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Le psicologhe del ‘Protocollo Napoli’ a Speranza: “Accerti le condizioni di salute del figlio di Laura Ruzza”

La donna è accusata di essere ostativa alla bigenitorialità ed è stata allontanata dal figlio effetto da epilessia che, in casa famiglia, è diventato ipovedente

Pubblicato:24-05-2022 20:11
Ultimo aggiornamento:24-05-2022 20:11
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MAMMA_RUZZA
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ROMA – “Gentile ministro, come Comitato tecnico scientifico del Centro Studi Psicologia ‘Protocollo Napoli’ segnaliamo il caso del minore Marco, figlio della signora Laura Ruzza, che ha chiesto sostegno e aiuto al nostro Centro, in quanto esperto in violenza su donne e minori. Il bambino, con problemi di salute gravi e accertati, di cui accludiamo i documenti sanitari ricevuti, è stato allontano contro la sua volontà ed il suo interesse dalla casa materna il 26 luglio 2021 e collocato presso una casa famiglia alle porte di Roma. Come ministro della Salute, a nome della madre e di tutta la comunità scientifica, chiediamo di voler provvedere ad accertare le esigenze sanitarie del minore, disponendone un ricovero urgente a fini diagnostico trattamentali onde valutare la progressione della patologia e soprattutto la compatibilità di questa patologia sia con il provvedimento traumatico di allontanamento dal genitore di riferimento (responsabile della cura del minore fino al momento del distacco) sia con la collocazione coattiva in una struttura, priva di competenze specifiche per la cura dell’epilessia e priva del supporto affettivo materno”. È questo l’appello accorato delle psicologhe del Centro di formazione Protocollo Napoli indirizzata al ministro della salute, Roberto Speranza, sul caso della mamma coraggio Ruzza, accusata di essere ostativa alla bigenitorialità, e di suo figlio ipovedente e affetto da epilessia che ha promosso numerose proteste e sit in per chiedere che suo figlio torni a casa da lei. Da ultimo, un decreto del Tribunale per i minorenni di Roma ha anche stabilito che il minore possa vedere il padre, anche con pernottamento, a centinaia di km da Roma.

“Come in molti altri casi di donne fuggite da contesti di violenza, da una lettura della situazione emerge con evidenza che anche in questo caso né il bambino né sua madre hanno trovato le giuste protezioni nei nostri sistemi di tutela”, scrivono le psicologhe ricordando che la signora Ruzza aveva denunciato il padre del bambino e che da quelle denunce, poi archiviate, “si è instaurato un contenzioso in ambito civile sull’affido del minore, promosso dal padre, richiedendo quest’ultimo -da subito- il collocamento presso di sé del minore, all’epoca di appena 6 mesi”.

LA STORIA

“Il tribunale di Treviso, dove la coppia era residente, ha rigettato all’epoca il ricorso del padre ma, contestualmente, ha rigettato anche le richieste della madre, rilevando che alla base del contenzioso ci fosse una situazione di conflittualità di coppia, che andava superata con collocamento del minore presso la madre e con affidamento al Servizio sociale, per garantire al padre l’esercizio del diritto di visita in situazione protetta. L’appello al Tribunale di Venezia -scrivono le psicologhe che stanno seguendo mamma Ruzza- ha poi confermato la sentenza di primo grado. In quel periodo le denunce del padre si riferivano al fatto che la signora – per ragioni di lavoro (supplenze scolastiche) – trascorreva alcuni brevi periodi a Roma con il bambino. Nel dicembre del 2016, infatti, la signora si trovava per il suo periodo di vacanza a Roma e qui si sono manifestate le prime crisi epilettiche del bambino, di appena 3 anni. Il piccolo, da gennaio a ottobre 2017, viene più volte ospedalizzato al Policlinico e poi all’Umberto I di Roma, per ottenere una diagnosi e per la definizione di un trattamento terapeutico appropriato. La signora rimane opportunamente a Roma, perché le cure sono iniziate a Roma, e la patologia del bambino appare ben monitorata e sotto controllo. Inoltre il bambino può contare in questa città sull’aiuto sia della propria madre sia della nonna materna”, continua la missiva.


