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Libia, Soda (Oim): “Con la guerra e il Covid i migranti scelgono di rimpatriare”

Federico Soda, direttore in Libia dell'Organizzazione internazionale per le migrazioni: "Sono 500 le persone riportate a casa da fine agosto e la lista d'attesa ne conta ancora migliaia"

Pubblicato:24-09-2020 12:31
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 19:56

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ROMA – “In Libia, dopo i vari lockdown, l’aumento dei casi di Covid, la crisi economica e le violenze, il numero dei migranti si sta riducendo, mentre aumentano le richieste all’Oim di rimpatri verso i Paesi d’origine. Sono 500 le persone riportate a casa da fine agosto e la lista d’attesa ne conta ancora migliaia. La crisi economica e sanitaria ‘spinge’ i migranti fuori dal Paese”. Con l’agenzia Dire parla Federico Soda, direttore in Libia dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni.

Da Tripoli, Soda racconta di una situazione complessa, segnata dalle preoccupazione per il coronavirus: “Attualmente ci sono 29.446 casi ufficiali e 460 morti. Sembrano numeri bassi ma in poche settimane gli infetti sono saliti a 20.000 e non si arrestano“.

Questo, dice il responsabile, a fronte di un sistema sanitario compromesso da nove anni di crisi e conflitto: gli ospedali non possono garantire le cure per il coronavirus, inoltre i test e le cliniche per le analisi sono poche.


Lo staff dell’Oim nel Paese collabora con il governo “per realizzare i test e migliorare le condizioni igienico-sanitarie nei centri di detenzione” dice Soda, preoccupato che in questi luoghi arrivi il Covid. “Al momento – sottolinea il responsabile – risiedono in condizioni precarie 2.800 persone”.

Secondo Soda, i centri di detenzione ufficiali sono stati ridotti, “ma esistono comunque centri non ufficiali”, dove si verificano violenze, come dimostra un incidente avvenuto a maggio: per una resa dei conti, uomini armati hanno aperto il fuoco contro un capannone che ospitava migranti bengalesi e in 26 hanno perso la vita. “Tra coloro che chiedono il rimpatrio una buona parte sono bengalesi“. Questo si spiegherebbe anche col fatto che, rispetto ai migranti africani, “sono considerati più ricchi dai trafficanti e dalla criminalità organizzata e per questo sono esposti a sfruttamento lavorativo e ricatti a scopo di estorsione”.

Anche chi non risiede nei centri – le migliaia di stranieri giunti in Libia per trovare lavoro – starebbe tornando a casa. “Dei 650.000 migranti registrati prima dell’emergenza Covid, ora sappiamo che ce ne sono 600.000. Gli aeroporti in larga parte sono chiusi, quindi la mia ipotesi e’ che si tratti di persone provenienti da Paesi limitrofi – come Niger, Egitto, Sudan, Ciad – che attraversano le frontiere a piedi”.

Si tratta di dati non ancora ufficiali, chiarisce il dirigente, “ma resta un segnale importante che dimostra un fatto: se le persone non trovano lavoro, non restano ad aspettare. Vanno via. E come sempre ripetiamo, non tutti scelgono di rischiare la vita in mare per raggiungere l’Europa”.

La ripresa delle partenze attraverso il Mediterraneo allora, secondo Soda, “non dipende dal Covid perché rispettano il trand registrato in passato: ci si imbarca col tempo buono. Da ottobre si ridurranno di nuovo“.

Ieri la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha annunciato “un nuovo patto sulle migrazioni”. “Da anni sollecitiamo la necessità di salvare vite in mare – commenta Soda – e attendiamo di vedere cosa ne pensano gli Stati membri“.

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