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Corbyn propone 32 ore di lavoro a settimana: il dibattito si riaccende anche in Italia

Sul tema la DIRE ha sentito gli esponenti dei partiti che si occupano di politiche del lavoro: le opinioni raccolte sono piuttosto fredde all'ipotesi di ridurre l'orario a parita' di salario

Pubblicato:24-09-2019 16:40
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 15:44
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ROMA – Trentadue ore settimanali, per 4 giorni di lavoro. E’ la proposta dei Laburisti, contenuta nel manifesto di Brighton, dove il partito di Jeremy Corbyn tiene il congresso annuale.

Il tema riaccende il dibattito anche in Italia, dove la riduzione del mercato del lavoro e’ collegata alla proposta di Rifondazione Comunista del 1998, che prevedeva 35 ore la settimana. In anni piu’ recenti ci sono state altre proposte. A cominciare da quella depositata nel gennaio 2017 al consiglio regionale dell’Emilia Romagna dal giurista Piergiovanni Alleva che prevedeva, come quella del Labour di oggi, 32 ore settimanali al posto delle 40 in vigore. Secondo i calcoli di Alleva su una base attiva regionale di circa 2 milioni di occupati, l’adesione di una persona su cinque avrebbe liberato posti per 160mila inattivi.

La scorsa primavera e’ stato il presidente dell’Inps Pasquale Tridico a rispoverare lo slogan degli anni ’70 ‘Lavorare meno, lavorare tutti’. “Siamo fermi in Italia all’ultima riduzione di orario del ’69 – ha detto Tridico nel corso di una lezione alla Sapienza-. Non ci sono riduzioni da 50 anni, invece andrebbero fatte. Gli incrementi di produttivita` vanno distribuiti o con salario o con un aumento del tempo libero”.


A raccogliere l’invito solo Nicola Fratoianni di Sinistra Italiana, con il sociologo Domenico De Masi, che pochi giorni dopo hanno depositato in Parlamento un progetto di legge che prevedeva la riduzione dell’orario a parità di salario. Una differenza significativa dalle altre proposte di legge giacenti alle Camere, che non escludono mai una possibile decurtazione della paga.

Con la sua proposta congressuale il Labour inglese ‘sfonda’ il muro delle 35 ore, tabu del centrosinistra ulivista che anche su questo terreno perse il primo governo Prodi. Ma in Europa sono molti i Paesi che lavorano meno dell’Italia: 35 ore in Francia, 28 ore la Germania, 33 ore la Norvegia e la Danimarca, 35 ore il Belgio.

Sul tema la DIRE ha sentito gli esponenti dei partiti che si occupano di politiche del lavoro. A parte il leader Uil Carmelo Barbagallo, e l’ex sottosegretario M5s Claudio Cominardi, le opinioni raccolte sono piuttosto fredde all’ipotesi di ridurre l’orario a parita’ di salario. La proposta non avrebbe oggi una maggioranza in Parlamento.

Colpa della crisi, che ha gia’ ridotto l’orario medio effettivo di lavoro a 33 ore la settimana. “Ci vuole oggi piu’ lavoro, non meno”, dicono quasi all’unisono Pd, Fi, Fdi.

POLVERINI: MEGLIO RIATTIVARE PRODUZIONE CHE RIDURRE ORARIO

La proposta del laburista Jeremy Corbyn di recuperare tempo all’ozio creativo tramite una settimana con meno ore lavorative distribuite su soli 4 giorni “è un tema che ricorre spesso nei Paesi dell’Unione, da noi già ai tempi di Bertinotti. Però credo che in Italia servirebbe più che altro rimettere in moto la produzione: oggi c’è poco lavoro”. Lo spiega alla DIRE Renata Polverini, deputata di Forza Italia e vicepresidente della Commissione Lavoro alla Camera.

“Formalmente- ricorda Polverini- l’Italia è il Paese europeo con più ore lavorative. In sé una modifica non sarebbe così scandalosa, ma i dati di occupazione e part time ci dicono che, nei fatti, la situazione è già un po’ questa. Si fa sempre più ricorso al part time e sono sempre più numerose le figure flessibili”.

La deputata azzurra si dice “preoccupata” dall’avvento della tecnologia che ha estromesso sempre più persone dal mondo del lavoro. “Ho chiesto spesso dove fossero ricollocati questi lavoratori, mi dicono che saranno inseriti negli impianti tecnologici. Ma quando chiedo se la tecnologia è in grado di assorbire tutta la manodopera ferma nessuno mi risponde. Non sono contraria alla tecnologia – precisa Polverini- ma questo tema mi spaventa. E il nostro Paese rischia di rimanere indietro perché non accompagna mai i processi, ci muoviamo sempre dopo. E’ una rivoluzione che rischia di farci rimanere indietro”, conclude.

