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Salih (attivista): “Pericolo militari, vero golpe in Sudan in arrivo”

Fondatore Forum Pan-Africano: "Per la società civile è dura ma può mediare"

Pubblicato:24-09-2021 18:06
Ultimo aggiornamento:24-09-2021 18:06
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Abdalmageed_Salih
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ROMA – Il colpo di Stato fallito a inizio settimana in Sudan sarebbe “solo l’inizio” di un processo guidato dall’ala militare del governo di transizione nell’ottica di “prevalere sulla componente civile” interna all’esecutivo. Il “vero golpe potrebbe essere in arrivo”. Ne è convinto l’attivista sudanese Abdalmageed Salih, massimo dirigente e fondatore del Pan-African Forum on Rights and Development (Pafrd). L’organizzazione è di base a New York, città da cui parla anche Salih, ma buona parte dei suoi esponenti vivono nella capitale Khartoum, dove lo stesso fondatore si recherà la prossima settimana. “Stiamo lavorando con la società civile sudanese, facendo pressione sul governo nell’ottica di arrivare a elezioni e quindi a stabilire finalmente una democrazia”, spiega l’attivista alla Dire.

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L’intervista si svolge a pochi giorni da un tentativo di colpo di Stato denunciato dalle forze armate sudanesi. Martedì gli insorti si sarebbero confrontati con i militari a Khartoum, dove è stato anche chiuso un ponte sul fiume Nilo, e in prossimità di una caserma nel sobborgo di Omdurman. Stando alle parole pronunciate dal primo ministro Abdalla Hamdok già nella serata del giorno stesso, i responsabili del tentativo di golpe sarebbero sia militari che civili “superstiti” del vecchio, trentennale governo guidato dal Partito del Congresso Nazionale dell’ex presidente Omar Hasan al-Bashir. L’ex capo di Stato, attualmente detenuto in Sudan e in attesa di essere consegnato alla Corte penale internazionale de L’Aia, dove deve essere giudicato per una serie di crimini commessi durante il suo mandato, è stato deposto da una sollevazione popolare e da un intervento militare nell’aprile 2019.
Proprio i valori della “rivoluzione”, così come viene definita dal governo la fase che ha portato alla fine dell’esecutivo di al-Bashir, devono ora informare “una revisione completa dell’esperienza di transizione in piena trasparenza e chiarezza”, ha detto Hamdok, che ha poi evidenziato la necessità di “riformare i comparti della sicurezza e dell’esercito”.


L’attuale governo di transizione, a cui è stato affidato un mandato di 39 mesi a partire dall’agosto 2019 nell’ottica poi di arrivare a libere elezioni, è composto anche da un Consiglio sovrano misto militare e civile. Anche il presidente di turno dell’organismo per i primi 21 mesi, il generale Abdel Fattah Al-Burhan, è intervenuto dopo il fallito golpe confermando che le persone coinvolte sono sia “dirigenti dell’esercito che civili”, la cui affiliazione politica “verrà resa nota al termine delle indagini in corso”, come riporta il quotidiano Sudan Tribune. Più di 20 le persone che sarebbero state arrestate fino a adesso. La lettura degli eventi fornita da Salih si concentra su una tesi: il tentato golpe sarebbe il primo frutto di “una lotta interna tra i civili e i militari che compongono il governo”. Gli equilibri, secondo l’attivista, sarebbero a favore dei secondi: “I militari sono quelli che hanno l’ultima parola nell’esecutivo- afferma Salih- e la sollevazione di martedì è solo un primo passo che prepara il terreno per operazioni future, non è escluso che il golpe vero e proprio stia per arrivare”.

Per il dirigente di Pafrd inoltre, le forze armate “sono in una buona condizione dal punto di vista finanziario e godono di contatti a livello interno, tra i gruppi tribali, e all’esterno, potendo godere dell’appoggio di Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita e Qatar”. Salih da un volto preciso alle mire destabilizzatrici che caratterizzerebbero l’anima militare della transizione: quello di Al-Burhan, protagonista di un’ascesa nei ranghi dell’esercito durante il governo di Al-Bashir anche grazie al suo ruolo nei “janjuweed”, la milizia paramilitare istituita dall’ex capo di Stato accusata di violenze e abusi contro la popolazione. “Il generale– questa la lettura offerta dall’attivista – proverà a sostituire la componente civile del governo con politici più accondiscendenti verso i militari”. L’orizzonte potrebbe essere fosco. “La transizione è a rischio– avverte Salih– c’è il pericolo che le forze armate non rimettano il mandato al termine stabilito del giugno 2022”.

A fare da argine a questa possibile deriva ci potrebbe essere la società civile sudanese. La coalizione composta dai gruppi che hanno animato le proteste del 2019, la Forces of Freedom and Change (Fcc), vanta cinque membri su undici del consiglio di transizione. Nonostante questo, secondo l’amministratore di Pafrd, questa “potrebbe non essere abbastanza forte” per giocare un ruolo decisivo. “La società civile potrebbe mediare tra le due anime del governo”, concede l’attivista. Salih si sente chiamato in prima persona e, nonostante definisca il compito che attende gli attivisti sudanesi “molto duro”, afferma che lui e gli altri protagonisti delle organizzazioni sudanesi stanno “lavorando per andare avanti e mettere in salvo la transizione”.

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