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VIDEO | Il 25 aprile di un novantenne: “La peggior democrazia sempre meglio della miglior dittatura”

La ribellione di Antonio Stalla: "La Liberazione va festeggiata perché non è così difficile perdere la libertà"

Pubblicato:24-04-2020 12:32
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 18:12

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in collaborazione con Alessio Marri

ROMA – “Mi rifiutavo di andare alle lezioni di etica fascista il sabato, tanto che una volta un capo fascista mi lesse negli occhi tutta la mia ribellione e mi disse: ‘Hai la faccia del me ne frego’, come se lo prendessi in giro. Sapevo che qualsiasi democrazia, anche la peggiore, era e sarà sempre meglio della migliore delle dittature. Quel giorno, il 25 aprile del 1945, per la nostra famiglia finì l’incubo dell’occupazione, poiché era un incubo la vita a quei tempi”. Inizia così la testimonianza di Antonio Stalla, oggi 90enne, che insieme alla Dire ripercorre le emozioni che lo accompagnarono dal 1936 al 1945. Ricorda il coprifuoco, le luci del suo paesino, Alassio, sempre spente, l’oscuramento totale, la miseria. “Non posso dimenticare e oggi, che non si può uscire a causa del Covid-19, ho messo la bandiera tricolore fuori dalla finestra”.


Il cuore di Antonio è ancora ribelle, ma anche amareggiato perché “tanta gente, pure della mia età, non ricorda più l’importanza di questa data, figuriamoci i giovani che non l’hanno mai vissuta. In Italia hanno fatto in modo di parlarne il meno possibile, così si dimenticano i valori e le persone che sono mancate in nome di quei valori”. Ai tempi della guerra di Spagna “ero un bambino abbastanza sveglio, ero ribelle per natura– ricorda Antonio- e nel ’39, liberato mio padre, capivo tutto. Sentendolo parlare di politica con i suoi fratelli mi cresceva dentro questa ribellione. A 9 anni, poiché appunto non frequentavo il sabato fascista- sottolinea- la maestra mi diceva ‘È tuo padre ad impedirtelo?’ Io le rispondevo semplicemente che non ne avevo voglia, mi ero fatto uno scudo”.

Certo, le relazioni sociali non sono mai state facili, ma in quegli anni si facevano sentire le simpatie e le antipatie politiche tra le persone. “Faceva paura farsi vedere con la famiglia Stalla- aggiunge sorridendo Antonio- la polizia politica segreta fascista (Ovra) a quei tempi ci spiava in continuazione”. Perché la storia della famiglia Stalla si incrocia con le esperienze dei partigiani e dei perseguitati politici, conosce il carcere duro, gli interrogatori brutali e i pestaggi. Combatte la miseria e la fame indotta come arma repressiva secondaria. È una storia antifascista che parte da un piccolo borgo affacciato sul mare ligure e vede come protagonisti Antonio, che a 14 anni farà anche la staffetta, e suo padre Virgilio in continua fuga da Alassio, dove veniva sempre catturato.

Virgilio Stalla subisce, infatti, ben 4 arresti e “non solo perché era comunista, ma sovversivo”. Il primo nel 1936 con i fratelli Libero e Bruno per propaganda. Lui aveva una tipografia dove lavoravano tutti insieme e lì stamparono dei manifesti dal titolo eloquente ‘Il grido del popolo’. Così furono condannati: Bruno e Libero a due e un anno, mentre a Virgilio il Tribunale Speciale decretò tre anni di carcere a San Vittore, dove fu pestato e torturato. Poi lo condussero a Regina Coeli, a Roma, ma fortunatamente fu graziato nel 1937, perché nacque Vittorio Emanuele di Savoia, il figlio dell’ultimo re d’Italia. Nel frattempo la tipografia viene devastata dall’Ovra e il materiale superstite venduto per coprire le spese legali del processo. Le sciagure, tuttavia, non si arrestano e durante la guerra clandestina Virgilio viene nuovamente incarcerato ad Imperia. Incredibile, ma a riportarlo a casa questa volta fu la protesta del prete locale a cui i tedeschi non seppero trovare una giusta opposizione. La libertà di Virgilio continua ad avere i giorni contati: “Nel 1943 un’autoblindata tedesca, che alle mie orecchie sembrò un carrarmato, venne a casa a prelevare mio padre con un mitra puntato- rammenta il figlio, allora tredicenne- era accompagnata da una spia che non riuscì mai ad identificare, nemmeno mia madre troppo stordita”. Virgilio viene portato insieme a diversi operai dell’Ilva nel lager del Merello di Spotorno, una colonia divenuta celebre per le efferatezze sui prigionieri durante la guerra. Da lì partivano i treni diretti ad Auschwitz, ma lui fu scartato e spedito ai lavori forzati a Villanova D’Albenga, dove riuscirà poi a scappare per rifugiarsi nelle langhe piemontesi controllate dai partigiani. Nel 1945 Virgilio ritorna a casa e il figlio diventa una staffetta ‘lesta e sagace’. “Una notte venne a casa un partigiano che disse a mio padre che bisognava portare un messaggio a una persona a Laigueglia. Mi sono arrangiato- sentenzia Antonio- c’era un blocco terribile, che delimitava una strada rinchiusa tra una parete a picco e la scogliera. L’ho attraversato in pantaloncini corti e canottiera, con il messaggio nascosto nei risvolti dei calzoncini”. Il suo cuore “batteva forte, ma era da fare e l’ho fatto- dice fieramente- avevo visto mio padre arrestato, torturato e senza denti”. Il 25 aprile del ’45 Antonio lo ricorda bene, perché dopo tanto tempo lui e suo padre hanno finalmente cantato. “La Liberazione va festeggiata- conclude- perché non è così difficile perdere la libertà”.

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