SERRACCHIANI: OGGI NON CI SONO LE CONDIZIONI

Nessuna preclusione ideologica alla riduzione dell’orario di lavoro. Bisogna chiedersi piuttosto se sia realizzabile o meno, in termini di salario garantito. Debora Serracchiani, deputata del Pd componente della commissione Lavoro di Montecitorio, non rifiuta a priori l’idea del Manifesto laburista di Brighton, che prevede una settimana lavorativa di 4 giorni per un totale di 32 ore.

“Mi pare che Corbyn accenni all’ ‘ozio creativo’, una proposta piuttosto vecchia nel nostro paese, il primo che ne parlo’ era De Masi”, spiega Serracchiani interpellata dalla Dire. “E in realta’ – aggiunge- ne parlo’ ancora prima Gianni Agnelli quando disse che bisognava far lavorare di meno i lavoratori a parita’ di stipendio per evitare che vi fossero disoccupati. Io non trovo l’idea sbagliata, la trovo di difficile attuazione in un contesto nel quale evidentemente se si lavorano meno ore bisogna garantire non solo la produttivita’ ma anche il pagamento di un salario adeguato”.

Per Serracchiani “se lavorare meno significa guadagnare meno, allora non puo’ funzionare. Se invece si tratta di riorganizzare i tempi di lavoro in modo che lavorare meno significhi essere pagati comunque per un orario superiore, allora si puo’ ragionare questo e’ un momento complicato per farlo”.

I riformisti italiani hanno superato il ‘no’ pregiudiziale alle 35 ore? “Sia chiaro: Non e’ un punto su cui dividersi da un punto di vista ideologico. Il problema e’ come provare a farlo. Oggi oggettivamente se si lavora meno ore si viene pagati di meno. Questo e’ un dato di fatto. Il problema oggi in Italia e’ che e’ aumentato il numero di occupati ma rispetto all’inizio della crisi mancano all’appello 500mila ore lavorate. Ci sono quindi piu’ persone che lavorano ma vengono pagate di meno. Purtroppo e’ una riduzione determinata dalla crisi ma se vogliamo tornare a parlare di un lavoro di qualita’, e di persone che lavorano ma non sono poveri, allora bisogna innanzitutto aumentare il numero di ore lavorate in questo momento storico. Chissa’ che non si arrivi a una riduzione dell’orario complessivo senza pero’ tagliare gli stipendi. Ma oggi non vedo le condizioni per poterlo fare”.

COMINARDI: GIUSTO RIFLETTERE SU RIDUZIONE ORARIO

“Non entro nel dettaglio della proposta laburista, ma conosco piuttosto bene il contesto italiano e ritengo che una riflessione sullo stesso tema sarebbe più che opportuna anche nel nostro Paese”. Claudio Cominardi, componente M5s della Commissione Lavoro della Camera, apre a una riduzione dell’orario di lavoro.

Il tema e’ entrato tra le tesi proposte dal Partito Laburista al congresso di Brighton. Per Jeremy Corbyn bisognerebbe lavorare 4 giorni alla settimana, per un totale di 32 ore. Interpellato dalla Dire a proposito del contesto italiano, Cominardi sottolinea che “l’Italia è il secondo Paese in Europa per numero di ore lavorate: un paradosso se pensiamo ai tassi di disoccupazione ancora troppo alti – anche se gli ultimi dati sull’occupazione premiano le politiche del Governo”.

Quindi che fare? “Porre al centro del dibattito la questione dell’orario di lavoro valutando le varie modalità di attuazione, perché non può esistere una soluzione unica in un mondo del lavoro articolato e complesso. Questo tema però non può essere scollegato da quello della produttività, che vede il nostro Paese arrancare”.

Per l’ex sottosegretario “l’obiettivo comune dev’essere quello di raggiungere gli standard dei principali competitor commerciali europei, dove si lavora meno e si guadagna di più.

Come? “In primo luogo investendo nelle nuove tecnologie che efficientano i processi produttivi, prima leva della produttività. Poi sostenendo i salari bassi attraverso la riduzione del costo del lavoro”.

E ancora: “Investendo sempre di più nel capitale umano attraverso percorsi formativi e di inclusione sociale” e infine con la “rimodulazione dell’orario di lavoro ove possibile tramite la contrattazione, con interventi di conciliazione vita – lavoro e attraverso normative incentivanti che vadano incontro alle necessità tanto dei lavoratori, tanto delle imprese”.

