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Dayo: “Il Diaspora Cinema Festival dà spazio a registi indipendenti per raccontare l’Africa”

Il direttore artistico della rassegna in programma a Firenze fino a sabato spiega che "Sono benvenute le pellicole sui temi e le società africane ma a realizzarle può essere chiunque, senza limiti di nazionalità"

Pubblicato:24-06-2021 18:30
Ultimo aggiornamento:24-06-2021 18:30

African Diaspora Cinema Festival
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ROMA – “Sono un regista anch’io, oltre che direttore artistico del Festival, quindi conosco bene le difficoltà che i registi indipendenti incontrano per far accettare le loro opere nelle rassegne maggiori. Per questo nel 2013 ho deciso di creare l’African Diaspora Cinema Festival: era arrivato il momento per noi comunità di origini straniere di gestire un’iniziativa nostra per raccontare l’Africa“. A parlare con l’agenzia Dire Fide Dayo, il direttore artistico dell’African Diaspora Cinema Festival (Adcf), in programma a Firenze fino a sabato.

Questa edizione 2020/2021 è particolare. “Lo scorso anno la pandemia ci ha costretto ad annullare tutto- dice Dayo- ma ci siamo rifiutati di proiettare le pellicole online perché per noi la cosa più importante è l’incontro con le persone: italiani, italiani di origine straniera, africani, internazionali. Le persone devono potersi vedere, confrontarsi e, attraverso i lungometraggi e i corti, scoprire l’Africa”.

Ma in che modo si viene trasportati nel continente a Sud del Mediterraneo? “Sono benvenute le pellicole sui temi e le società africane ma a realizzarle può essere chiunque” risponde il direttore. “Non ci sono limiti di nazionalità. Abbiamo registi che provengono dall’Africa ma anche da Uruguay, Francia o Repubblica Dominicana. Peccato che quest’anno non siano state selezionate opere di registi italiani, ma l’arte è così: è ciclica, ci saranno l’anno prossimo”.


Le 15 pellicole selezionate – che sono rigorosamente quelle dello scorso anno, prima che il Covid costringesse ad annullare tutto – propongono situazioni e prospettive anche molto differenti tra loro. ‘Marked’, di Nadine Ibrahim, è un documentario che esplora le diverse culture nigeriane in un viaggio a 360 gradi; ‘Opus’, di Kgosana Monchusi, è la storia di un bassista sudafricano che attraverso la musica si riscatta dalla povertà; il canadese Michelle-Andrea Girouard con ‘Running Home’ racconta la Western Sahara Marathon che, collegando i campi profughi di Laayoune, Auserd e Smara, fa luce sulla vita dei rifugiati saharawi, da 40 anni esclusi dalla loro patria; un viaggio alla riscoperta del rapporto uomo-natura è al centro di ‘Uncivilized’ del regista Michael Lees, che mostra la bellezza delle foreste della Repubblica Dominicana; l’egiziana Morad Mostafa con ‘Ward’s Henna Party’ illustra invece la vita dei profughi sudanesi in Egitto.

Secondo Dayo, tra i Paesi più “raccontati” spicca il Sudafrica, “ma ci sono ottimi lavori anche su Zimbabwe, Botswana, Nigeria e Uganda“.

Le pellicole saranno proiettate per le prime tre giornate a Villa Romana, mentre sabato due film saranno presentati sullo schermo all’aperto della Manifattura Tabacchi, quando verrà consegnato il premio al miglior film. “I tanti artisti che collaborano con il Festival hanno disegnato per noi una chiave, che andrà al primo classificato” dice Dayo. “Ci piace perché simboleggia il mezzo con cui aprire la città di Firenze ma anche accedere a una nuova fase della vita”.

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