccorso: l’ultimo il caso del piccolo di Ischia, che è finito chiuso in una struttura e poi dal padre. Nella storia di Paola, dove il presunto alienante è il padre di suo figlio, tutto questo non accade.
“Dopo un anno e qualche mese non è stato fatto nulla”, sottolinea l’avvocato. “L’Asl ha avuto un incontro e il ragazzo non vuole vederla e la rifiuta… Quando rifiutano i padri violenti sono obbligati…”, ammette anche lui.
Oggi Mario vive con il padre e la sua compagna “presunta”, termine con cui Paola la racconta. “Sono passati 5 anni e non si riesce a vedere luce. Sto preparando un ricorso al tribunale ordinario”, spiega l’avvocato. “Ho chiesto che il ragazzino venga monitorato, che la mamma possa visionare le cartelle cliniche delle visite”.
A tutti gli effetti, come il copione delle storie dell’alienazione parentale vuole, Paola ha visto suo figlio essere alienato secondo i dogmi della dottrina sconfessata: non lo incontra, non gli parla, non sa nulla.
Quella di Paola è quindi la storia di un figlio lasciato a vivere con un padre definito di fatto ‘alienante’ per il quale però servizi sociali, Asl e ctu non si sono mobilitati come avrebbero fatto con ogni probabilità se la stessa accusa fosse stata rivolta a una mamma. Perché?
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