RIZZETTO: PERSONE CHIEDONO LAVORARE DI PIU’, NON DI MENO

No alla riduzione dell’orario di lavoro in questa fase. “La gente oggi chiede di lavorare di piu’, non di meno”. Walter Rizzetto, deputato di Fdi, componente della commissione Lavoro della Camera, si dice “completamente in disaccordo” con la proposta del Labour di lavorare 4 giorni a settimana.

In primo luogo, spiega Rizzetto interpellato dalla Dire, “un paese come l’Italia verrebbe sovrastato da altri mercati e da un altro tipo di dinamica del mercato del lavoro. Non mi riferisco tanto all’Europa, quanto ad altre realta’ straniere. Che poi bisogna parlare di una redistribuzione importante per quanto riguarda i salari, questo e’ evidente. Ma nel senso che chi lavora oggi 4 giorni, o anche 2 o 1 purtroppo, vorrebbe guadagnare di piu’ e noi dovremmo garantire questo, piuttosto”.

Ma la riduzione dell’orario di lavoro e’ sbagliata anche “in linea teorica, perche’ si e’ visto che diminuendo le ore non aumenta l’occupazione. Si tratta di una misura che va bene in una condizione di piena occupabilita’ o quasi, cioe’ con tassi di disoccupazione del 3,5-4 per cento. Cosa che in Italia e’ impossibile. Di fronte a un’occupazione quasi piena con produttivita’ massiccia, allora si puo’ parlare di riduzione dell’orario di lavoro. Ma fino a che c’e’ l’11-12 per cento di disoccupazione con punte impressionanti per quella giovanile, allora le persone vogliono lavorare, con tutti i diritti, ma lavorare, se possibile, con pieni orari”.

Un giudizio che non nasconde pregiudizi ideologici, visto che in Italia la riduzione dell’orario di lavoro e’ stata promossa per anni da Rifondazione comunista? “Io non guardo alle bandiere, alle proposte dei partiti. Ma a un mero aspetto economico. Se ci fosse una disoccupazione al 3-3,5 per cento ci ragionerei. Con una disoccupazione cosi’ alta penso che la riduzione non sarebbe la strada giusta. Lo vediamo anche rispetto agli ammortizzatori sociali, che sono di fatto riduzione del lavoro, e che purtroppo spesso sono l’anticamera alla chiusura delle aziende. I contratti di solidarieta’ ad esempio li stiamo usando poco e male. E prevalentemente in termini difensivi, quasi mai espansivi”.

BARBAGALLO: SONO D’ACCORDO, LAVORARE MENO A PARI SALARIO

“In più di una circostanza e anche in alcuni incontri ufficiali con Confindustria, la Uil ha già avuto occasione di richiamare l’attenzione sulla necessità di procedere a una riduzione dell’orario di lavoro. Pertanto, la proposta dei laburisti di Jeremy Corbyn ci trova assolutamente concordi”. Cosi’ il segretario generale della Uil Carmelo Barbagallo, interpellato dalla Dire a proposito della proposta avanzata nel manifesto del Labour, di lavorare 32 ore alla settimanali per 4 giorni.

“E non è solo una questione che attiene alla valorizzazione del tempo libero e della migliore qualità della vita. Si tratta, certamente, di aspetti fondamentali che riguardano la tutela e i diritti della persona in quanto tale e in quanto cittadino. In gioco, però, c’è anche il futuro della nostra società, dell’economia e dell’occupazione. La prorompente avanzata dell’impresa 4.0 e dei nuovi lavori sta già determinando una diversa organizzazione del lavoro, con conseguenze sugli stessi assetti occupazionali”, dice Barbagallo.

Secondo il numero uno della Uil “si arriverà a produrre la stessa o maggiore ricchezza con una quantità inferiore di ore lavorate. Per evitare danni sociali, l’unica strada da percorrere è quella della riduzione dell’orario a parità di salario. Anzi, poiché si dovrà puntare, contestualmente, a un incremento della produttività, fondata sul benessere lavorativo, a livello delle singole aziende che adotteranno questa organizzazione del lavoro, ci saranno le condizioni per rivendicare anche un incremento del salario. In questo quadro, assume un ruolo centrale anche la formazione, per generare nuove professionalità e nuove competenze, così che ogni lavoratore possa continuare a sentirsi parte attiva ed essenziale dei processi produttivi innovati e modernizzati”.

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