“Al bambino, intanto, viene riconosciuta dalla ASL di competenza territoriale il riconoscimento di invalidità civile, con menomazione grave delle sue funzioni per una epilessia generalizzata e ritardo nel linguaggio. È sottoposto a terapie farmacologiche gravose che ne limitano le capacità. Il Tribunale per i minorenni di Venezia- prosegue la lettera- nella sentenza definitiva mantiene il collocamento del bambino presso la madre con affidamento ai servizi sociali di Roma nella zona di residenza della madre. Il padre fa ricorso alla Corte Europea di Strasburgo per violazione degli artt. 6, 8 e 24 della Convenzione Europea per i Diritti dell’Uomo, procedimento ancora ad oggi non definito”.

La situazione si è “ulteriormente complicata per l’emergenza Covid, perché gli incontri padre-figlio subiscono delle battute di arresto o rallentamenti, interpretate dal Servizio sociale come volontà ostruzionistica della madre e paure immotivate.

Il 3 agosto 2020 il PMM, ricevuta comunicazione dal ministero della Giustizia del ricorso CEDU, fa ricorso al TpM di Roma- scrivono ancora le psicologhe del centro- che con decreto ad hoc nomina un tutore nella persona della sindaca di Roma, sollevando dalla responsabilità entrambi i genitori. Infine il TM stabilisce il collocamento del minore (di 6 anni), con grave e comprovata patologia, presso una Casa famiglia, ventilando una presunta e non provata incapacità materna nella socializzazione del bambino (il bambino, in epoca Covid, è mantenuto prudentemente a casa dalla madre, con collegamenti da remoto alla scuola)”.

IL PRELEVAMENTO COATTO DEL PICCOLO

“L’ordine di collocamento del minore presso la struttura viene eseguito in modo coattivo, il giorno 26 luglio 2021, con impiego delle FFOO. Nell’ordine -prosegue la missiva- non viene indicata alcuna precauzione per lo stato di salute del minore, né viene indicato se la struttura è adeguatamente supportata da interventi medici specialistici per far fronte alle esigenze di salute del minore. Da quel momento la madre può vedere il bambino, sotto stretta sorveglianza, una volta alla settimana. Ciò che non viene gradito dalla struttura è il ‘pressing’ della madre sugli operatori per conoscere le condizioni del bambino e il tipo di terapia somministrata nella Casa famiglia. La madre constata, durante gli incontri settimanali, che le condizioni di salute sono peggiorate e segnala questa circostanza al Tribunale per i minorenni”.

Prosegue la lettera: “Gli interventi della madre, tuttavia, sono considerati invasivi e denigratori della struttura ospitante e il TM emette un primo decreto in cui decide la sospensione degli incontri madre figlio e un secondo decreto, il 14 gennaio 2022, in cui aggrava la misura di sospensione impedendo alla madre anche le telefonate e ogni contatto anche con terzi (operatori della struttura residenziale, scuola) per avere informazioni sul bambino”.

L’APPELLO AL MINISTRO

“Ribadiamo che, a nostro avviso, un bambino portatore di epilessia non possa essere sottoposto al trauma dell’allontanamento dal proprio ambiente di vita, senza un aggravamento delle sue condizioni di salute, sulle quali un largo peso ha lo stress, accumulato a partire dal prelievo forzoso del 26 luglio (che lo ha sradicato dal suo ambiente di vita) fino all’ultimo, anche più nocivo provvedimento di ectomia materna, soprattutto in considerazione delle cure dispiegate dalla madre (fino al momento del prelievo) che dimostratamente hanno permesso al bambino, attraverso un adeguato apporto farmacologico, in un ambiente privo si stress, di tenere sotto controllo le crisi epilettiche”, concludono Caterina Arcidiacono, Antonella Bozzaotra, Gabriella Ferrari Bravo, Elvira Reale, Ester Ricciardelli del Comitato Tecnico Scientifico di ‘Protocollo Napoli’.

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